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Finalmente: se lo stipendio è troppo basso, il giudice può intervenire aumentandolo

In una recente e significativa evoluzione del diritto del lavoro italiano, la Corte di Cassazione ha sancito che, in casi estremi, un giudice può disapplicare i minimi retributivi contrattuali e fissare una retribuzione più elevata quando quella riconosciuta è palesemente inadeguata. È un passo che rafforza la tutela dei lavoratori, specie in un contesto in cui molte buste paga restano al di sotto della soglia dignitosa.

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La sentenza chiave è la n. 27711 del 2 ottobre 2023. Secondo la Suprema Corte, l’articolo 36 della Costituzione non si limita a enunciare un principio generico: esso garantisce al lavoratore una retribuzione «proporzionata alla quantità e qualità del lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». Se il minimo retributivo contrattuale viola quel canone costituzionale, il giudice può oltrepassarlo e stabilire un nuovo importo.

In pratica, viene riconosciuto un “salario minimo costituzionale” che prevale sui contratti collettivi quando questi risultano insufficienti. Nel caso concreto, il giudice non solo ha respinto l’argomento che il CCNL fosse intoccabile, ma ha affermato che – solo in quelle ipotesi – può intervenire d’ufficio e riqualificare la retribuzione.

Un esempio eclatante: a Milano, un tribunale del lavoro ha condannato un’azienda che corrispondeva una paga oraria di 3,96 euro (pari a un netto mensile di circa 640 euro) per un’impiegata con contratto continuativo. Il giudice ha definito tale retribuzione «anticostituzionale», perché incapace di garantire una vita dignitosa.   Di fatto, è stato imposto un adeguamento mensile – una differenza “riparatoria” fra quanto corrisposto e quanto ritenuto congruo.

Tuttavia, non siamo di fronte a un automatismo legale: il giudice può intervenire solo in casi eccezionali. Serve che la paga sia palesemente al di sotto della soglia minima necessaria — ben al di sotto di quanto si possa ritenere “dignitoso” nel contesto sociale ed economico in cui il lavoratore vive. Laddove la retribuzione contrattuale soddisfi già in modo ragionevole i criteri costituzionali, l’intervento giudiziario non è ammesso.

È importante sottolineare che questa potenzialità riguarda soprattutto il lavoro privato. Nel pubblico impiego, la contrattazione collettiva ha un ruolo dominante nel determinare la retribuzione di base, e il giudice non può sostituirsi al contratto per creare voci retributive straordinarie, salvo nei casi espressamente previsti dalla legge. LexCED Inoltre, la giurisprudenza richiama la Direttiva UE 2022/2041 come parametro utile per comparare la retribuzione e verificare la sua adeguatezza.

Il nuovo orientamento della Corte segna una battuta d’arresto per il “salario al ribasso” che spesso si nasconde dietro la copertura formale di un CCNL. Stabilisce che non basta formare giuridicamente una paga conforme al contratto: se quel contratto diventa strumento di compressione salariale, non può supplire al dettato costituzionale. LavoroSi+3PMI+3Money.it+3

Certo, restano numerosi interrogativi: come stabilire il nuovo importo in concreto? Quali criteri statistici o economici utilizzare? Quali settori vedranno più casi? E quanti giudici saranno disposti ad affrontare simili questioni? L’applicazione pratica di questo principio dipenderà dalle decisioni dei magistrati, dalla capacità degli avvocati di inserirlo nei ricorsi e, non da ultimo, dalla disponibilità degli operatori contrattuali a correggere contratti troppo laschi.

Ma una cosa è certa: nel panorama della giustizia sociale italiana, si è fatto un passo avanti. Quando lo stipendio è veramente troppo basso, il giudice  pur entro limiti rigorosi  può ora intervenire e garantire al lavoratore un salario più equo.

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