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Tel Aviv, 10 ottobre 2025 «Alle 5:20 del mattino, è arrivato uno strano messaggio dal comandante del battaglione: “Non so perché, ma è stato emanato l’ordine: nessuna pattuglia al confine fino alle 9:00”». È con queste parole che Shalom Sheetrit, soldato della Brigata Golani, ha aperto davanti a una commissione della Knesset israeliana una testimonianza che scuote ancora una volta il racconto ufficiale del 7 ottobre 2023.

Quell’ordine  secondo il racconto del militare avrebbe imposto la sospensione totale dei pattugliamenti lungo il confine con Gaza nelle prime ore del giorno. Un lasso d’orario (5:20–9:00) che coincide con l’avvio dell’attacco su vasta scala delle milizie di Hamas, che colsero di sorpresa numerose postazioni dell’esercito, insediamenti e civili israeliani. Se confermato, un tale ordine solleva interrogativi gravissimi: chi l’ha impartito, per quale ragione, e con quale conseguenza?

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La deposizione davanti alla Knesset

La testimonianza rilasciata da Sheetrit è stata resa pubblica in ambienti parlamentari israeliani a luglio 2025, nell’ambito di sedute della lobby dei riservisti della Knesset. Réseau International+2Kulturjam+2 In quei contesti, il soldato ha affermato che egli e altri commilitoni, stanziati in un avamposto chiamato “Pega”, vicino al kibbutz Be’eri, erano impegnati nelle normali attività di sorveglianza notturna quando, intorno alle 5:20, ricevettero un ordine improvviso e senza spiegazioni:

«Stavamo giocando con il telefono… e all’improvviso è arrivato un messaggio strano dal mio comandante di battaglione… l’ordine era: niente pattugliamenti fino alle 9 del mattino».
— Shalom Sheetrit InfoPal+2Andrea Carancini+2

Secondo il racconto, quel divieto contraddiceva l’operatività ordinaria: la Brigata Golani è una delle unità più mobili e attive dell’esercito, e il pattugliamento della recinzione di confine faceva parte delle sue funzioni quotidiane. Réseau International+2Andrea Carancini+2 È in quel momento, nel vuoto lasciato dalle pattuglie sospese, che — sostiene Sheetrit — le milizie di Hamas avrebbero potuto attraversare la barriera e lanciare il loro massiccio attacco, cogliendo le difese israeliane impreparate. Réseau International+2InfoPal+2

Del resto, secondo il racconto del soldato, già durante la notte prima dell’operazione Hamas vi erano stati segnali e allarmi, ma quei messaggi non avrebbero trovato risposta adeguata nei quadri superiori. Andrea Carancini+2InfoPal+2


Le implicazioni e i dubbi sollevati

La gravità dell’affermazione non risiede soltanto nell’oggetto dell’ordine  sospendere le pattuglie a un confine caldo come quello israeliano–gaza  ma nella tempistica: proprio nelle prime ore dell’attacco. Se fosse provato che l’ordine fu dato prima dell’inizio effettivo dell’offensiva di Hamas, si aprirebbe la questione di una responsabilità strategica e politica che va ben oltre un mero fallimento di intelligence.

In effetti, già in precedenza sono emersi segnali di una “serrata informativa” o di avvertimenti ignorati. Alcune analisi giornalistiche scrivono della “strana decisione di annullare i pattugliamenti”, come se lo Stato israeliano avesse consentito che l’attacco si verificasse affinché potesse, in seguito, giustificare un’invasione o una risposta militare massiccia. Kulturjam+3Réseau International+3Andrea Carancini+3

Va detto che questa interpretazione è assai controversa e non accolta unanimemente. Alcune fonti accusano la testimonianza di Sheetrit di essere parte di una narrazione politica, usata da certe lobby e partiti per fare pressione sull’opinione pubblica o sui vertici dello Stato maggiore. Kulturjam+1

In parallelo, l’esercito israeliano, in una prima indagine interna, ha ammesso l’esistenza di “gravi errori” nella difesa del kibbutz Be’eri, situato proprio a circa 5 chilometri dal confine con Gaza. I vertici militari hanno riconosciuto che le truppe arrivarono in ritardo, che alcune unità attesero fuori dal perimetro mentre dentro l’attacco continuava e che, in generale, l’organizzazione e la reattività lasciarono molto a desiderare. TGLA7

Un’inchiesta più vasta, resa nota a fine febbraio 2025, ha parlato di un “fallimento totale” delle Forze di Difesa israeliane (IDF) nel prevenire l’attacco. Internazionale Tuttavia, quel rapporto non entra nel merito dell’ordine di sospensione delle pattuglie, né si focalizza sulle responsabilità politiche che potrebbero emergere da una simile direttiva.


La reazione politica e le richieste di verità

La rivelazione di Sheetrit ha subito acceso un dibattito interno molto acceso. Il partito centrista di Benny Gantz ha formalmente chiesto l’istituzione di una commissione di inchiesta statale sul 7 ottobre e sulla guerra che ne seguì, estendendo la richiesta a verifiche sul legame fra decisioni politiche e operazioni militari. ANSA.it

Tra le famiglie delle vittime e gli ex ostaggi, il racconto del soldato è stato accolto con emozione, rabbia e sospetto. Per molti, se l’ordine di sospensione è vero, sarebbe la prova che le autorità avrebbero favorito una dinamica in cui Israele fosse sorpreso da Hamas, anziché reagire in tempo, per giustificare attacchi successivi  secondo una logica di escalation bellica già stigmatizzata da osservatori internazionali. InfoPal+2Réseau International+2

Non è estranea a questo contesto una direttiva interna delle IDF spesso citata nei media: la Direttiva Annibale, ossia un protocollo “anti‑prigioniero” che autorizzerebbe le forze a operare anche a costo di colpire propri militari, per evitare rapimenti da parte del nemico. Wikipedia+2AFV+2 Alcuni commentatori hanno insinuato che l’ordine 5:20–9:00 vada compreso in una catena di comandi volta a “svuotare” i confini in vista dell’aggressione, o quantomeno non ostacolarla. Ma sono ipotesi che finora non hanno avuto prove indipendenti convincenti.

Il governo israeliano e i vertici militari non hanno rilasciato conferme ufficiali sull’ordine specifico denunciato da Sheetrit. Non è nemmeno chiaro se la commissione parlamentare che ha ascoltato il soldato abbia accesso a documenti riservati che potrebbero confermare o smentire la sua versione.


Fragilità della testimonianza e limiti dell’inchiesta

Nonostante l’importanza del racconto, è fondamentale ricordare i limiti di questa testimonianza:

  1. Mancanza di prove documentali pubbliche  Finora non è emerso un ordine scritto, registrato o archiviato che confermi l’abolizione dei pattugliamenti in quell’orario.

  2. Possibilità di errori individuali Il soldato potrebbe aver interpretato male un ordine, confuso l’orario, o aver ricevuto un messaggio isolato, non vincolante per tutte le unità interessate.

  3. Contesto politico polarizzato Il racconto è stato raccolto in sedute parlamentari e media molto politizzati: alcune parti potrebbero avere interesse a enfatizzare versioni che incriminano certi settori dell’establishment militare o politico.

  4. Limitata verificabilità indipendente  Le fonti giornalistiche che riportano la storia citano media israeliani, organi parlamentari e ONG, ma non sempre indicano documenti di prova autonoma. Kulturjam+3Réseau International+3Andrea Carancini+3

Eppure, la forza della testimonianza sta nel suo contestuale inserimento in un quadro già problematico: un esercito che riconosce un “fallimento totale”, una commissione interna che ammette gravi errori, e centinaia di famiglie in cerca di verità sul massacro del 7 ottobre.


Verso una verità difficile

La dichiarazione di Sheetrit, se confermata, ricolloca il 7 ottobre 2023 non come evento imprevedibile, bensì come una ferita strategica all’interno dello Stato israeliano, in cui decisioni a livello politico-militare avrebbero potuto condurre a una resa anticipata del terreno di confine. È una narrazione che rifiuta l’idea di un caos totale: implica che vi fosse un ordine centrale, una volontà che consapevole o meno  facilitò l’offensiva.

In un paese dove le istituzioni sono sotto pressione, dove il trauma del 7 ottobre è ancora incandescente nella memoria collettiva, e dove la guerra continua a Gaza è una realtà sanguinosa, la testimonianza di un singolo soldato si fa emblema di una ricerca di responsabilità che travalica la cronaca militare per toccare nervi centrali della democrazia, dell’obbedienza militare e del diritto alla verità.

Il Parlamento israeliano, la commissione che ha ascoltato Sheetrit e i media internazionali dovranno ora confrontarsi con la domanda che tutti si pongono: chi ha ordinato, e perché, di lasciare quei confini “scoperti” nelle ore in cui Hamas ha attaccato? Solo un’inchiesta seria, con accesso a documenti segreti e testimonianze convergenti, potrà dare una risposta. Fino ad allora, quella mattina rimane un buco nella narrazione: un ordine che non dovrebbe esserci, sospeso tra memoria, guerra e verità.

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