Pace: Hamas avrebbe accettato il riarmo ma Blair non dovrà essere il governatore a Gaza nella fase di transizione
Gaza, 12 ottobre 2025 — In un colpo di scena che potrebbe segnare una svolta nei negoziati per la fine del conflitto israelo-palestinese, fonti vicine alle trattative riferiscono che Hamas avrebbe acconsentito a consegnare le sue armi a un comitato misto egiziano-palestinese, ma rigetta fermamente l’ipotesi che Tony Blair assuma il ruolo di governatore durante la fase di transizione a Gaza. Un rifiuto che non appare simbolico: potrebbe diventare l’ostacolo cruciale per la definizione degli assetti futuri nella Striscia dopo la guerra.
Cosa propongono i mediatori
Secondo quanto riportato da agenzie internazionali (tra cui EFE), nelle conversazioni avvenute al Cairo e a Sharm el‑Sheikh, Hamas ha dichiarato di essere pronta a cedere le armi a un organismo sovrinteso da autorità egiziane e palestinesi. ANSA.it+2RaiNews+2
In cambio, Hamas insiste che la gestione amministrativa e politica della Striscia di Gaza nel periodo di transizione venga negoziata con l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), non con un organismo internazionale, né tantomeno affidata a un comitato di transizione con elementi esterni.
E qui entra in gioco il nodo Blair: l’ex Primo Ministro britannico è stato proposto nel piano statunitense come figura centrale della governance transitoria — in veste di “governatore” o comunque con responsabilità di direzione dell’amministrazione nella fase iniziale. L’Espresso+2RaiNews+2 Ma Hamas respinge categoricamente questa opzione, pur avendo indicato che non è contraria alla presenza di Blair o altri attori internazionali in un ruolo di monitoraggio a distanza.
Le ragioni del rifiuto
Più fonti suggeriscono che il rifiuto della figura di Blair sia motivato da diverse considerazioni:
Sovranità e controllo locale: Hamas vuole mantenere, anche se in forma ridotta e temporanea, un’influenza sulla gestione del territorio. Chiedere che l’amministrazione passi interamente a istanze esterne — anche se “monitorate” dalle potenze internazionali — equivale a perdere il controllo reale sulla vita quotidiana dei palestinesi a Gaza.
Legittimità politica e morale: Tony Blair è una figura controversa agli occhi di molti palestinesi. Il suo coinvolgimento in passato in missioni internazionali, soprattutto in Medio Oriente, è visto da alcuni come parte delle ingerenze esterne. La mera ipotesi che diventi una figura di governo diretto potrebbe essere percepita come una violazione dell’autonomia palestinese. TVS tvsvizzera.it+1
Garanzie di sicurezza: Accettare il disarmo comporta rischi per Hamas e i suoi leader, specie se la supervisione esterna non dovesse garantire protezione effettiva o se dovessero essere perseguiti dopo il trasferimento del potere. Hamas sembra voler condizioni chiare, incluso un accordo che impedisca “persecuzioni” o azioni legali punitive nei confronti dei membri del movimento. RaiNews+1
Composizione dell’autorità di transizione: Il gruppo palestinese propone che l’amministrazione post-conflitto sia gestita da enti palestinesi, in particolare l’ANP, piuttosto che da organi internazionali che includano figure esterne con poteri esecutivi. Questo per evitare che la transizione venga percepita come un’imposizione esterna o un’amministrazione semi-coloniale. ANSA.it+2TVS tvsvizzera.it+2
Gli scenari aperti
Con questa posizione, Hamas pone all’ordine del giorno alcune condizioni sine qua non che potrebbero far saltare o rimodellare il piano negoziato:
Disarmo sì, ma sotto un controllo che dia fiducia: organismo con partecipazione locale e garantito dalle potenze mediatiche internazionali ma senza imporre figure che non siano accettate.
Autogoverno nell’immediato affidato all’Autorità Nazionale Palestinese, o almeno a qualche forma di amministrazione palestinese, con il coinvolgimento di Hamas in ruoli di coordinamento, seppur ristretti.
Ruolo di Blair ridimensionato alla supervisione remota, come osservatore o garante, non come figura esecutiva centrale.
Le reazioni internazionali
Le proposte negoziali soprattutto il piano in 20 punti prodotto dall’amministrazione Trumphanno ricevuto consensi da vari attori, ma anche resistenze interne. Secondo il piano, Blair sarebbe uno degli arbitri della transizione, con un ruolo forte nella nuova entità amministrativa proposta, la Gaza International Transitional Authority (GITA). L’Espresso+1
Israeliani, Stati Uniti, e altri mediatori spingono per un accordo che includa disarmo, ritiro delle forze militari israeliane (almeno in parte), reinserimento degli aiuti umanitari, ruoli amministrativi internazionali, e rilascio degli ostaggi. RaiNews+2L’Espresso+2
Dall’altra parte, editori palestinesi, opinione pubblica locale e Hamas stesso mettono in guardia: la pace non potrà essere sostenibile se la popolazione percepirà di aver perso autonomia, dignità, e voce nel governo del proprio destino.
Possibili evoluzioni
Il negoziato appare in una fase delicata: il rifiuto di Blair come governatore non è un dettaglio trascurabile. Ecco alcuni possibili sviluppi:
Modifica del ruolo di Blair nel piano: potrebbe essere formalizzato un ruolo più limitato, di supervisione internazionale, monitoraggio, o di garanzia istituzionale, senza poteri esecutivi diretti.
Accordo su un’amministrazione palestinese “riconciliante”: coinvolgendo Hamas, l’ANP e altre forze locali, con supporto esterno ma con diretta responsabilità locale.
Rinuncia alla figura del comitato internazionale come ente esecutivo, preferendo strutture locali con supervisione esterna per assicurare trasparenza, logistica, sicurezza.
Garanzie legali e sicurezza per il disarmo: accordi internazionali che assicurino che gli esponenti di Hamas non vengano perseguiti arbitrariamente; forse immunità, forse garanzie diplomatiche.
Le incognite che restano
Anche accettando il disarmo e rifiutando Blair come governatore, l’accordo deve rispondere a molte altre questioni spinose:
Il ritiro parziale o totale delle forze israeliane: quando e come sarà garantito, e sotto quale controllo internazionale o multilaterale.
La ricostruzione infrastrutturale: chi la finanzia, chi la gestisce, come evitare che gli aiuti vengano bloccati o soggetti a corruzione.
La condizione di vita della popolazione civile: accesso a beni di prima necessità, ricostruzione delle abitazioni, sanità, scuole, acqua.
Il rilascio degli ostaggi: tempi, sicurezza, numero, condizioni.
La sicurezza post-transizione: controllo dei confini, dell’aria, della sicurezza interna; prevenzione di riarmo nascosto.
L’accordo che si sta profilando sembra combinare elementi di avanzamento — disarmo, cessate il fuoco, rilascio ostaggi, forniture umanitarie – con una forte resistenza da parte di Hamas su questioni considerate nodali: il controllo politico-amministrativo della Striscia e la figura che guiderà la transizione. Il rifiuto di Tony Blair come governatore non è un capriccio: rappresenta un segnale chiaro che qualsiasi soluzione dovrà bilanciare autorità esterna e legittimità interna.
Se il processo negoziale riuscirà a trovare un punto d’incontro su questi temi, si aprirà una finestra concreta di pace. Se invece le divergenze persisteranno, soprattutto su chi governa e come, allora ogni ipotesi di cessate il fuoco rischierà di rimanere fragile, temporanea, e poco più di un armistizio precario. La sfida ora è costruire un quadro in cui la sicurezza, la dignità, la partecipazione politica e la solidarietà internazionale trovino un equilibrio: senza imporre, ma includere.
Fonti principali: EFE via ANSA, Rainews, TV Svizzera, Sky News Arabia, media internazionali, dichiarazioni ufficiali e fonti palestinesi coinvolte nei colloqui.











