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Trump aumenta le tariffe del 100 % sulle importazioni cinesi e il 10 ottobre 2025, i mercati USA hanno perso circa 1,65 trilioni di dollari in capitalizzazione azionaria

L’onda d’urto dei mercati statunitensi si è propagata venerdì 10 ottobre con una rapidità che ha sorpreso analisti e investitori: l’annuncio del presidente Donald Trump di imporre da novembre un dazio del 100 % su tutte le importazioni cinesi ha generato un’ondata di vendite che, stando a stime preliminari, ha fatto evaporare circa 1,65 trilioni di dollari in capitalizzazione azionaria tra le società quotate negli Stati Uniti.

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Il colpo e la reazione nei mercati
L’annuncio, com’era prevedibile, è arrivato via social media e comunicati ufficiali, e ha sorpreso i mercati per la portata e l’immediatezza del messaggio: secondo Trump, Pechino avrebbe assunto posizioni “estremamente aggressive” con restrizioni sulle esportazioni di terre rare e tecnologie critiche, costringendo gli Stati Uniti a reagire “con forza”. The Guardian+2Reuters+2

In poche ore e senza attendere l’apertura ufficiale delle borse statunitensi, sono circolate stime basate su modelli d’impatto e analogie con precedenti fasi di crisi secondo cui le perdite aggregate potrebbero aver superato la soglia di 1,5–1,7 trilioni di dollari in un solo giorno. Investors+4Financial Express+4The Tribune+4

Nella seduta stessa, gli indici azionari hanno registrato cadute significative: il Dow Jones ha perso quasi 900 punti (–1,90 %), l’S&P 500 è sceso di circa il 2,7 % e il Nasdaq ha ceduto più del 3,5 %, con evidenti pressioni soprattutto sui titoli tecnologici. Barron’s+3Financial Express+3The Washington Post+3

A livello settoriale, il comparto tech è stato il più colpito: la combinazione di dipendenza dalle catene globali (in particolare dalla Cina) e aspettative di restrizioni sull’export di software ha alimentato la corsa a vendere titoli come Nvidia, Tesla, Microsoft, Meta e simili. Secondo il servizio MLQ.ai, i titoli più grandi della tecnologia statunitense avrebbero perso insieme circa 770 miliardi di capitalizzazione nel day‑trading successivo all’annuncio. MLQ

Le dinamiche in gioco: psicologia, leva finanziaria e “risk off”
Dietro la pioggia di vendite non c’è solo una reazione razionale ai nuovi dazi, ma anche un forte elemento di panico e gestione del rischio. In momenti di shock geopolitico, è frequente che attori finanziari  hedge fund, fondi quantitativi, trader algoritmici  inneschino meccanismi di deleveraging: vendite automatiche per ridurre l’esposizione, presidi di liquidità, stop loss generalizzati.

Inoltre, durante il calo del mercato, lettera grande parte del crollo avviene non dai titoli meno capitalizzati, ma dalle grandi blue chip, proprio perché esse pesano di più nella capitalizzazione totale. E con movimenti così bruschi, anche asset «difensivi» possono subire una compressione se il tono generale è nettamente negativo.

Un’altra caratteristica evidente è il passaggio da asset rischiosi verso attività rifugio: obbligazioni governative americane, Treasury a decennale, oro in altre parole, il classico “flight to safety”. E non va escluso che alcuni attori abbiano rotto posizioni in eccesso attraverso swap o strumenti derivati, amplificando l’effetto domino.

Un’analogia con precedenti crisi: non la prima volta che accade
Chi segue i cicli dei mercati sa che shock di politica commerciale hanno già generato passati disastri finanziari. In questa stessa annualità, l’annuncio di tariffe aggressive su vasta scala aveva già scatenato un crollo nei mercati, con perdite di migliaia di punti e trilioni di capitalizzazione in pochi giorni. The Guardian+4Wikipedia+4San Francisco Chronicle+4

La novità stavolta è il salto di intensità: un dazio al 100 %, privo di gradualità, proietta l’economia internazionale in una modalità di confronto diretto e immediato. Le reazioni di mercato sono dunque state ben più intense e repentine rispetto a scenari tariffari più moderati.

Le incognite sul futuro: rallentamento economico, inflazione e contromisure
Se nei prossimi giorni dovessero materializzarsi misure di ritorsione da parte della Cina  tariffe su merci statunitensi, restrizioni sugli approvvigionamenti di input tecnologici, discriminazioni normative  l’impatto sull’economia globale potrebbe essere pesantissimo. La Cina controlla una larga fetta delle catene di fornitura mondiali di terre rare, semiconduttori e materiali strategici: un’escalation in quel fronte rischia di tradursi in strozzature produttive in settori chiave negli Stati Uniti e altrove. The Guardian+1

Inoltre, l’effetto combinato di dazi alti e costi maggiori sui beni importati potrebbe esercitare una pressione al rialzo sull’inflazione statunitense, complicando il dilemma della Federal Reserve: continuare a stringere sui tassi o ritardare per sostenere la crescita. Le imprese, dal canto loro, subirebbero margini più ridotti, potenziali rallentamenti negli investimenti e difficoltà nei modelli di supply chain integrata.

Sul fronte diplomatico, la Casa Bianca dovrà cercare di mitigare i timori con una leva negoziale, se non una retromarcia  in caso contrario, il mercato sconta già scenari recessivi nei prossimi trimestri.

Volatilità al top e prospettive prossime
In queste ore il VIX, indice di volatilità implicita sui mercati statunitensi, è atteso in forte risalita: dalla soglia del 20–25 salirà verso territori del 30–40, segnale che il panico è già entrato nei libri degli operatori.

I prossimi dati macro (consumi, produzione, fiducia) saranno passati al setaccio: ogni segnale di indebolimento economico sarà amplificato e potrà fungere da catalizzatore per ulteriori rovesciamenti. Le trimestrali aziendali, già sotto pressione, dovranno operare in uno scenario di forte incertezza politica e commerciale.

Anche il panorama dei tassi obbligazionari sarà cruciale: se la domanda di safe haven spingerà i rendimenti a scendere, si creerà un contrasto con la stretta monetaria futura. E i flussi globali di capitale  fra asset emergenti, valute e debito  reagiranno in modo convulso a ogni twist della politica statunitense.

L’annuncio clamoroso e radicale di un dazio al 100 % sulle importazioni cinesi ha innescato una caduta dei mercati americani che rischia di segnare un punto di svolta nella stagione finanziaria del 2025. Se le stime sono sul pezzo, perdere 1,65 trilioni di dollari in un solo giorno è un trauma simile ai peggiori storici. Le ricadute sull’economia reale, sulla catena globale e sulla fiducia degli investitori saranno protratte, e la posta in gioco non riguarda solo Wall Street: è l’equilibrio geopolitico e macroeconomico che entra in campo.

Resta da vedere se questa escalation sia un innalzamento duraturo del rischio o un colpo di scena tattico destinato a essere smorzato da passi negoziali. Ma una cosa è certa: il mercato non perderà tempo a reagire.

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