Bonelli: serve un processo internazionale contro Netanyahu. Israele deve pagare per la distruzione di Gaza
“Servono verità, giustizia e responsabilità internazionale”. A parlare non è un attivista palestinese né un diplomatico delle Nazioni Unite, ma Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra (AVS) e co-portavoce di Europa Verde. Con una nota diffusa l’8 ottobre, Bonelli ha rilanciato la richiesta ormai insistente di un processo internazionale contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, imputato di essere responsabile, secondo l’esponente politico, della distruzione massiccia di Gaza e di crimini contro l’umanità. Israele, insiste Bonelli, deve “pagare” ovvero, essere chiamato davanti alla comunità internazionale per le sue responsabilità. Ma cosa significa questa richiesta, su quali basi si poggia, e quali ostacoli incontra?
Le accuse: cosa dice Bonelli
Bonelli parla di un quadro che, a suo avviso, configura non solo crimini di guerra, ma perfino il reato di genocidio. Secondo lui, le autorità israeliane non si limiterebbero a rispondere a attacchi di Hamas, ma si avvalgono di misure che colpiscono intenzionalmente la popolazione civile, negando accesso a generi di prima necessità, bombardando infrastrutture civili come scuole, ospedali e campi profughi, determinando distruzione sistematica. la Repubblica+5Agenparl+5Agenparl+5
Una parte importante del ragionamento riguarda il mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale (CPI) nei confronti di Netanyahu e di altri ufficiali israeliani, che include accuse di crimini contro l’umanità, sterminio (extermination acts) e uso della fame come arma. Wikipedia+1
Bonelli richiama anche alle analisi delle Nazioni Unite e organizzazioni umanitarie internazionali, che denunciano la distruzione del tessuto educativo, culturale e religioso di Gaza come parte di un attacco generalizzato contro la popolazione palestinese. la Repubblica+3Internazionale+3Nazioni Unite+3
Il diritto internazionale: cosa prevede la legge
Per comprendere la richiesta di Bonelli è necessario fare un passo indietro: il diritto internazionale umanitario (DIU) e il diritto penale internazionale prevedono norme severe per i conflitti armati, tutelando i civili e imponendo obblighi anche agli stati e ai loro leader.
La Convenzione di Ginevra e i protocolli aggiuntivi vietano gli attacchi deliberati contro civili, la distruzione sproporzionata di infrastrutture civili, lo sfollamento forzato.
Lo Statuto di Roma che istituisce la CPI prevede che i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e il genocidio possano essere perseguiti su scala internazionale, anche contro capi di governo o alti funzionari.
La Convenzione sul Genocidio del 1948 definisce come reato l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Per configurare il genocidio serve che vengano provati elementi materiali (actus reus) e intenzionali (mens rea).
Le indagini internazionali finora svolte — da organismi Onu, Ong come Human Rights Watch, Amnesty International hanno raccolto evidenze che sollevano dubbi seri circa il rispetto di questi principi, e in alcuni casi hanno stabilito che vi sia almeno la possibilità di reati gravi, inclusi crimini contro l’umanità. la Repubblica+4Human Rights Watch+4Amnesty Italia+4
Il mandato d’arresto: una svolta ma con limiti
Il 21 novembre 2024 la Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato d’arresto per Netanyahu e un altro per Yoav Gallant, all’epoca ministro della Difesa, con accuse che includono l’uso della fame come metodo di guerra, e crimini contro l’umanità come omicidio, persecuzione, atti disumani. Wikipedia
Questo provvedimento è estremamente significativo perché per la prima volta riguarda il capo del governo di un paese democratico con forti alleanze internazionali. Ma il mandato non è automaticamente esecutivo ovunque: dipende dalle ratifiche dello Statuto di Roma, dai rapporti diplomatici, dalla volontà politica di stati terzi che potrebbero arrestare Netanyahu se si trovasse nel loro territorio. Gli ostacoli procedurali, tra immunità, sovranità statale e interessi geopolitici, sono molteplici.
Il ruolo dell’Italia e di altri stati europei
Bonelli non limita le sue richieste solo a Netanyahu, ma chiama in causa anche il governo italiano. Secondo l’esponente di Europa Verde:
L’Italia e altri Stati avrebbero omesso di condannare formalmente le azioni israeliane, pur avendo notizia delle denunce internazionali.
Non avrebbero sospeso accordi di cooperazione militare con Israele nonostante le accuse.
Non avrebbero revocato licenze di esportazione bellica, né partecipato attivamente a iniziative volte a costringere Israele alla responsabilità. Agenparl+1
Bonelli ha dichiarato che l’Italia dovrebbe essere segnalata alla CPI per essere “complice del massacro a Gaza”. Agenparl
Le evidenze: distruzione, sfollamenti, blocchi
I rapporti indipendenti prodotti da organizzazioni come Human Rights Watch offrono dati che rafforzano le accuse:
Si parla di sfollamento forzato di oltre il 90% della popolazione di Gaza; quasi 2 milioni di persone costrette a lasciare casa. Human Rights Watch
Strutture civili sistematicamente colpite: ospedali, scuole, luoghi religiosi e culturali. Internazionale+2Human Rights Watch+2
Restrizioni gravi su accesso a cibo, acqua, elettricità, carburante — elementi essenziali per la vita — che secondo HRW e Amnesty possono configurare l’uso della fame come arma di guerra. Amnesty Italia+3Human Rights Watch+3Human Rights Watch+3
Rapporti Onu che parlano di “quattro dei cinque atti” che definiscono il genocidio secondo la Convenzione del 1948. la Repubblica
I limiti, le controversie e gli ostacoli sul percorso verso un processo
Nonostante le accuse, ci sono elementi che rendono complesso un processo internazionale:
Prova dell’intento genocida: l’elemento soggettivo il “dolus specialis” è tra i più difficili da stabilire. Serve dimostrare non solo le azioni materiali ma che vi fosse un proposito deliberato di distruggere in parte o totalmente la popolazione protetta.
Immunità e sovranità: capi di stato in carica godono di certe protezioni; molti paesi non riconoscono la giurisdizione della Corte internazionale su determinate materie; alcuni non sono parti dello Statuto di Roma.
Volontà politica internazionale: le pressioni diplomatiche, gli interessi strategici, gli equilibri con Stati alleati possono limitare l’effettiva esecuzione di mandati di arresto, sanzioni, o la cooperazione internazionale necessaria.
Questioni procedurali e giurisdizionali: chi giurisdice la CPI, la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), tribunali nazionali o commissioni d’inchiesta internazionali? Quale stato accetterebbe di giudicare un capo straniero? Quali prove sono ammesse, con quale garanzia di imparzialità?
Critiche contrarie: alcune voci sostengono che Israele agisca in autodifesa, che Hamas si nasconda in infrastrutture civili, che gli attacchi siano proporzionati o diretti contro obiettivi militari, e che la situazione sia più complessa di quanto non appaia nei rapporti unilaterali.
Le richieste concrete: che cosa chiede Bonelli
Alla luce delle sue accuse, Bonelli propone alcune azioni precise:
L’Italia deve partecipare attivamente a iniziative che conducano alla denuncia formale delle responsabilità dinanzi alla CPI.
Deve sospendere accordi militari con Israele se persistono prove credibili di crimini internazionali.
Deve revocare licenze di esportazione bellica, se queste contribuiscono alla capacità militare impiegata in Gaza.
Deve sostenere sanzioni internazionali, inclusi embargo di armi, misure economiche, blocchi diplomatici se necessario.
Deve garantire che il diritto internazionale ONU, CPI non sia delegittimato per motivi di convenienza politica. Agenparl
Perché un processo internazionale
Secondo Bonelli, un processo internazionale serve non solo a punire, ma a:
dare un segnale forte di responsabilità ai governanti che credono di poter agire impunemente;
ristabilire la credibilità delle istituzioni giuridiche internazionali;
dare voce alle vittime, fare emergere le verità, documentare i fatti in modo imparziale;
contribuire a interrompere il ciclo di violenza, quando l’impunità diventa essa stessa motore di nuove atrocità.
Conclusione
La posizione di Angelo Bonelli si inserisce in un contesto internazionale sempre più teso: rapporti Onu, Ong, commissioni indipendenti convergono nell’evidenziare che nella Striscia di Gaza si sia verificata una distruzione vasta, che ha coinvolto non solo obiettivi militari, ma la popolazione civile, la cultura, le infrastrutture essenziali. Se queste denunce fossero confermate, saremmo di fronte a una delle crisi giuridiche e morali più gravi del nostro tempo.
Ma trasformare queste denunce in un processo giudiziario effettivo richiede molto: prove rigorose, cooperazione internazionale, volontà politica, superamento di ostacoli procedurali e giuridici. La domanda che resta è: la comunità internazionale sarà in grado di compiere questo salto dal riconoscimento formale delle responsabilità alla costruzione di una vera responsabilità giudiziaria — oppure le accuse di Bonelli resteranno solo parole inascoltate?
Quel che è certo è che molti occhi dell’opinione pubblica, delle istituzioni, dei governi sono oggi puntati su Gaza, su Netanyahu, sulle parole “diritto internazionale”, “genocidio”, “crimine”.
E la storia giudicherà, forse non solo i fatti, ma anche chi ha avuto il coraggio o la responsabilità di agire.











