Titolo: La destra dà il via libera ai pignoramenti per chi non paga le bollette, senza passare da un giudice
ROMA – Con una mossa che ha già acceso un vivace dibattito politico e sociale, la maggioranza di centrodestra ha approvato in Parlamento una norma che consente il pignoramento diretto dei beni per i cittadini morosi nei confronti delle aziende fornitrici di luce, gas e acqua. Il provvedimento, inserito in un emendamento al decreto energia, introduce una novità destinata a far discutere: non sarà più necessario un passaggio davanti a un giudice per procedere al recupero coattivo dei crediti non pagati.
La norma, fortemente sostenuta dalla Lega e da Fratelli d’Italia, punta – secondo i proponenti – a “snellire le procedure burocratiche” e a “rafforzare i diritti delle aziende fornitrici, spesso lasciate sole di fronte a una morosità crescente”. Ma per le opposizioni si tratta di una misura “draconiana”, che colpisce in modo sproporzionato le famiglie in difficoltà e mette in discussione principi fondamentali del diritto alla difesa.
Il meccanismo prevede che, dopo un preavviso formale e un termine per saldare il debito (che può variare tra i 20 e i 30 giorni), le società fornitrici possano rivolgersi direttamente a un ufficiale giudiziario per avviare il pignoramento, bypassando del tutto la fase giudiziaria. L’unica condizione è che il debito sia documentato e non contestato.
“Non stiamo parlando di soprusi, ma di civiltà dei pagamenti,” ha dichiarato in Aula il senatore Guido Trambusti (FdI). “Non possiamo più permettere che chi non paga le bollette continui a usufruire dei servizi senza conseguenze, mentre chi è in regola si sobbarca costi maggiorati.”
Ma il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle annunciano battaglia. “È un attacco frontale ai più vulnerabili,” afferma Elly Schlein, segretaria del PD. “Con l’inflazione alle stelle, le famiglie faticano a pagare anche i beni essenziali. La risposta dello Stato dovrebbe essere il sostegno, non l’aggressione.”
Anche le associazioni dei consumatori si sono schierate contro la misura. Federconsumatori e Codacons denunciano il rischio di abusi e sollevano dubbi sulla costituzionalità del provvedimento. “Togliere la possibilità di difendersi in tribunale equivale a mettere i cittadini in balia dei privati,” si legge in un comunicato congiunto.
Le aziende fornitrici, invece, accolgono con favore la novità. “Ogni anno registriamo miliardi di crediti inesigibili,” spiega l’amministratore delegato di una grande multiutility del Nord. “Questa norma ci permetterà di agire più rapidamente e di garantire maggiore equità a chi paga regolarmente.”
Intanto, il Governo rassicura: saranno previste “tutele minime” per i casi di morosità incolpevole, come malattie, disoccupazione o redditi bassi, ma i dettagli saranno definiti in un decreto attuativo atteso entro fine novembre.
Il rischio, però, è che nel frattempo crescano le tensioni sociali. In un Paese dove oltre 3 milioni di famiglie sono in condizione di povertà energetica, la minaccia di vedersi pignorati i beni senza passare per un tribunale rischia di diventare la miccia di un nuovo fronte di protesta.
Perché la norma sui pignoramenti senza giudice è (probabilmente) incostituzionale
ROMA – L’approvazione, da parte della maggioranza di centrodestra, della norma che consente alle aziende fornitrici di luce, gas e acqua di procedere a pignoramenti diretti dei beni mobili o immobili dei cittadini morosi senza l’intervento di un giudice ha acceso, oltre al dibattito politico, un vero e proprio allarme giuridico. Secondo numerosi esperti, infatti, la misura potrebbe violare diversi principi costituzionali, rendendola potenzialmente impugnabile.
In particolare, i rilievi più gravi riguardano la violazione dell’articolo 24 della Costituzione, che garantisce il diritto alla difesa in ogni stato e grado del procedimento. Consentire a soggetti privati di agire in via esecutiva, senza che un giudice abbia accertato la legittimità del credito, mette in discussione proprio questa garanzia fondamentale.
«Il diritto alla tutela giurisdizionale non può essere sacrificato sull’altare dell’efficienza amministrativa», ha dichiarato il costituzionalista Massimo Villone. «Ogni azione coercitiva sul patrimonio di un cittadino – come un pignoramento – deve passare dal vaglio di un giudice, altrimenti si apre la strada a potenziali abusi e a una pericolosa privatizzazione della giustizia.»
C’è poi un altro aspetto: l’articolo 3 della Costituzione, che stabilisce il principio di uguaglianza. Questa norma, se attuata così com’è, potrebbe colpire in modo sproporzionato i cittadini economicamente più fragili, aumentando le diseguaglianze sociali e negando di fatto il diritto a una tutela equa.
Il meccanismo previsto dalla norma – un semplice preavviso da parte del creditore, seguito dall’esecuzione forzata da parte dell’ufficiale giudiziario – scavalca l’autorità giudiziaria, trasformando le aziende fornitrici in giudici e parti allo stesso tempo. E qui si apre un ulteriore fronte di possibile incostituzionalità: l’articolo 101 della Carta stabilisce che “la giustizia è amministrata in nome del popolo” e che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”.
Le opposizioni hanno già annunciato un ricorso alla Corte Costituzionale, qualora il provvedimento diventasse legge senza modifiche. Anche il presidente emerito della Consulta, Giovanni Maria Flick, ha espresso “fortissime perplessità” in un’intervista: «Si tratta di una norma che, se confermata, rischia di sovvertire il principio della separazione dei poteri.»
Intanto, giuristi e associazioni si preparano a impugnare la norma, sia a livello costituzionale che davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in quanto potrebbe violare anche la Convenzione europea, che garantisce il diritto a un equo processo (art. 6 CEDU).
Se il Governo non interverrà con correttivi, la questione rischia di non restare solo giuridica, ma di assumere un profilo esplosivo sul piano sociale e istituzionale.











