La domanda che resta: difesa o aggressione?
Alla luce di questi fatti, la domanda del titolo “Dieci raid perché si sta difendendo?” merita una risposta articolata:
Sì, in parte Israele ha motivazioni di difesa percepita. Se effettivamente Hezbollah si ristruttura militarmente, sviluppa infrastrutture per missili o droni, o mantiene forze vicino alla frontiera, ciò costituisce un potenziale rischio per la sicurezza israeliana. In un conflitto, le misure preventivi possono essere considerate legittime sotto il diritto internazionale se sono proporzionate, necessarie e mirate.
Tuttavia, molti osservatori ritengono che non tutte le operazioni rispettano questi criteri. Le denunce di violazioni sistematiche, con danni a civili, azioni in aree dove il cessate il fuoco prevedeva la fine di presenze militari o l’uso di determinate zone, suggeriscono che non tutto possa essere considerato mera autodifesa.
Inoltre, l’assenza di trasparenza su alcuni attacchi e la discrepanza tra le versioni israeliana e libanese su molti episodi complicano la valutazione: quali sonti i fatti oggettivi, quali le prove disponibili, e quanto l’azione israeliana sia coordinata con meccanismi di monitoraggio del cessate il fuoco.
Possibili conseguenze e scenari futuri
La persistenza di questi raid può avere varie implicazioni:
Erosione del cessate il fuoco: se le violazioni aumentano di frequenza e gravità, Hezbollah potrebbe sentirsi costretto a rispondere militarmente, facendo deragliare la tregua.
Pressione diplomatica su Israele: Libano, UNIFIL, e altri attori internazionali potrebbero chiedere maggiore rispetto dell’accordo, sanzioni morali o politiche, o interventi diplomatici per far rispettare la risoluzione ONU 1701.
Centro della narrativa internazionale sul conflitto: ogni raid che coinvolge civili, o che pare sproporzionato, alimenta la critica nei forum internazionali, l’attenzione dei media e la pressione dell’opinione pubblica su Israele.
Possibile ridefinizione degli accordi: se il cessate il fuoco non include condizioni chiare sugli strumenti di verifica, sui limiti operativi e sulla responsabilità, si rischia che esso diventi un accordo sempre più violato, ma formalmente in vigore.
Dieci raid recenti, molte denunce da parte del Libano, le giustificazioni israeliane basate sulla necessità difensiva: la realtà si trova nel mezzo delle due versioni. Non è possibile sostenere che tutti gli attacchi siano semplicemente difensivi, ma nemmeno che Israele agisca sempre come aggressore senza motivo.
Quello che appare certo è che la tregua, già fragile, rischia di crollare se non si instaura un meccanismo più robusto di monitoraggio e trasparenza, e se non si riportano le parti, incluso Hezbollah, sotto gli obblighi assunti: ritiro delle forze, controllo delle armi, rispetto degli spazi civili.
Solo così si potrà valutare se Israele stia difendendo la propria sicurezza, oppure stia proseguendo una strategia che erode la tregua e alimenta cicli di violenza, rappresaglie e sofferenza civile.











