Advertisement

Il discorso di Donald Trump alla Knesset oggi

Gerusalemme, 13 ottobre 2025 — In una cornice solenne e politicamente carica di tensioni, il presidente statunitense Donald J. Trump ha preso la parola davanti al parlamento israeliano, la Knesset, pronunciando un discorso che ambisce a diventare una pietra miliare nella recente storia mediorientale. È il primo presidente degli Stati Uniti a intervenire alla Knesset in questa fase, e lo fa in un momento cruciale: con l’accordo di tregua fra Israele e Hamas in corso di attuazione e con la liberazione progressiva di ostaggi israeliani.

Advertisement

Un’apertura carica di retorica messianica
Il discorso — iniziato con qualche minuto di ritardo, dopo che Trump aveva incontrato i familiari di ostaggi — è stato aperto con un’immagine drammatica e simbolica:

«Dopo tanti anni di guerre incessanti e pericoli continui, oggi i cieli sono quieti, le armi tacite, le sirene silenziose, e il sole sorge su una terra santa finalmente in pace».
Ha mantenuto un tono solenne, dichiarando che non si trattava solo della fine di un conflitto, bensì «la fine dell’era del terrore e della morte e l’inizio dell’era della fede, della speranza e di Dio».

Non ha esitato a dipingere questo momento come «l’alba storica di un nuovo Medio Oriente».

In questo scenario idealizzato, Israele avrebbe finalmente compiuto “tutto ciò che poteva fare con la forza delle armi”, e doveva ora trasformare le vittorie militari in pace e prosperità.

Rivolgendosi ai palestinesi, Trump ha offerto una scelta: abbandonare la via del terrore e puntare alla ricostruzione e al benessere per le proprie famiglie.

E, simbolicamente, ha aperto una mano anche verso l’Iran: pur attaccando le sue politiche nucleari, ha detto che “la mano dell’amicizia” rimane tesa se Teheran vorrà trovare un’intesa pacifica.

Lo sfregio dell’interruzione e la risposta

Nonostante l’atmosfera altamente orchestrata, il discorso non è stato privo di momenti di tensione. Due parlamentari di orientamento opposto  Ofer Cassif e Ayman Odeh del blocco di sinistra Hadash hanno alzato cartelli con la scritta “Recognise Palestine” e gridato dichiarazioni contro il conflitto. Sono stati rapidamente accompagnati fuori dall’aula dal servizio di sicurezza.

Trump ha interrotto appena un attimo, ha sorriso e ironizzato:

«That was very efficient» («È stato molto efficace»)
Quella battuta  a metà fra il plateale e il calcolato  è stata salutata da applausi e risate in aula, restituendo rapidità e controllo all’evento.

Le chiamate inattese: perdono a Netanyahu e il ruolo dell’“eroe”
Il discorso ha preso una piega sorprendente quando Trump ha rivolto una richiesta diretta al presidente israeliano Isaac Herzog: concedere la grazia al primo ministro Benjamin Netanyahu, che affronta processi per corruzione, frode e abuso d’ufficio. Trump ha detto:

«Perché non concedergli una grazia? Sigari, champagne — chi se ne importa?»

La frase, secondo fonti Reuters, non era nel testo predisposto.  

Questa istanza improvvisa ha colto molti di sorpresa e ha inserito nell’arena politica israeliana un elemento di interferenza esplicita, al di là del mero discorso sul conflitto.

In parallelo, Trump non ha mancato di tessere lodi enfatiche a Netanyahu, definendolo un partner coraggioso e patriottico che  pur difficile da trattare  avrebbe reso possibile il momento storico celebrato oggi.

Netanyahu stesso, in un discorso introduttivo, lo ha ringraziato e annunciato che avrebbe candidato Trump al premio Israel (che non è mai stato assegnato a un non israeliano).

Il presidente della Knesset Amir Ohana aveva già preannunciato l’intenzione di promuoverlo come possibile candidato al Nobel per la pace.

Molti osservatori internazionali e regionali guarderanno con interesse alle conseguenze del discorso. L’elemento centrale, ovvero l’accordo di tregua e lo scambio ostaggi che ha restituito venti prigionieri, offre a Trump una narrativa forte: presentarsi come mediatore di pace in grado di comporre equilibri fino a ieri ritenuti impossibili.

Tuttavia, le sue parole su Netanyahu introducono un fattore di complicazione interna: una sorta di pressione discreta su istituzioni israeliane distinte (il presidente, la magistratura) per influenzare esiti giudiziari in corso. In uno Stato in cui i poteri sono separati e le procedure giudiziarie altamente politicizzate, tale richiesta è destinata a suscitare critiche e resistenze.

In Israele si sono registrate assenze in aula: alcuni esponenti della coalizione e del Likud hanno boicottato il discorso di Trump per contestare le sue proposte per la Striscia di Gaza.

Sul piano regionale, l’apertura verso l’Iran, la retorica di pace e la proposta di normalizzazione più ampia risuonano come monito per altri attori  Arabia Saudita, Egitto, Emirati e autorità palestinesi  affinché si allineino a un nuovo paradigma negoziale. Trump ha rimarcato il ruolo di paesi arabi e musulmani che avrebbero contribuito a pressioni su Hamas per liberare ostaggi.

Ma le sfide restano enormi.

Un discorso carico di speranza, ma fragile nella sostanza
Trump ha costruito il discorso attorno a parole chiave forti: pace, rinascita, speranza, fede. La metafora dell’alba storica è il filo rosso che lega ogni segmento, fino ad ammantare l’intervento di una valenza quasi profetica.

Eppure, dietro la retorica, sono molte le incognite: l’effettiva attuazione del cessate-il-fuoco, la gestione della ricostruzione della Striscia di Gaza, il rispetto dei diritti umani e dei flussi umanitari, il destino dei prigionieri palestinesi, le relazioni con il regime iraniano e la stabilità delle coalizioni politiche israeliane.

Nel breve termine, l’“operazione storica” di Trump si regge su un fragile equilibro: la volontà delle parti, l’efficacia del meccanismo internazionale e il sostegno materiale necessario per trasformare l’ideale in realtà.

Il suo appello pubblico al perdono a Netanyahu è una carta rischiosa: potrebbe essere interpretato come protezionismo politico estero, sollevando reazioni sia interne che internazionali.

In definitiva, il discorso consegna a Trump un’immagine di mediatore-coraggioso e protagonista di una nuova stagione mediorientale. Ma gli occhi del mondo e della storia valuteranno non le parole, bensì gli atti che seguiranno.

Il discorso di Trump alla Knesset si colloca al crocevia tra aspirazione e realtà. È un’esibizione potente di simboli, un atto politico strategico e una scommessa sul futuro. Se sarà ricordato come un momento di svolta o come un episodio retorico dipenderà non dalle sue frasi più ardite, ma dalla capacità di tradurle in pace duratura.

Alcune fonti su questo evento

Reuters
Trump urges Israel’s president to pardon Netanyahu
oggi

nypost.com
President Trump hailed as a ‘colossus’ and ‘giant of Jewish history’ during address in Israeli parliament
oggi

thesun.co.uk
Dramatic moment left wing protesters are bundled out of Israel parliament during Trump speech before his priceless reply
oggi

Informazione equidistante ed imparziale, che offre voce a tutte le fonti di informazione

Advertisement
Articolo precedenteDicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede | Conciliazione 5 | VIVIAN SUTER
Articolo successivoTrump si arrabbia con Netanyahu perché si è rifiutato di dire che la guerra è finita

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui