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Massimo Lovati, ex avvocato difensore di Andrea Sempio: “Io sono così, a volte sembro un avvocato e a volte sembro una puttana”

A ben vedere, il comportamento dell’ex avvocato si Andrea Sempio risponde ad una strategia ben precisa.

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Volendo considerare il brogliaccio giudiziario al cospetto del quale sembra lontana una specificazione definitiva, massimo Lovati sconquassa l’opinone pubblica prima e quella giudiziaria dopo, mischiando verita’ e butade con la stessa facilita’

A pensarci bene, dicevo, sembra una strategia addirittura migliore rispetto a frasi scontate del tio:”il mio cliente e’ innocente” e basta. Quale difensore anche se non credesse  fermamente nella innocenza del suo cliente direbbe: “il mio cliente e’ colpevole?”

Non si puo’ certo affermare che questa storia di Garlasco, se non fosse una tragedia rappresentata dall’omicidio di una ragazza giovanissima, sarebbe sicuramente una barzelletta. Massimo Lovati, direbbero al nord, ciurla nle manico della provocazione sparando dichiarazioni piu’ omeno credibili sperando, tutto sommato, che servano a smuovere uno strato di melma, a diradare una nebbia fitta intorno a Garlasco in maniera tale da sperare che una strada nuova possa palesarsi all’orizzonte. Tutto questo pero’. e l’avvocato Lovati lo sa bene, potrebbe procurargli qualche fastidio il cui rischio accetta di buon grado. Che la sua tecnica, la sua tattica in quel particcio di tre sentenze in 18 anni si rivelera’ addirittura dirimente nella soluzione del delitto di Chiara Poggi?

In un’intervista che ha già fatto discutere gli ambienti giudiziari e non solo, Massimo Lovati, ex avvocato difensore di Andrea Sempio, ha rilasciato dichiarazioni tanto sorprendenti quanto emblematiche del clima che si respira dietro le quinte di certi casi giudiziari. “Io sono così, a volte sembro un avvocato e a volte sembro una puttana,” ha detto senza mezzi termini, lasciando intendere una visione tanto disillusa quanto consapevole del proprio ruolo in un sistema spesso opaco.

Lovati, volto noto del foro milanese, ha difeso per un breve ma intenso periodo Andrea Sempio, il giovane al centro di una controversa pista investigativa nel caso legato alla morte di Chiara Poggi, che nel 2007 sconvolse la tranquilla cittadina di Garlasco. Sempio fu indicato, anni dopo l’omicidio, come possibile sospettato da consulenti della difesa di Alberto Stasi, all’epoca condannato in via definitiva.

Il coinvolgimento di Sempio nella vicenda non sfociò mai in un’indagine formale, ma il solo accostamento del suo nome al caso fu sufficiente a scatenare clamore mediatico e tensioni tra studi legali, magistrati e giornalisti. Lovati, che allora scelse di difendere Sempio, si trovò al centro di un contesto in cui, come lui stesso ammette oggi, “la verità giuridica e quella mediatica si combattono più che mai.”

Nell’intervista, Lovati sembra voler raccontare una realtà più profonda del semplice scontro tra accusa e difesa: “Fare l’avvocato in certi casi è come stare su un filo sottile, tra etica e strategia. A volte difendi, a volte ti vendi. È brutto da dire, ma è la verità di chi vive certe aule.”

Le sue parole non vogliono essere un’accusa a singoli attori del sistema, ma piuttosto una riflessione amara su come si siano evolute le dinamiche tra giustizia, comunicazione e potere. “Oggi non basta essere tecnicamente preparati. Devi sapere giocare con i media, con le emozioni, con le percezioni. È lì che mi sento a volte come una puttana: ti esponi, ti adatti, vendi la tua immagine per un risultato.”

Le reazioni non si sono fatte attendere. Alcuni colleghi lo hanno criticato per l’uso di termini ritenuti volgari e dannosi per l’immagine della categoria, mentre altri lo difendono: “Lovati dice ciò che molti pensano e nessuno ha il coraggio di dire,” ha commentato un avvocato penalista milanese che ha preferito restare anonimo.

Nel frattempo, Andrea Sempio ha scelto di non commentare. Il suo nome, per quanto scagionato da qualsiasi accusa formale, resta legato a un capitolo oscuro della giustizia italiana. E anche se Lovati oggi non lo rappresenta più, le sue parole gettano nuova luce – forse cruda, ma necessaria – sul mestiere dell’avvocato difensore nel XXI secolo.

 

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