La ministra Roccella: “le gite ad Auschwitz antifasciste”
Un caso politico, culturale e morale che scuote l’Italia
Roma, 13 ottobre 2025 – Le parole pronunciate sabato al convegno dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane da Eugenia Maria Roccella, ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità, hanno scatenato un terremoto politico e culturale. In un intervento dedicato all’antisemitismo e alla memoria storica, la ministra ha sostenuto che le visite scolastiche ad Auschwitz sarebbero state “incoraggiate e valorizzate” per trasmettere l’idea che l’antisemitismo fosse un problema confinato al fascismo. È stata letta come una provocazione grave: un tentativo, secondo molti, di riscrivere responsabilità storiche consolidando una narrazione che minimizza se non rimuove il ruolo del nazismo.
Il discorso che ha infiammato il dibattito
Durante il convegno intitolato “La storia stravolta e il futuro da costruire”, ospitato al CNEL a Roma, la ministra ha chiesto provocatoriamente: «Tutte le gite scolastiche ad Auschwitz, cosa sono state? Sono state gite? A che cosa sono servite?» A suo avviso, queste visite furono “incoraggiate e valorizzate perché servivano effettivamente all’inverso: servivano cioè a dirci che l’antisemitismo era qualcosa che riguardava un tempo ormai collocato nella storia, e collocato in una precisa area: il fascismo”. LaPresse+2Agenzia Dire+2
Da qui la sua conclusione: «Le gite ad Auschwitz secondo me sono state un modo per ripetere che l’antisemitismo era una questione fascista e basta». Agenzia Dire+2la Repubblica+2 Per Roccella, il problema odierno ha aggiunto non è solo ricordare il passato, bensì «fare i conti con il nostro antisemitismo, senza illuderci che tutto si sia esaurito in un’epoca storica e in un’area politica». Agenzia Dire+1
Non si è limitata al passato: ha denunciato una supposta legittimazione odierna dell’antisemitismo, favorita dal conflitto israelo-palestinese, e criticato l’uso del termine “genocidio” come strumento retorico. Agenzia Dire+2la Repubblica+2
Le reazioni: indignazione, stupore, invito al chiarimento
Le sue affermazioni hanno provocato reazioni immediate e dure da parte dell’opposizione, della società civile e della stessa comunità della Memoria.
Francesco Verducci (Pd), vicepresidente della commissione parlamentare contro razzismo e antisemitismo, ha definito le parole di Roccella “deliranti e vergognose”. Ha ricordato che i viaggi di istruzione ad Auschwitz non sono “gite” banali, bensì momenti essenziali di formazione civile e storica, e che attribuire loro una funzione propagandistica è un vulnus alla verità storica. Agenzia Dire+2infosannio+2
Angelo Bonelli (Alleanza Verdi e Sinistra) ha attaccato: «La Roccella dà una lettura provinciale del ricordo dell’Olocausto attraverso le gite scolastiche, sminuendo il ruolo del nazifascismo». Corriere della Sera+2infosannio+2
Sandro Ruotolo, nella segreteria Memoria del PD, ha parlato di “superamento di ogni limite”: considerare quelle visite come strumento politico è, secondo lui, un tentativo di riscrivere la storia. L’eco del Sannio
Il messaggio di Liliana Segre: da una testimone, lo sconcerto
Tra le reazioni più forti e moralmente pregnanti spicca quella di Liliana Segre, senatrice a vita e sopravvissuta all’Olocausto. La ministra ha definito le visite ad Auschwitz “gite”; Segre ha replicato con accoratezza: «Stento a credere che una ministra della Repubblica, dopo avere definito ‘gite’ i viaggi di istruzione ad Auschwitz, possa avere detto che sono stati incoraggiati per incentivare l’antifascismo». Informazione+3LaPresse+3la Repubblica+3
Secondo Segre, nazisti e fascisti realizzarono insieme «una colossale industria della morte per cancellare dalla faccia della terra ebrei, rom e sinti e altre minoranze». La formazione delle nuove generazioni, ha aggiunto, deve partire dalla conoscenza storica, non da una sua reinterpretazione ideologica: «La memoria della verità storica fa male solo a chi conserva scheletri negli armadi». Corriere della Sera+1
La replica della ministra: chiarimenti, polemiche, audizione
Di fronte all’ondata di critiche, Roccella ha reagito negando che il suo intento fosse revisionista: ha accusato la sinistra di strumentalizzare le sue parole per ridicolizzare la sua figura e le sue idee. LaPresse+2Corriere della Sera+2
Ha ribadito che i viaggi ad Auschwitz sono «strumento fondamentale» per tramandare memoria e orrore. Tuttavia, ha insistito che non basta condannare il passato senza denunciare il presente: «Condannare l’antisemitismo di allora senza fare i conti con l’antisemitismo che oggi alligna, è questo sì una strumentalizzazione». LaPresse+2Agenzia Dire+2
Ha annunciato che chiederà di essere ascoltata in Commissione Segre per chiarire ogni dubbio. TGLA7+1
Riporterà anche un contatto diretto con la senatrice Segre, che si è detta disposta ad ascoltare le sue spiegazioni. Corriere della Sera+2la Repubblica+2
Un tema (di memoria) che interroga la democrazia
Il caso sollevato da Roccella non è un episodio sterile: va al cuore del rapporto tra Stato e memoria storica, della funzione delle scuole, del dovere di custodire il passato per proteggere il presente da rigurgiti di odio.
Una ministra incaricata di promuovere pari opportunità e coesione sociale ha scelto una metafora provocatoria: definire “gite” le visite ai lager e rimproverare di “ridurre l’antisemitismo al fascismo” può suonare come un appello a neutralizzare il peso simbolico originario. La conseguenza volontaria o involontaria è una banalizzazione della Shoah e una delegittimazione della memoria condivisa.
In un’Italia dove il negazionismo e la revisionismo sembrano trovare terreno fertile, dichiarazioni come quelle di Roccella non possono essere assorbite come “disattenzioni retoriche”. Esse chiamano una risposta istituzionale, culturale e civica: chi rappresenta il potere pubblico ha una responsabilità maggiore sul linguaggio, sull’interpretazione del passato, sull’orientamento delle coscienze (e dei curricula scolastici).
La tempesta mediatica e politica che è esplosa in poche ore non sorprende: la Storia non è neutra, non è materia da trattare con leggerezza e non può diventare strumento tattico. Il Parlamento, gli storici, le scuole, le comunità ebraiche, le associazioni della memoria e i cittadini aspettano una risposta chiara: che si confermi la centralità della Shoah nelle nostre coscienze, si difenda l’integrità della verità storica e si richiami ciascuno al dovere del rispetto — non come gesto rituale, ma come presidio di civiltà.
Epilogo pro tempore
La vicenda è ancora in corso. Resta da vedere se la ministra accetterà di comparire davanti alla Commissione, se potrà fornire scuse o correzioni di rotta, e se il governo prenderà le distanze da quelle parole. In ogni caso, la disputa ha già messo in luce una tensione profonda nel Paese: tra la memoria garantita e la memoria plasmabile, tra il ricordo che unisce e il ricordo che divide. Il tempo e le istituzioni saranno chiamati ad un compito complesso: non che la Shoah venga ricordata, ma che venga compresa, sapendo che ogni generazione ha l’obbligo di difenderla non come “gita”, non come strumento ideologico, ma come monito permanente.











