L’alto dirigente di Hamas Osama Hamdan in un’intervista ad Al‑Jazeera: “Non accetteremo tutela straniera. È tempo di porre fine all’occupazione e di istituire uno Stato palestinese con Al‑Quds come capitale”
In un clima internazionale reso sempre più teso dall’escalation nei territori occupati e dall’intensificarsi del conflitto, la voce dell’autoproclamata leadership palestinese si è levata con fermezza. In un’intervista concessa ad Al‑Jazeera, Osama Hamdan figura di rilievo nel movimento Hamas ha ribadito con determinazione che il suo gruppo non intende accettare alcuna forma di tutela straniera, chiedendo invece di porre fine all’occupazione israeliana e di istituire uno Stato palestinese con Al‑Quds (Gerusalemme) come capitale.
Con tono deciso e lessico politico calibrato, Hamdan ha tracciato una linea netta: “Non vogliamo padroni esterni”, ha detto, “né protettori che impongano condizioni. La trasformazione politica e istituzionale deve essere determinata dai palestinesi, non dalle potenze straniere o dai mediatori internazionali.” Il concetto di “tutela” per lui equivale a una forma di neo‑sovranità esterna che, a suo dire, comprometterebbe la libertà di autodeterminazione palestinese.
Un rifiuto categorico della tutela internazionale
Secondo Hamdan, ogni intervento esterno se non concepito come sostegno neutrale e non condizionato rischierebbe di scardinare il processo politico palestinese. “Se una forza internazionale venisse per salvare la Palestina, ben venga”, ha dichiarato in altri passaggi, “ma se la si volesse imporre come nuova occupazione, rifiutiamo.” (vedi analoghe dichiarazioni fatte ad agenzie internazionali) Anadolu Ajansı
Tale posizione non è nuova: Hamdan ha in passato rigettato l’idea che Gaza o la Cisgiordania possano rimanere sotto supervisione esterna permanente, affermando che “il futuro di Gaza e di tutta la Palestina è plasmato dal popolo palestinese”. Anadolu Ajansı In questa intervista ad Al‑Jazeera, però, la sua retorica si fa più esplicita: non è solo un rifiuto tattico, bensì un principio politico fondativo.
L’obiettivo: uno Stato con Al‑Quds capitale
Al centro del discorso del dirigente Hamas vi è l’idea di un progetto nazionale unitario che ponga Gerusalemme (Al‑Quds, nella terminologia araba) come capitale dello Stato palestinese. “Non ci accontenteremo di frammenti territoriali o enclavi isolate”, ha proseguito. “Serve un solo Stato palestinese che abbracci tutti i territori occupati, con Al‑Quds come sua capitale eterna.”
Questa visione si inscrive in una lunga tradizione politica del nazionalismo palestinese che rivendica il diritto alla città santa come simbolo e fulcro identitario. Ma è anche un posizionamento che sfida direttamente le politiche di Israele, che considera Gerusalemme la propria capitale indivisibile. Il richiamo esplicito a una “capitale palestinese” con Al‑Quds è dunque un messaggio carico di conseguenze: non si tratta di rivendicazioni simboliche, ma di un pilastro politico non negoziabile per Hamdan.
Contesto e obiezioni
L’intervista di Hamdan arriva in un momento in cui le negoziazioni regionali, i tentativi diplomatici e i piani internazionali per un cessate‑il‑fuoco o una soluzione “due stati” sono al centro dell’agenda mediorientale. Hamas, da parte sua, ha spesso dichiarato che ogni proposta che non contempli il ritiro totale israeliano e il riconoscimento di un pieno Stato palestinese è inaccettabile.
Analisti esteri osservano con scetticismo le affermazioni radicali di Hamdan. Laura Cohen, esperta di Medio Oriente, nota che “la retorica maximalista serve a rafforzare la legittimità interna del movimento, ma rischia di bloccare i percorsi negoziali”. Altri osservatori segnalano che il rigetto della tutela straniera potrebbe essere interpretato come un rifiuto anche delle modalità di supervisione internazionale che pure molti mediatori e attori regionali propongono come garanzia.
In passato, Hamas ha mostrato una certa apertura verso la supervisione internazionale limitata ad esempio, durante le fasi di cessate il fuoco, alcuni membri hanno accettato la presenza di osservatori neutrali per monitorare il rispetto degli accordi. Ma Hamdan oggi sembra respingere anche quelle forme moderate: ogni tutela esterna, salvo che sia neutrale e “non invasiva”, viene bollata come potenziale ingerenza.
Critici del movimento Hamas ricordano inoltre che il rifiuto assoluto di mediazioni esterne può essere usato come argomento da Israele e dagli Stati occidentali per giustificare un’autonomia strettamente controllata piuttosto che un vero Stato sovrano.
Strategia e consenso interno
Nel corso dell’intervista, Hamdan ha fatto riferimento anche al consenso interno palestinese come fondamento della sua linea politica. Ha detto che l’autorità politica palestinese uscita da negoziati imposti o da accordi con mediatori “senza legittimazione popolare” non può sopravvivere. Ha insistito sull’unità fra Gaza e Cisgiordania, sulla necessità di un “programma nazionale condiviso” e sul ruolo unificatore di Gerusalemme.
Secondo Hamdan, qualsiasi leadership palestinese che voglia essere duratura deve fondarsi su princìpi accettati dalla popolazione e non su imposizioni da parte di potenze esterne. In questo senso, la rottura con affidamenti esterni non è solo ideologica, ma tattica: “Chi vuole imporre la propria agenda non farà che danneggiare la causa palestinese, non aiutarla.”
Reazioni previste e impatti diplomatici
Le parole di Hamdan, pronunciate in un media internazionale come Al‑Jazeera, non rimangono confinate nei confini della comunicazione interna al mondo arabo. Il messaggio è diretto anche agli attori regionali (Egitto, Qatar, Iran, Turchia) e agli Stati occidentali impegnati nel dossier mediorientale. È una dichiarazione di principio rivolta ai mediatori stessi: se vogliono intervenire, dovranno farlo senza pretese di dominio o protezione condizionata.
Israele, da parte sua, difficilmente accetterà una linea che considera la completa sovranità palestinese (con capitale Gerusalemme) come non negoziabile. Le autorità israeliane, così come molti governi occidentali, considerano Gerusalemme come capitale indivisibile e ritengono che ogni soluzione debba preservare “la sicurezza israeliana”. In questo quadro, l’assertività di Hamdan può essere letta anche come un segnale negoziale duro: porre un confine netto prima ancora che i tavoli diplomatici possano stabilirlo.
Sembra chiaro che Hamas stia cercando di riaffermarsi come portavoce centrale della causa palestinese, presentandosi come il soggetto che non si piega né alle pressioni internazionali né alle mediazioni “di ripiego”. In tal modo, l’intervista ad Al‑Jazeera può avere effetto mobilitante sul consenso interno, e servirsi come leva diplomatica nei futuri negoziati.
Conclusione: fra fermezza e sfide reali
Il discorso di Osama Hamdan è inequivocabile: la Palestina non accetterà padroni esterni, la sua liberazione passerà per l’eliminazione dell’occupazione, e Gerusalemme è e resterà la sua capitale. Questa linea radicale, esposta con chiarezza nel confronto mediatico, mira a rendere inaccettabile ogni compromesso che tolga al popolo palestinese il controllo del proprio destino.
Tuttavia, nelle diplomazie internazionali e nei tavoli negoziali, le contrapposizioni radicali possono diventare ostacoli al dialogo. L’equilibrio fra fermezza politica e pragmatismo istituzionale è una sfida costante: il rischio è che chi impone condizioni stringenti fin dall’avvio renda più difficile ogni compromesso, mentre chi cede troppo presto perde credibilità interna.
Per il momento, l’intervista funge da manifesto politico e da messaggio diretto ai mediatori: se volete partecipare, fatelo da pari a pari non come tutori. In un conflitto in cui le parole spesso pesano quanto i proiettili, la scelta retorica di Hamdan rafforza l’identità di Hamas come interprete della resistenza ma getta anche ombre sui possibili margini di trattativa futura.











