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Marco Gregoretti giornalista: da quando sembra sia cambiato l’orario della morte di Chiara non sono stati verificati tutti gli alibi, solo quello di Stasi

È un nuovo capitolo che si apre nel complesso e controverso caso della morte di Chiara Poggi, avvenuta nella villetta di via Pascoli a Garlasco il 13 agosto 2007. A sollevare la questione è il giornalista d’inchiesta Marco Gregoretti, che nelle ultime settimane ha messo in luce elementi finora trascurati  o perlomeno non approfonditi come meriterebbero  in relazione alle indagini sull’omicidio della giovane 26enne.
Secondo Gregoretti, non tutti gli alibi sono stati verificati, ma solo quello di Alberto Stasi, l’unico imputato (e condannato) per l’omicidio. E ciò sarebbe legato, a suo avviso, anche a una anomalia nell’orario attribuito alla morte: da quando quell’orario sarebbe stato variato, altri scenari investigativi sarebbero rimasti inesplorati.

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L’“orario mutato” e la sua rilevanza

Gregoretti richiama l’attenzione sulla questione dell’orario convenzionale dell’omicidio di Chiara Poggi (tra le 11 e le 11:30 del mattino, secondo la ricostruzione iniziale). Marco Gregoretti+2corrieredisiena.it+2
L’ipotesi sollevata è che, se quell’ora fosse spostata in avanti o indietro  anche di pochi minuti  tutto il sistema degli alibi, degli ingressi, dei movimenti precedenti e successivi al delitto potrebbe essere soggetto a revisione. In altre parole: se l’evento non avvenne esattamente nell’arco fissato, alcuni testimoni non sarebbero stati considerati, alcune tracce  magari  non sarebbero state collegate agli orari giusti.

Gregoretti sostiene che questa variabile oraria ha avuto il suo peso nell’indagine: «Da quando sembra sia cambiato l’orario della morte», dice, «non sono stati verificati tutti gli alibi, solo quello di Stasi». In sostanza: la verifica accurata degli alibi dei potenziali testimoni, o di persone vicine alla vittima, sarebbe stata condotta esclusivamente sull’imputato, mentre altre piste rimangono aperte  o peggio: non battute.

Che cosa non è stato verificato

Secondo gli approfondimenti del giornalista e alcune interviste raccolte (ad esempio quella con il maresciallo Francesco Marchetto dei Carabinieri di Garlasco), ci sono vari elementi che avrebbero richiesto un’indagine più ampia:

  • La bici nera vista davanti alla casa della vittima. Marco Gregoretti+1

  • Un suv nero che si muoveva nella mattina del delitto, ad alta velocità. Marco Gregoretti

  • Capelli trovati nella mano della vittima, non oggetto nei primi gradi di giudizio di una perizia approfondita. Marco Gregoretti

  • Impronte di sangue a casa Poggi, alcune ancora “non spiegate” secondo Gregoretti. Marco Gregoretti+1

  • Piste alternative non effettivamente battute: ad esempio la pedopornografia e contatti che la vittima avrebbe avuto con persone al di fuori dell’ambiente noto. Marco Gregoretti+1

Tutti questi elementi, secondo Gregoretti, avrebbero meritato di essere incrociati con gli alibi di tutte le persone coinvolte, e non solo di Stasi. In particolare, ritiene che la ridefinizione dell’orario dell’omicidio abbia reso necessario un «riallineamento cronologico» che però non risulta essere stato compiuto.

La verifica solo di Stasi: perché è un problema

Alberto Stasi è stato condannato a 16 anni per omicidio (sentenza poi soggetta a vari gradi) della fidanzata Chiara Poggi. Marco Gregoretti+1
Gregoretti sottolinea che l’attenzione investigativa  e giudiziaria  si è concentrata quasi esclusivamente sull’alibi di Stasi, sui suoi movimenti, sui suoi contatti, sul suo racconto. Tuttavia:

  • Non è chiaro che tutti gli altri alibi  quelli di amici, testimoni, persone vicine alla vittima siano stati sottoposti allo stesso livello di verifica.

  • Se l’orario fosse differente, allora alcune “finestre” temporali libere (o meno studiate) potrebbero aprire scenari diversi: chi entrò in via Pascoli? chi uscì? cosa vide?

  • Se l’indagine ha trascurato queste verifiche, Gregoretti argomenta che la verità completa non può emergere.

In sostanza, l’“indagine ad alibi selettivo” concentrata su un solo soggetto  è il punto che il giornalista mette in evidenza come lacuna critica.

Uno scenario complesso: testimoni “silenziosi” e piste aperte

Oltre all’anomalia oraria e alla concentrazione di verifica su Stasi, Gregoretti segnala un’altra questione: testimoni che avrebbero assistito all’evento o che ne avrebbero conoscenza  e che però non sono stati pienamente ascoltati o non in modo conforme. corrieredisiena.it+1
Nei suoi interventi, il giornalista segnala che tali persone sarebbero state «terrore e silenzio»: «Testimoni oculari che per tutti questi anni si sono portati dentro questo groppone… Perché lo hanno fatto? Perché avevano paura». Libero Quotidiano+1
Il tema è cruciale: se vi sono testimoni che non sono emersi in modo pieno nell’inchiesta, e se le verifiche sugli alibi non sono state estese a tutti, la ricostruzione potrebbe risultare parziale.

Le implicazioni per la giustizia e per la famiglia Poggi

Da un lato c’è la famiglia della vittima  i genitori Giuseppe Poggi e Rita Preda  che aspettano da anni una verità integro, senza zone d’ombra. Dall’altro c’è la giustizia penale, che ha percorso un iter complesso, con condanne, appelli, dubbi tecnici e scientifici (ad esempio sui 23 minuti di alibi di Stasi, definiti “di problematica compatibilità” dal giudice Stefano Vitelli). corrieredisiena.it
Se quanto suggerito da Gregoretti fosse confermato  ovvero che altri alibi non sono stati verificati e che l’orario della morte è stato modificato senza una conseguente adeguata revisione degli accertamenti allora la ricostruzione rischia di essere incompleta e la ricerca della verità ancora più difficile.

Le reazioni e i prossimi passi

Finora la Procura della Repubblica di Pavia non ha rilasciato conferme ufficiali alle affermazioni di Gregoretti. Alcuni contorni della vicenda restano infatti sotto segreto d’indagine o protetti da riservatezza. corrieredisiena.it
Tuttavia, il lavoro del giornalista ha il merito di riaccendere i riflettori su un caso che per molti rischiava di cristallizzarsi nella versione processuale senza ulteriori esplorazioni investigative.
Le possibili conseguenze sono:

  • Una nuova richiesta di accesso atti da parte della difesa o della famiglia, con focus sugli alibi “non controllati”.

  • Una richiesta di perizia sulla ridefinizione dell’orario della morte — per verificare se la cronologia iniziale sia corretta o debba essere modificata.

  • Una maggiore attenzione mediatica che potrebbe spingere le autorità competenti a rivalutare alcune piste.

  • Un ripensamento delle ricerche di testimoni “silenti”, magari con nuovi incentivi o garanzie di protezione.

Il contributo di Marco Gregoretti, forte della sua esperienza in inchieste «ingrattabili», pone una domanda semplice ma potente: abbiamo davvero esplorato ogni angolo dell’inchiesta sulla morte di Chiara Poggi?
Se gli alibi lasciati sul tavolo non sono stati tutti verificati e se l’orario della morte è un parametro fluido — allora la verità rischia di rimanere parziale. Per la famiglia Poggi, per la memoria di Chiara, per la giustizia italiana, non si può prescindere dal domandarsi: perché fermarsi al solo alibi di Stasi? Perché non fare un controllo trasversale che includa tutti i soggetti, tutti i movimenti, tutte le tracce?

In un Paese dove i grandi misteri del passato (dalla strage della stazione di Bologna a Ustica) sono diventati emblemi di «depistaggio» e omissione  come lo stesso Gregoretti ricorda spesso. Marco Gregoretti+1  la vicenda di Garlasco torna ad assumere i connotati di un caso mai davvero concluso. Il richiamo è: verificare tutto, non fermarsi alle versioni comode.

Solo così, conclude il giornalista, «si potrà restituire a Chiara una verità credibile e non negoziabile». Il cammino è ancora lungo, ma la luce che ora illumina i margini gioca un ruolo decisivo.


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