Il “globulo rosso” dei pedali: ricostruzione, perizie e la replica di De Rensis
Il caso è singolare: un reperto prelevato dai pedali di una bicicletta, montato su un vetrino, esaminato dal Reparto Investigazioni Scientifiche (RIS) con un microscopio ottico e definito come un «globulo rosso». Ma, stando a quanto riferito, solo nel 2009 i periti avrebbero aperto quel vetrino e scoperto che, in realtà, si trattava di lieviti. È questa una delle rivelazioni che l’avvocato Antonio De Rensis ha evocato nel corso del dibattito sul delitto di Garlasco, riferendosi alle contraddizioni che ritiene emergere dalle indagini.
In questo articolo cerchiamo di ricostruire i passaggi della vicenda, le implicazioni tecniche e scientifiche, e la risposta per quanto reperibile del legale.
Il “globulo rosso” sui pedali: origine dell’analisi
Secondo la versione diffusa da De Rensis, su uno dei pedali della bicicletta (o su elementi collegati, come i dispenser) sarebbe stato trovato un materiale che è stato prelevato, preparato su vetrino e sottoposto all’esame del RIS. All’epoca l’analisi fu condotta con microscopio ottico, e ciò che fu osservato fu interpretato come un globulo rosso. In altre parole: un reperto ritenuto compatibile con sangue.
Nei casi giudiziari, la presenza di reperti ematici è da sempre centrale per collegare soggetti e oggetti tramite tracce biologiche. Tuttavia, l’identificazione al microscopio ottico da sola specie su reperti deteriorati o poco chiari è notoriamente soggetta a margini di errore se non supportata da analisi più sofisticate (es. colorazioni specifiche, microscopia elettronica, test chimici o genetici).
De Rensis sostiene che quel vetrino non è stato aperto fino al 2009, e che solo allora periti indipendenti (o nominati nel corso di un’istanza processuale) avrebbero riscontrato che il materiale non era sangue bensì un organismo fungino, ovvero lieviti.
Questa circostanza se confermata rappresenterebbe una clamorosa smentita dell’interpretazione originaria, con possibili implicazioni per l’attendibilità del reperto e il suo valore probatorio.
Le perizie del 2009 e la scoperta “shock”
Secondo l’argomentazione difensiva, nel 2009 alcuni periti avrebbero “aperto il vetrino” (cioè rimosso il coprioggetto, magari riattivato la preparazione) per riesaminare il campione. In quell’occasione, avrebbero accertato che il materiale osservato ritenuto un globulo rosso non era tale, ma lieviti.
È importante mettere in luce alcuni punti critici:
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Preservazione del campione: un vetrino montato con coprioggetto, sigillato e conservato adeguatamente può mantenere i materiali stabili per anni, ma il deterioramento, contaminazioni o fenomeni chimici (essiccamento, ossidazioni) possono alterare l’aspetto del reperto.
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Analisi microscopica differenziale: distinguere al microscopio ottico un globulo rosso da un elemento biologico non ematico richiede l’uso di coloranti (ad esempio teste di reazione di ossidasi, ematossilina-eosina, reagenti specifici), oppure analisi più avanzate come microscopia elettronica o spettrometria. Senza questi accorgimenti, errori di interpretazione sono possibili.
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Documentazione peritale: se davvero è avvenuta l’apertura del vetrino e la scoperta dei lieviti, dovrebbe esservi un verbale ufficiale, relazioni tecniche depositate nel fascicolo e contraddittorio fra periti ufficiali e periti di parte.
L’avvocato De Rensis ha fatto leva su questo elemento per sostenere che l’accusa originaria ha basato le sue conclusioni su una valutazione errata e non verificata approfonditamente.
Le difficoltà tecniche e il contesto giurisprudenziale
Nelle cause penali che fanno uso di tracce microscopiche (biologiche, ematiche, microbiologiche), sorgono spesso contestazioni relative a:
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Affidabilità delle tecniche analitiche: ogni metodo ha una soglia di sensibilità, specificità ed errori potenziali.
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Catena di custodia: ogni passaggio del reperto deve essere tracciato, con documentazione precisa, per evitare contaminazioni o manomissioni.
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Contraddittorio e perizia di parte: la difesa ha il diritto di nominare periti propri che rimettano in discussione le conclusioni del perito d’ufficio.
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Aggiornamenti scientifici: tecniche oggi consolidate (es. DNA, spettrometria, microscopia elettronica) magari non erano disponibili o praticate al momento dell’analisi originaria.
Queste problematiche rendono ogni controversia su reperti microscopici complessa e delicata. Se una parte sostiene che un vetrino non è mai stato aperto fino a un certo momento, emerge un punto cruciale: perché non si è verificato prima? E se l’atto di apertura è successivo, con quali procedure è stato fatto?
La risposta di De Rensis: quale strategia difensiva?
Antonio De Rensis, nell’ambito della difesa di Alberto Stasi, ha più volte richiamato elementi che, a suo avviso, mostrano lacune e contraddizioni nelle investigazioni sul caso di Garlasco. In particolare:
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Ha definito il processo come derivante da “un’indagine costellata di errori e orrori”, affermando che tali vizî avrebbero dovuto rafforzare il dubbio ragionevole e non condurre a una condanna certa. IlSussidiario.net+2Libero Quotidiano+2
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Sull’argomento dei pedali e delle tracce correlate, ha detto che “parlano ancora di pedali, dispenser…” come se si riprendessero elementi già trattati, ma che non sono mai stati chiariti scientificamente. IlSussidiario.net
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Ha sottolineato che lo sviluppo dell’indagine attuale (riapertura, nuovo esame dei reperti) potrebbe far emergere discrasie tra ciò che si è ritenuto all’epoca e ciò che le analisi moderne mostrerebbero, e che la difesa ha il dovere di verificare tali elementi. Libero Quotidiano+2IlSussidiario.net+2
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In più occasioni, De Rensis ha ribadito che «il mio approccio è alle carte, non alla persona»: la sua difesa – ha detto – sposa le carte processuali e i dati che emergono da esse. IlSussidiario.net+1
Sebbene non abbia fornito pubblicamente un documento tecnico che dimostri l’apertura del vetrino e la constatazione dei lieviti, ha evocato questa versione per mettere in discussione la solidità delle analisi originarie.
Criticità e nodi irrisolti
La versione avanzata dalla difesa contiene affermazioni che, se vere, avrebbero implicazioni rilevanti. Tuttavia, permangono questioni che finora non risultano risposte pubbliche:
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Documentazione della nuova perizia
Se nel 2009 è intervenuto un esame sul vetrino, deve esserci una relazione peritale ufficiale, depositata in atti, con confronto tra i periti d’ufficio e quelli di parte. Non è noto se tale relazione sia accessibile o mai stata prodotta. -
Autenticità e integrità del vetrino
Aprire un vetrino sigillato può alterare il reperto. Bisognerebbe accertare che l’apertura sia avvenuta con procedure corrette, nel rispetto della catena di custodia. -
Confronto tra interpretazioni
Se l’interpretazione originaria era quella di un globulo rosso, e quella successiva di lieviti, quale rigore tecnico è stato impiegato per stabilire quale interpretazione sia corretta? È stato fatto ricorso a tecniche avanzate (microscopia elettronica, test chimico/enzimatico, DNA)? Non sono note pubblicamente queste conferme. -
Tempistica e motivazioni
Non è chiaro perché il vetrino non fosse aperto prima (se non lo era). Se la parte difensiva ha dovuto chiedere esami ulteriori, perché tali esami non furono disposti d’ufficio all’epoca? -
Prove collaterali
Anche se si dimostrasse che quel reperto non era sangue, resterebbe da verificare quale funzione gli si attribuiva nelle conclusioni dell’accusa, e se quell’elemento fosse centrale o marginale nel sistema probatorio complessivo.
Il racconto proposto da De Rensis che un campione prelevato dai pedali, esaminato da un RIS con microscopio ottico e ritenuto un globulo rosso, sia stato in seguito smontato dalle perizie come lieviti è una narrazione forte, suggestiva e dal forte impatto difensivo. Rappresenta un tentativo di riaprire il dibattito sulla validità delle prove scientifiche utilizzate nel corso del processo.
Tuttavia, la veridicità di queste affermazioni dipende dalla produzione da parte delle autorità giudiziarie o degli stessi difensori delle relazioni tecniche che attestino l’apertura del vetrino, la constatazione dei lieviti e le modalità con cui ciò sia avvenuto. Finché tali documenti non saranno resi noti e sottoposti a verifica, la versione resta un’ipotesi controversa, utile dal punto di vista processuale difensivo.
De Rensis afferma di aver basato la propria strategia sulla ricognizione attenta delle carte, sollecitando che ogni elemento anche il più tecnico e apparentemente risolto sia riconsiderato alla luce delle tecnologie e dei metodi oggi disponibili. In ogni caso, la vicenda mette in luce quanto delicato sia il rapporto tra scienza forense, procedure giudiziarie e garanzia del diritto alla verità.











