Garlasco. La vergogna per la verità sull’omicidio della povera Chiara sembra essere molto più grave della morte stessa della ragazza
Garlasco, un tranquillo paese della Lomellina, è da anni sinonimo non di pace e quotidianità rurale, ma di mistero, dubbi e una giustizia che fatica ancora oggi a mostrarsi credibile. A più di quindici anni dall’omicidio di Chiara Poggi, una giovane donna trovata senza vita nella sua abitazione il 13 agosto 2007, ciò che resta oltre al dolore dei familiari è un senso profondo di vergogna collettiva. Non solo per il delitto in sé, ma per come è stato affrontato da chi avrebbe dovuto fare luce, offrire verità e giustizia.
Alberto Stasi, il fidanzato della vittima, è stato al centro delle indagini sin dal primo momento. Prima assolto, poi condannato, in un susseguirsi di perizie, controperizie, sentenze ribaltate, dettagli trascurati e colpi di scena degni di un romanzo giallo. Ma questo non è un romanzo. È una tragedia vera, vissuta da persone reali. E ciò che dovrebbe indignare non è soltanto il delitto, ma il contesto di incertezze, omissioni e contraddizioni che hanno segnato il percorso processuale.
Chiara Poggi aveva 26 anni. Laureata, una vita davanti, sogni e speranze. Una mattina d’agosto viene uccisa con estrema violenza. I genitori, ancora oggi, cercano risposte che non suonino come mere costruzioni tecniche. La domanda che assilla molti italiani non è più solo “chi l’ha uccisa?”, ma “possiamo davvero fidarci della giustizia?”.
Il caso Garlasco è diventato il paradigma di un sistema giudiziario che spesso appare più interessato all’autoconservazione che alla verità. Le evidenze sono state contestate, reinterpretate, in alcuni casi persino smarrite. I media, come spesso accade, hanno contribuito a trasformare il dolore in spettacolo, inquinando l’opinione pubblica con processi paralleli e verdetti televisivi. Ma ciò che è peggio è il senso di impotenza che ne è derivato.
Per molti, la vicenda rappresenta il fallimento dello Stato nel suo compito primario: garantire giustizia. Il dolore della famiglia Poggi è stato amplificato dall’assenza di una verità limpida, dall’impressione terribilmente concreta che si sia fatto di tutto per chiudere un caso piuttosto che per risolverlo davvero. E se la morte di Chiara è una tragedia immensa, lo è forse ancora di più l’incapacità del sistema di restituirle dignità attraverso la verità.
Oggi, in un’Italia che continua a interrogarsi su questo caso, la sensazione più amara è che l’intero Paese abbia perso qualcosa. Non solo una giovane vita, ma anche la fiducia. La vergogna di non essere riusciti, come comunità, a pretendere e ottenere giustizia vera è una ferita ancora aperta. Forse più profonda di quella inferta dal killer.
Chiara meritava molto di più. E con lei, anche tutti noi.











