La testimonianza dei medici canadesi tornati da Gaza
Alla vigilia del quinto anno del conflitto nella Striscia di Gaza, un gruppo di medici canadesi rientrati da missioni sul campo ha deciso di rompere il silenzio. Le loro parole – crude, senza filtri – raccontano non solo la devastazione materiale, ma la quotidianità del dolore invisibile: vite spezzate, bambini che non piangono più, ospedali senza corrente, acqua né anestetici. Il messaggio è urgente: «non si tratta più di una crisi, ma di un’omissione collettiva».
Il ritorno e la testimonianza
Tra questi medici spicca la figura della Deirdre Nunan, chirurga ortopedica della Saskatchewan, che ha vissuto cinque missioni nella Striscia e rientrata nel 2025. «Non avrei mai pensato che si potesse peggiorare e invece è successo» ha dichiarato in una conferenza stampa a Ottawa. globalnews.ca+2CityNews Ottawa+2
Nella stessa conferenza, ha affermato: «Come chirurgo non posso curare un genocidio. Come medico non posso fermare una carestia». cp24.com
Un altro testimoniante è il dottor Yipeng Ge, medico di famiglia e membro di una squadra canadese di soccorso. Ha definito il sistema umanitario imposto nella Striscia di Gaza «uno strumento coloniale e imperiale», coordinato secondo lui per prolungare la sofferenza piuttosto che alleviarla. Anadolu Ajansı
Durante una missione nella città di Khan Younis, Ge racconta di aver seguito bambini di 12-14 mesi che non camminavano più a causa della malnutrizione. Anadolu Ajansı+1
Interviste raccolte da testate canadesi raccontano ambienti di lavoro al collasso: «centinaia di morti al giorno, ospedali l’unica possibilità in una città sotto assedio», ha detto il dottor Tarek Loubani, medico canadese-palestinese. thelinknewspaper.ca
Dentro l’ospedale: cronaca di un disastro annunciato
La scena descritta dai medici è quella di strutture sanitarie che sopravvivono più che vivono. Nelle parole della dottoressa Nunan: «C’erano giorni in cui non avevamo carburante per far funzionare i generatori, così i chirurghi sudavano dentro le sale operatorie mentre operavano». globalnews.ca
Secondo la testimonianza, le operazioni erano talvolta eseguite sotto tende, con acqua in bottiglia usata per lavarsi le mani, pochi analgesici o anestetici, e bambini con ferite che «non ho mai visto in tutta la mia carriera». globalnews.ca
Yipeng Ge descrive la fame come «visibile» già durante la sua missione e peggiorata: «Stavamo curando bambini che avrebbero dovuto camminare ma non lo facevano». Anadolu Ajansı
Le cause del disastro sanitario vanno ben oltre le bombe: mancanza di carburante, elettricità intermittente, acqua contaminata, infrastrutture distrutte. Secondo il rapporto di una squadra di medici, erano attivi circa 18 ospedali su 36 in parziale funzionamento. globalnews.ca+1
Alle testimonianze cliniche si accompagna una richiesta politica forte: i medici tornati chiedono al governo del Canada di andare oltre le dichiarazioni. Il riconoscimento della Stato di Palestina non basta, dicono, se non accompagnato da un embargo reale sulle armi e da una ripresa aid flow costante verso Gaza. globalnews.ca+1
“Se un popolo non ha accesso all’acqua, al cibo, alle cure si chiede Nunan cosa resta della dignità umana?” Il richiamo è forte: «Ci aspettiamo che il Canada rispetti i propri obblighi di diritto umanitario internazionale». globalnews.ca
Il dottor Ge definisce la distribuzione degli aiuti come «un sistema imposto che prolunga la sofferenza», con siti di distribuzione controllati e condizioni indegne. Anadolu Ajansı
Una storia che risuona tra le molte: un bambino di 4 anni, colpito da schegge mentre dormiva in una tenda improvvisata, la famiglia annientata. L’ecografia mostrava sangue ovunque. «Lo guardai come se fosse un pezzo di carne», racconta Loubani. Alla fine decise di dichiararlo morto. «In quell’istante disse riconobbi che davanti a me non c’era una statistica, ma un essere umano». thelinknewspaper.ca
Un altro dato: gli operatori sanitari stessi sono sotto attacco e pressione. Le infrastrutture mediche ospedali, cliniche, ambulanze risultano sistematicamente colpite. wpsn-canada.org+1
L’impatto su chi torna
I medici che tornano non sono gli stessi. Il trauma della testimonianza pesa: «Non riesco a spegnere la mente», ha detto un volontario straniero che ha lavorato a Gaza. Le Monde.fr
Per i medici canadesi questo significa anche dover parlare pubblicamente, rischiare pressioni, affrontare domande incomode: cosa significa curare chi non ha scampo, quanto può valere l’intervento medico in un contesto più grande dove la struttura sociale collassa?
Quale futuro?
Le testimonianze arrivano in un momento in cui l’attenzione internazionale secondo molti dei medici è ancora insufficiente. Secondo il dossier interno, «questa non è più una crisi umanitaria: è un tentativo intenzionale di privare un popolo di ciò che serve per vivere». Witnessing the Gaza War+1
I medici chiedono tre azioni concrete: 1) un embargo reale sulle armi sia verso Israeliani che Palestinesi, 2) l’apertura immediata e sostenuta di corridoi umanitari, 3) protezione rafforzata delle infrastrutture sanitarie nel diritto internazionale.
Quando i medici lasciano Gaza tornano portando con sé non solo le ferite fisiche dei pazienti, ma la domanda ineludibile: «Se ci fosse stato un altro modo, lo avremmo scelto». Le loro parole registrate ora in Canada scuotono la coscienza collettiva. «Noi raccontiamo la verità», dicono. E la verità che descrivono è quella di una popolazione intrappolata tra bombardamenti, fame e disintegrazione della cura.
In Italia, in Europa, ovunque, queste testimonianze sono un invito a guardare non solo il conflitto come spettatori, ma a chiedersi quale ruolo ciascuno possa assumere: medico, cittadino, politica, opinione pubblica. La domanda che resta sulla scrivania dei governi è semplice: fino a quando il silenzio sarà un complice?











