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Antonella Ferrero, segretaria del Circolo Palermo “Alessandra Siracusa”, parla di una Palermo che fa paura

 

«Palermo oggi fa paura. Non solo per la cronaca nera, ma per il silenzio che la circonda, per l’abitudine al degrado, per la rassegnazione che vedo crescere nei volti della gente». A parlare è Antonella Ferrero, segretaria del Circolo culturale e politico “Alessandra Siracusa” di Palermo, una delle voci più attive nel tessuto civico cittadino. Le sue parole sono dure, ma non rabbiose: sono l’allarme di chi ama la città e non riesce più a riconoscerla.

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Il circolo, intitolato alla compianta avvocata e attivista per i diritti civili Alessandra Siracusa, è da anni punto di riferimento per dibattiti su legalità, cultura e partecipazione sociale. È da qui che Ferrero lancia il suo grido d’allarme, denunciando una Palermo che sembra aver perso la fiducia nel cambiamento.


Una città che cambia, ma non per tutti

«C’è una Palermo che si mostra al mondo, piena di eventi, di mostre, di festival. È la città delle fotografie per i turisti, dei locali alla moda e dei centri storici ristrutturati», racconta Ferrero. «Ma dietro questa vetrina scintillante ce n’è un’altra, più profonda e ferita: quella delle periferie dimenticate, delle famiglie che vivono con 600 euro al mese, dei ragazzi che abbandonano la scuola perché non credono più in un futuro diverso».

Il suo racconto si fa via via più concreto: Ballarò, Borgo Vecchio, lo Zen, Brancaccio. Quartieri che portano ancora addosso il peso di una storia difficile e che, secondo Ferrero, non trovano spazio nel discorso pubblico. «Le politiche cittadine parlano di rigenerazione urbana, ma spesso restano progetti sulla carta. Si fanno passerelle, si tagliano nastri, ma la vita reale non cambia. Chi vive nelle strade più povere continua a sentirsi invisibile.»

E invisibilità, per Ferrero, significa anche paura: «La paura di non essere ascoltati, di non avere diritti. La paura che l’illegalità diventi l’unica via per sopravvivere.»


L’eredità di Alessandra Siracusa e il ruolo del Circolo

Il Circolo “Alessandra Siracusa” nasce nel 2016, dopo la scomparsa della storica attivista palermitana, come spazio di incontro per cittadini, studenti, insegnanti e operatori del terzo settore. La sede, un piccolo locale nel cuore del quartiere Libertà, è spesso affollata: incontri sulla legalità, corsi di lettura, laboratori per donne e ragazzi, sportelli di ascolto.

«Il nostro compito non è fare politica in senso stretto», precisa Ferrero. «Noi vogliamo formare coscienze. Vogliamo che la gente torni a sentire che la città è sua, che la cittadinanza è un diritto ma anche un dovere.»

Negli ultimi anni, però, anche la partecipazione civica sembra affievolirsi. «Le persone hanno paura di esporsi. Dopo la pandemia, ho notato una crescente disillusione. Si pensa che niente possa cambiare, e così si resta fermi. Ma la paura più grande è proprio questa: la rassegnazione.»


Criminalità e solitudine, due facce della stessa medaglia

Ferrero non parla di mafia in termini classici. Non si riferisce alle cosche o ai boss, ma a un clima più sottile, più difficile da combattere. «La mafia oggi non ha più bisogno di imporsi con la violenza visibile degli anni Ottanta. Si infiltra nel quotidiano, si traveste da normalità. È nell’indifferenza, nella burocrazia che paralizza, nelle relazioni clientelari che continuano a decidere chi ha diritto a un lavoro e chi no.»

Le cronache recenti raccontano di quartieri dove i baby-boss impongono regole non scritte e dove la sfiducia verso le istituzioni è totale. «I giovani crescono senza punti di riferimento», dice la segretaria. «Molti ragazzi che incontriamo al circolo non hanno mai avuto un adulto che li incoraggiasse a credere in sé stessi. Vivono in famiglie dove la paura è quotidiana: paura di perdere la casa, di non poter curarsi, di non poter uscire la sera.»

E poi c’è la solitudine, che Ferrero considera la nuova frontiera del disagio. «Palermo è diventata una città che non ascolta. Anche nelle zone più benestanti, le persone vivono chiuse, diffidenti, come se l’altro fosse sempre una minaccia. È una città che ha paura del contatto, del confronto, e così perde la sua anima.»

La denuncia di Ferrero non è priva di autocritica verso la classe dirigente locale. «Le istituzioni spesso arrivano tardi e male. Si parla tanto di partecipazione, ma si ascolta poco. Molti progetti di rigenerazione urbana vengono calati dall’alto, senza coinvolgere davvero chi abita i quartieri. E quando le persone non vengono interpellate, smettono di credere nella democrazia.»

Tuttavia, la segretaria non vuole che il suo discorso suoni come una resa. «Non mi arrendo. Palermo ha un cuore enorme. Ci sono associazioni, insegnanti, preti di frontiera, volontari che ogni giorno fanno un lavoro silenzioso e prezioso. È a loro che dobbiamo guardare per ritrovare speranza.»

Tra le proposte concrete del circolo ci sono la creazione di una rete di “case di quartiere”, spazi pubblici aperti dove cittadini e istituzioni possano dialogare, e un programma educativo permanente nelle scuole periferiche per contrastare la dispersione scolastica. «Non servono miracoli  spiega Ferrero  ma coerenza. La legalità si costruisce con la presenza, con l’ascolto, con la cultura.»


La paura come specchio di una città in cerca di sé

Alla domanda su cosa significhi, oggi, dire che Palermo “fa paura”, Ferrero riflette a lungo prima di rispondere. «Fa paura perché è imprevedibile, perché è una città che può darti tutto e toglierti tutto in un attimo. Fa paura perché è bellissima e ferita, generosa e spietata. Ma soprattutto fa paura perché ci obbliga a guardarci dentro: a chiederci se stiamo facendo abbastanza per non tradirla.»

Il discorso scivola poi sulla memoria, un tema caro al circolo. «Palermo è la città dei martiri civili, da Falcone e Borsellino a Piersanti Mattarella. Ma oggi rischiamo di ridurre la memoria a rituale, a cerimonia. La memoria, invece, deve essere azione. Ogni volta che chiudiamo gli occhi davanti a un’ingiustizia, tradiamo quella memoria.»


Una città che non si arrende

Nonostante il titolo del suo intervento  “Palermo fa paura”  Ferrero conclude con una nota di fiducia: «Io credo che la città possa cambiare, ma dobbiamo tornare a sentirci comunità. Dobbiamo ricominciare dalle piccole cose: un cortile pulito, una scuola aperta anche il pomeriggio, un teatro di quartiere che diventa punto di incontro. È lì che rinasce la città.»

La Palermo che fa paura, forse, è anche la Palermo che può ancora sorprendere. La stessa che, nei momenti più bui della sua storia, ha saputo reagire. Quella che nonostante tutto continua a credere che la bellezza quella autentica, fatta di giustizia e partecipazione possa vincere sulla paura.


«La nostra è una città che non vuole pietà – dice Ferrero – ma rispetto. Palermo non ha bisogno di essere raccontata come un problema: ha bisogno di essere ascoltata come una possibilità.»

E in quell’ascolto, forse, c’è già la prima risposta a quella paura che da troppo tempo la attraversa.

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