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Garlasco. De Stefano ha dichiarato di aver comparato il DNA di Stasi dopo le tre prove

Nel silenzio apparente che aveva avvolto il caso dell’omicidio di Chiara Poggi – avvenuto il 13 agosto 2007 nella villetta di via Pascoli a Garlasco  si affaccia una nuova dichiarazione che potrebbe riaprire nodi finora considerati risolti: il genetista prof. Francesco De Stefano, nominato dalla Corte d’Assise d’Appello nel cosiddetto “processo bis”, ha reso note alcune precisazioni sulle analisi del DNA che in passato avevano inciso sugli esiti giudiziari. ANSA.it+2Open+2

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Tre prove, risultati incerti
De Stefano ricorda che furono effettuati tre distinti accertamenti genetici: «La prima, con pochissimo materiale, non diede esito. La seconda, effettuata su un campione maggiore  ricavato dal materiale prelevato sotto le unghie della vittima  diede un risultato; la terza riportò un risultato in parte diverso e indicò la compresenza di più profili di DNA (almeno due-tre persone)». ANSA.it+2l’Adige+2
Così, De Stefano conclude che «se il materiale è scarso o degradato e i risultati non si ripetono, vuol dire che quei risultati sono inaffidabili e non è possibile proporre alcuna interpretazione». Open+1
In altre parole: benché sia stato fatto un lavoro di analisi, il materiale non permetteva, ai suoi occhi, una comparazione affidabile tale da identificare con certezza un soggetto. ANSA.it+1

Ma allora che cosa significa “comparare il DNA di Alberto Stasi”?
Nel titolo si parla della dichiarazione di De Stefano secondo cui avrebbe “comparato il DNA di Stasi dopo le tre prove”. In realtà, le sue stesse parole fanno un passo indietro rispetto all’idea di una comparazione conclusiva: egli afferma che i risultati non consentivano una identificazione, anche perché «materiale non ce n’è più». ANSA.it+1
Quindi, sebbene De Stefano abbia lavorato sul profilo genetico reperito, la comparazione definitiva  ossia l’accordo tra la traccia e un soggetto identificabile  non fu possibile. Questo non significa che non avvenne alcuna analisi su Stasi: ma che dall’analisi non venne fuori un esito “positivo” in senso tecnico-scientifico con piena certezza.
La distinzione è cruciale: un “profilo compatibile” non equivale a una “identificazione certa”. Il genetista chiarisce che solo un dato certo può essere utilizzato in maniera convincente in un processo penale.

Il contesto giudiziario e investigativo
Ricordiamo che Alberto Stasi, all’epoca fidanzato di Chiara Poggi, fu condannato in via definitiva a 16 anni di carcere per l’omicidio della giovane. Wikipedia+1 Negli anni, il dibattito sulle tracce genetiche – sotto le unghie della vittima, nei reperti del bagno, nel mouse del pc, e su altri oggetti – non ha mai trovato una chiarezza piena e definitiva.
Le analisi più recenti – sollecitate dalla Procura di Pavia nell’ambito di una nuova fase dell’inchiesta – hanno indicato la presenza di un profilo maschile “ignoto 3”, cioè un utente del cromosoma Y non riconducibile né a Stasi né ad un altro soggetto al momento noto. ANSA.it
In tale quadro, la dichiarazione di De Stefano assume rilievo perché mostra che fin dall’epoca delle perizie del “bis” egli aveva espresso riserve sulla qualità del materiale a disposizione e sulla affidabilità della comparazione.

Le dichiarazioni e le polemiche
De Stefano ha dichiarato di non comprendere «come abbiano fatto questa nuova interpretazione, anche perché materiale non ce n’è più». ANSA.it+1
Il che significa che il campione originale, oppure alcuni estratti utili, sono stati distrutti o non più disponibili per ulteriori analisi, secondo quanto da lui affermato.
Da qui nascono subito polemiche: la difesa di Stasi potrà utilizzare queste affermazioni per sostenere che le prove genetiche che lo legavano all’omicidio non erano tecnicamente sufficienti o certe. D’altra parte la parte della famiglia di Chiara Poggi e i pubblici ministeri affermano che nuove analisi hanno fornito elementi che, seppure parziali, sono utili per la prosecuzione dell’indagine. ANSA.it+1

Perché riemerge adesso il caso?
Perché a distanza di quasi 18 anni dall’omicidio, il caso di Garlasco torna al centro dell’attenzione. Le nuove analisi genetiche, l’apertura di un incidente probatorio e l’iscrizione sul registro degli indagati dell’amico del fratello della vittima, Andrea Sempio, accelerano una fase investigativa che sembrava ormai cristallizzata. ANSA.it
La dichiarazione di De Stefano che appare ora come un «testimonial tecnico» di un’epoca per molti versi conclusa  funge da anello tra il passato processuale e il presente investigativo. Essa riporta in primo piano la questione della validità delle analisi genetiche nel caso specifico: materia complessa, tecnica, ma decisiva per stabilire responsabilità.
Inoltre, l’emergere di profili maschili “ignoti” reintroduce l’idea che non tutto sia stato chiarito e che altre piste possano essere maturate. In questo senso, la frase di De Stefano: «comunque le tracce non erano utili per un’identificazione» suona come un campanello d’allarme.

Le ricadute sulla famiglia della vittima, sulla difesa e sulla pubblica opinione
Per la famiglia Poggi, le parole del genetista costituiscono un veleno amaro: se le analisi su cui si fondò almeno in parte la condanna di Stasi sono state riconosciute da colui che le ha fatte come “non utili per identificazione”, viene messa in discussione la fondatezza scientifica dell’impianto accusatorio.
Per la difesa di Stasi e per lui stesso, è una speranza: poter far valere che la condanna definitiva si basa su prove che – secondo il genetista – avevano limiti importanti.
Dal punto di vista dell’opinione pubblica, la vicenda appare come l’ennesima conferma che i casi – benché “chiusi” – non lo sono mai completamente; che la scienza forense non è infallibile; e che – soprattutto – la verità penale può rimanere sospesa anche per decenni.
E per Garlasco, per tutto il territorio, la riapertura emotiva e mediatica del caso riaccende domande e ferite mai del tutto rimarginate.

La strada avanti e gli interrogativi aperti
Qual è il prossimo passo? Gli inquirenti hanno avviato un maxi incidente probatorio che riguarda nuovi reperti da analizzare, tamponi prelevati, confronti genetici da effettuare con soggetti ora individuati o da individuare. ANSA.it
Tra le questioni aperte:

  • che fine ha fatto il materiale originale prelevato nel 2007 e poi analizzato da De Stefano? Il genetista afferma che «materiale non ce n’è più». ANSA.it+1

  • Quale sarà il valore giuridico dei profili genetici “ignoti” o “misti” individuati successivamente? Un profilo che non si può collegare ad un soggetto conosciuto può servire ad un’indagine, ma quanto può contribuire ad una condanna?

  • Se il profilo che corrisponde ad un soggetto identificato  come sostiene la nuova consulenza  non è quello di Stasi, quali scenari si aprono per la condanna irrevocabile? TGCOM24

  • Quanto gli esiti tecnici delle prime tre analisi di De Stefano possono influire sulla validità delle sentenze passate in giudicato? Quali margini di impugnazione restano?

  • Come verrà gestito il contraddittorio tecnico-forense tra la vecchia perizia e le nuove analisi?

 
Il caso di Garlasco non è solo un cold case che si riagita dopo anni: è un esempio della complessità della prova genetica nei processi penali, della fragilità dei materiali, della contaminazione possibile, della distruzione o perdita di campioni, e del valore non assoluto di ciò che appare “scientifico”.
Le parole del prof. De Stefano  che rimette in discussione la utilità delle analisi da lui condotte rappresentano un colpo alla tranquillità di tutti: della famiglia della vittima, delle parti in causa, della giustizia che aveva ritenuto il caso concluso.
Ora la palla passa nuovamente agli investigatori, ai periti e ai giudici: e al tempo, che è l’ingrediente forse più lento e inesorabile. Perché in fondo, come in molti casi simili, “chi ha ucciso Chiara Poggi” potrebbe non avere solo una risposta finita, ma un percorso ancora aperto.
E in una vicenda che dura da quasi due decenni, ogni dichiarazione – anche tecnica – conta.

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