Attacchi israeliani su Gaza ore dopo che Israele ed Hamas hanno accettato la prima fase di un piano di cessate il fuoco
Gaza (AP / Reuters) Le sirene non sono ancora spente, e già i cieli di Gaza riecheggiano di nuovi scoppi. Poche ore dopo che Israele e Hamas hanno annunciato di aver concordato la prima fase di un piano di cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti, l’aviazione israeliana ha lanciato raid su obiettivi nella Striscia. Il fragore delle esplosioni ha scosso quartieri già devastati, facendo esplodere nuovamente la tensione che molti speravano potesse allentarsi.
L’annuncio del principio d’accordo per la prima fase che prevede lo scambio di ostaggi, il ritiro parziale delle forze israeliane da aree densamente popolate e l’aumento dell’assistenza umanitaria era stato accolto come un segnale di speranza per porre un freno al conflitto. Reuters+3Reuters+3The Guardian+3 Tuttavia, l’attacco israeliano ha dimostrato che le armi non sono state deposte.
“Pace” con scoppiettii di guerra
Secondo fonti militari israeliane, i raid erano mirati contro postazioni che “minacciavano le truppe israeliane” in prossimità dei confini di Gaza, dove un accordo di ritiro è previsto nella prima fase del piano. Fonti palestinesi hanno però denunciato che le bombe hanno colpito aree civili — case, strade e infrastrutture già distrutte nei mesi di conflitto.
Testimoni oculari da Khan Younis e Rafah hanno raccontato di colonne di fumo che si innalzavano verso il crepuscolo, e di famiglie in fuga, spaventate dal suono improvviso delle esplosioni. Un portavoce del ministero della Salute di Gaza ha riferito che ci sarebbero diversi feriti, tra cui donne e bambini, e danni gravi a un ospedale.
Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere: l’Onu ha chiesto che si mantenga lo spirito dell’accordo e che i raid cessino immediatamente per permettere il dispiegamento dell’aiuto umanitario concordato. Diversi governi e organizzazioni umanitarie hanno avvertito che ogni violazione potrebbe mettere a rischio l’intero schema di cessazione del fuoco.
I termini della prima fase: un cessate il fuoco condizionato
L’accordo concordato per la fase iniziale si basa su condizioni che ne rendono l’attuazione precaria. In essenza: Hamas si impegna a liberare un numero concordato di ostaggi, mentre Israele accetta un ritiro parziale da zone densamente popolate e l’ingresso massiccio di aiuti. AP News+5Al Jazeera+5CNBC+5
Secondo il piano, la prima fase dovrebbe durare 42 giorni. Le autorità israeliane avrebbero approvato l’accordo, riservandosi però di mantenere la sovranità su oltre la metà del territorio della Striscia per ragioni di sicurezza. Al Jazeera+3The Guardian+3Reuters+3
L’accordo inoltre contempla l’ingresso quotidiano di centinaia di camion carichi di generi essenziali per alleviare la crisi umanitaria che affligge Gaza da mesi. Reuters+2AP News+2
Ma il nodo cruciale rimane la fiducia reciproca. Israele ha chiarito che manterrà la pressione militare qualora Hamas non rispetti i termini del piano, e non ha escluso di riprendere le operazioni se riterrà che la sicurezza nazionale lo impone. The Washington Post+3The Guardian+3The Guardian+3
Il rischio della deragliazione imminente
Gli analisti avvertono che questa fase iniziale è la più fragile dell’intero processo. Se uno dei due attori da una parte Hamas, dall’altra Israele dovesse interpretare l’accordo come una tregua permanente, le conseguenze potrebbero essere disastrose per la stabilità dell’accordo nel suo complesso.
In passato simili accordi sono saltati per piccoli scatti d’ira, incidenti o incomprensioni, soprattutto in contesti profondamente frammentati come quello di Gaza. La ripresa dei bombardamenti ora conferma i timori: il cessate il fuoco è sospeso su un filo sottile, e basta un salto per precipitare nuovamente in guerra.
A peggiorare la situazione, il fatto che molte delle condizioni dell’accordo sono ambigue o soggette a interpretazioni diverse: quanto “parziale” dovrà essere il ritiro israeliano? Come garantire che i convogli umanitari raggiungano effettivamente le aree più bisognose, senza essere sequestrati o intercettati? Quando comincerà la seconda fase, che dovrebbe prevedere il rilascio di ulteriori ostaggi e il ritiro completo?
Hamas, nelle esplosioni di ieri, ha reagito con rabbia: ha denunciato la violenza israeliana come una “incoerenza flagrante” con l’accordo appena firmato e ha invitato i mediatori (Usa, Egitto, Qatar) a intervenire per imporre un’autorità effettiva sull’attuazione del piano.
Le conseguenze umanitarie: la fragile vita sotto i raid
Per la popolazione di Gaza, già provata da mesi di guerra, ogni bombardamento è un trauma aggiuntivo. Le reti elettriche sono distrutte, le strutture sanitarie al collasso, le scorte alimentari ridotte al lumicino. Famiglie vivono ammassate in rifugi di fortuna, tra le macerie dei propri quartieri, con poca acqua potabile, medicine scarse e un blocco dei passaggi ai valichi internazionali.
Il cessate il fuoco, se rispettato, doveva permettere una tregua concreta: la riparazione di reti idriche, il passaggio di viveri e farmaci, il ricongiungimento di civili separati dalle linee del fronte, e la ripresa minima di attività di soccorso. Ora, con l’attacco israelo tornato in azione, quelle speranze rischiano di affogare nel fumo degli edifici colpiti.
Organizzazioni internazionali hanno già segnalato che una sola bomba può mettere fuori uso interi settori ospedalieri, distruggere depositi di aiuti o polverizzare le speranze di consegne sicure. Ogni bambino che piange fra le macerie ricorda che, per loro, il cessate il fuoco non può essere solo uno slogan diplomatico, ma un confine concreto tra la vita e l’agonia.
Quale futuro? Tra scelte politiche e credibilità diplomatica
In queste ore, la posta in gioco è altissima. Se Israele persevera nei raid, potrà essere accusato di tradire il proprio impegno, minando la fiducia internazionale e alimentando la narrativa che il piano era solo una manovra. Se invece sospende del tutto le operazioni, correrebbe il rischio che Hamas non mantenga la sua parte, lasciando migliaia di ostaggi nelle sue mani.
Il premier Netanyahu appare deciso a mantenere la pressione sul movimento islamico. In un discorso recente ha ribadito che Israele non rinuncerà agli obiettivi di sicurezza, e che la smilitarizzazione di Gaza è tra le condizioni imprescindibili per ogni futura tregua durevole. The Guardian+2The Washington Post+2
Dall’altro lato Hamas sostiene che la liberazione dei prigionieri e il ritiro israeliano sono precondizioni ineludibili per dare corpo al cessate il fuoco. L’organizzazione ha affermato di voler andare avanti, spingendo per il passaggio alla seconda fase senza ulteriori condizioni.
Nei corridoi dei governi sponsorizzatori del piano Stati Uniti, Egitto, Qatar si moltiplicano le richieste di intervento urgente: fermare i raid, chiarire le ambiguità dell’accordo, garantire che ogni parte rispetti scrupolosamente i termini. Anche le Nazioni Unite hanno chiesto controlli neutri e meccanismi di verifica indipendenti.
In un contesto già distrutto dalle sofferenze, il tempo concesso è breve. Se nelle prossime ore gli attacchi non cessano o se uno qualsiasi dei contendenti interpreta il piano a proprio vantaggio ogni speranza di pace rischia di frantumarsi.
Il mondo osserva. Ma per Gaza, ogni minuto di arretramento del conflitto è prezioso. Ogni scoppio che rompe il silenzio diventa un grido che chiede di essere ascoltato.
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