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Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani esprime profonda inquietudine per la violenta aggressione ai danni di un quattordicenne davanti all’Istituto Boscardin di Vicenza. L’episodio non è solo un fatto di cronaca: è il sintomo di una frattura profonda nel mondo giovanile, un segnale d’allarme che interroga il sistema educativo e la società nel suo complesso.

Quando un gruppo di adolescenti trasforma la forza del branco in strumento di dominio e umiliazione, si manifesta un disagio che va ben oltre la semplice “prepotenza”. È la perdita della percezione dell’altro come persona, la disintegrazione dell’empatia, il bisogno di affermarsi attraverso la negazione del volto altrui. Questi atti sono, prima di tutto, manifestazioni di fragilità identitaria e di ricerca distorta di appartenenza.

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La psicologia dell’aggressione giovanile ci ricorda che la violenza, spesso, nasce dall’assenza di riconoscimento: chi non si sente visto tenta di esistere ferendo. Il branco diventa allora una comunità sostitutiva, fragile e feroce, in cui la forza è solo il travestimento della paura. La scuola, tuttavia, non può essere spettatrice impotente di tali dinamiche: deve diventare laboratorio di relazioni autentiche, luogo dove l’emozione è accolta e l’ascolto diventa forma di prevenzione.

Il CNDDU invita a considerare il bullismo non come una “devianza giovanile”, ma come un linguaggio del disagio, che chiede lettura, non solo punizione. Interventi educativi fondati sulla conoscenza dei processi emotivi e sulla cura delle relazioni possono rappresentare l’unica risposta strutturale. Servono percorsi continuativi di educazione all’empatia, alla gestione della rabbia, alla cooperazione, così come una formazione psicopedagogica diffusa tra i docenti.

Non si tratta di “disciplinare i bulli”, ma di restituire senso e valore alla dimensione interiore dei ragazzi. Ogni atto di violenza scolastica è il fallimento di una rete educativa che ha smarrito la sua funzione di cura.

Al giovane aggredito e alla comunità scolastica va la nostra vicinanza. Ma ancor più forte deve essere l’impegno collettivo nel ricostruire legami, linguaggi e orizzonti di senso, perché una scuola che non educa all’umanità rischia di diventare lo specchio delle sue ferite più profonde.

Il bullismo, come dimostra l’aggressione di Vicenza, non è frutto di un impulso isolato, ma di un terreno fertile coltivato da indifferenza, silenzi e modelli sociali basati sulla sopraffazione. L’istituzione scolastica deve imparare a leggere le micro-violazioni quotidiane – lo sguardo che esclude, la parola che ferisce, l’ironia che umilia – come segnali di un disagio che può esplodere in gesti estremi.

Serve una scuola “sentinella”, capace di attivare spazi di parola, gruppi di riflessione, laboratori esperienziali dove gli studenti possano elaborare le proprie emozioni e costruire insieme significati condivisi. L’educazione alla nonviolenza non è un accessorio, ma un pilastro della cittadinanza.

Solo attraverso una comunità educante coesa e consapevole si può spezzare la catena dell’aggressività. Non bastano le sanzioni o i protocolli: serve la presenza viva degli adulti, la testimonianza di valori coerenti, la capacità di ascoltare senza giudicare.

Vicenza deve diventare occasione di risveglio per tutto il Paese: ogni atto di bullismo ci riguarda, perché ogni volta che un ragazzo colpisce un altro, la nostra società dichiara la propria incapacità di educare alla compassione.

prof. Romano Pesavento

presidente CNDDU

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