Garlasco. Andrea Velardi filosofo, psicologo e docente Unicusano a ‘Fatti di nera’: «A Garlasco tante persone che dovevano essere indagate non sono state indagate»
Una città che torna ad interrogarsi sul proprio passato. Garlasco, piccolo centro della provincia pavese reso tristemente noto per il caso di Chiara Poggi, torna al centro dell’attenzione grazie all’intervento di Andrea Velardi, filosofo, psicologo clinico e docente presso la Università Niccolò Cusano. Invitato al programma televisivo e d’approfondimento giuridico-criminale «Fatti di Nera», Velardi ha lanciato una critica severa e articolata: «A Garlasco tante persone che dovevano essere indagate non sono state indagate».
Velardi non è un semplice commentatore d’attualità. Viene presentato nei comunicati come filosofo e psicologo, docente dell’Università Niccolò Cusano. cusanomediaplay.it+2politicamentecorretto.com+2 Ha insegnamenti nei settori della filosofia dei processi cognitivi, emotivi, filosofia della mente e ha una lunga attività accademica alle spalle. ricerca.unicusano.it+1
La sua competenza spazia dall’analisi dei meccanismi di memoria e percezione al ruolo della narrazione nelle indagini, rendendolo interlocutore insolito – ma efficace – nell’ambito della cronaca nera.
L’intervento a «Fatti di Nera»
Nel corso della trasmissione, Velardi ha affrontato senza mezzi termini il caso Poggi–Garlasco, ricordando che l’intera vicenda è traversata da ombre che non si sono spente con le sentenze definitive. cusanomediaplay.it+1
La frase-chiave è emersa così: «A Garlasco tante persone che dovevano essere indagate non sono state indagate». Un’affermazione forte, che richiama non soltanto le responsabilità individuali, ma un sistema investigativo e giudiziario che – secondo il docente – avrebbe lasciato zone d’ombra.
I punti critici sollevati
Velardi ha articolato il suo ragionamento su diversi piani:
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Il peso della prima ipotesi investigativa: afferma che nei casi complessi la prima lettura degli inquirenti tende ad assumere un ruolo dominante, spesso anche quando emergono elementi contrari o alternativi. In buona parte ciò è legato al racconto narrativo che si costruisce sulle prime ore. politicamentecorretto.com+1
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La memoria dell’operatore e la costruzione del racconto: Velardi richiama la distinzione fra memoria pura e memoria che si adatta al racconto che si deve dare – un aspetto fondamentale per soggetti che lavorano in ambienti ad alta pressione. politicamentecorretto.com+1
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Zone d’ombra nell’inchiesta su Garlasco: Secondo Velardi, vi sarebbero soggetti, circostanze e tracce che non hanno ricevuto adeguata attenzione. In concreto -ha detto- «non solo quello che è stato indagato, ma quello che non è stato indagato» merita un esame.
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Il rischio di “verità processuale” che diventa dogma: Quando un’ipotesi viene adottata come strada principale, può diventare difficile tornare indietro. Velardi mette in guardia sul fatto che, anche a distanza di anni, quel tipo di verità lo diventa non solo nel processo ma nella percezione pubblica. politicamentecorretto.com+1
Il contesto della vicenda di Garlasco
Per chi non fosse pienamente familiare con la cronaca: il delitto di Chiara Poggi avvenne il 13 agosto 2007 nella villetta della famiglia, a Garlasco. L’iter investigativo e giudiziario si è protratto per anni, con condanna definitiva per Alberto Stasi nel 2015. Tuttavia, come sottolineato da più osservatori, la vicenda ha continuato a generare domande senza risposte. cusanomediaplay.it+1
In questo contesto, l’intervento di Velardi ha puntato il dito non contro una singola persona, ma contro un sistema che a suo dire non ha esplorato tutte le piste.
La dichiarazione lanciata da Velardi ha diverse implicazioni per la comunità di Garlasco e per la cultura della giustizia in Italia:
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Per la comunità locale: Riaprire interrogativi su un caso che Garlasco porta con sé da decenni significa ri-mettere al centro la dimensione della fiducia nelle istituzioni e nella trasparenza degli atti. Le parole di Velardi possono stimolare un clima di confronto, ma anche di dolore, perché tornano a bussare alle ferite aperte.
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Per il sistema investigativo e giudiziario: Emergerebbe la necessità di guardare oltre la prima pista, di accettare l’incertezza come parte del lavoro investigativo e di non cadere nella trappola del “caso chiuso” semplicemente perché conveniente o mediaticamente accettato.
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Per il ruolo della memoria pubblica e della narrazione mediatica: Velardi richiama la questione del racconto che diventa storia, e della memoria che si forgia non solo sui fatti ma su come essi vengono comunicati. Perché, conclude, «chi controlla il racconto controlla anche la verità percepita».
Quali piste ancora da esplorare?
Velardi non ha indicato nomi specifici su chi «doveva essere indagato ma non è stato indagato». Tuttavia, la sua affermazione apre nuovi ambiti di riflessione:
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Verificare se ci siano state persone interpellate solo come testimoni che avrebbero potuto essere indagate.
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Esaminare se elementi materiali, come impronte o tracce, siano stati valutati in modo completo o se vi siano stati limiti tecnici/organizzativi. cusanomediaplay.it+1
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Rivedere le comunicazioni interne agli atti investigativi: ipotesi alternative, false partenze, pressioni mediatiche che possono aver inciso nelle prime ore.
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Valutare come sia stato gestito il rapporto fra investigatorie e comunicazione pubblica: fino a che punto le dichiarazioni iniziali hanno orientato la percezione dell’inchiesta.
Le resistenze all’apertura di nuovi scenari
È utile ricordare che riaprire scenari già chiusi non è semplice. Ci sono ostacoli:
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Il principio della cosa giudicata e il rispetto dei ruoli delle forze dell’ordine e della magistratura. Una revisione richiede elementi nuovi, non solo interrogativi.
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Un clima sociale che ha ormai consolidato una verità processuale e che può opporre resistenza a revisioni, per timore di “riaprire la ferita”.
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La fatica della comunità che si è abituata a convivere con un epilogo della vicenda e che deve ora mettere in conto il filtro della rinnovata indagine o analisi.
Le parole di Andrea Velardi lanciano un sasso nello stagno della memoria garlaschese: «A Garlasco tante persone che dovevano essere indagate non sono state indagate». Sono parole che non offrono certezze, ma che invitano a resistere all’oblio, a non dare per scontato che ogni domanda abbia già avuto risposta.
In fondo, la vicenda di Garlasco non è solo un caso di cronaca: è un banco di prova per il rapporto fra giustizia, narrazione e comunità. Velardi ci ricorda che dietro ogni indagine c’è un ecosistema più vasto della mera prova: c’è la percezione, la memoria, la fiducia. E se qualcuno non è stato indagato, allora – per la comunità, per la storia – resta qualcosa di incompleto.
Ora la domanda aperta è: chi (e cosa) farà il passo verso quella zona d’ombra che Velardi ha indicato? Garlasco, come tutta l’Italia, attende.











