Giovanni Reale. Il filosofo del viaggio e della meta a dieci anni dalla scomparsa
Pierfranco Bruni
“Bisogna riconoscere che scienza e tecnica sono, senza dubbio, più necessarie della filosofia, ma sono altro dalla filosofia, hanno altri scopi, altra natura, altre categorie. Esse non sono se non un momento dell’“intero”, mentre la filosofia resta strutturalmente legata all’intero”.
La filosofia di Giovanni Reale (Candia Lomellina 1931 – Luino 2014) è “terribilmente” un segno che ci permette di entrare in quella metafisica del tempo tra il tremore e l’onirico, in un tempo in cui il buio non riesce a penetrare il bosco. Innovatore geniale della filosofia Occidentale, ha offerto una chiave di lettura profondamente legata all’idea di Dio e soprattutto ad una lettura consapevolmente spirituale tra Platone, Seneca, Agostino e Giovanni Paolo II. C’è da dire che Reale è il filosofo più zambraniano nella cultura dell’Occidente. A Maria Zambrano, Reale deve quella rilettura non solo di Seneca (ci cui ha tradotto tutta l’opera nel 1994), ma soprattutto la rilettura e la riproposta di una interpretazione che parte, certamente, da Platone e Socrate, ma si innerva nella centralità di Agostino.
È la Zambrano che permette a Reale di ricollocare Agostino al centro dell’Occidente, anzi viene considerato il vero iniziatore della cultura europea. L’Europa, dice la Zambrano, nasce con le Confessioni di Agostino.
Da qui Giovanni Reale apre delle prospettive che non sono meramente filosofiche, di una filosofia accademica, ma ha il coraggio di spezzare la egemonia laica – laicista e porre all’attenzione le coordinate di un Tempo oltre l’Eternità, in cui Dio diventa il Cerchio e l’Orizzonte. Il problema filosofico dell’Anima non è una questione teologica. Dopo la Zambrano, e quindi dopo Giovanni Reale, la visione del concetto dell’Anima assurge ad una visione della Ragione laica, ma diventa l’invisibile permanente e presente nello sguardo del Cristiano.
Al centro resta comunque Platone. O meglio Reale afferma: “”Prevale l’idea che il sapere derivi dalla scienza e che la tecnologia risolva tutti i problemi. Eppure Popper e gli epistemologi hanno spiegato che la scienza per definizione non può avere idee universali e necessarie, ma coerenti con un paradigma dominante in quel preciso momento. La bellezza della filosofia è di poter contenere anche sistemi opposti, perché le nostre idee non sono definitive”.
Non si pone il problema di un Agostino che si converte, come in Paolo, ma si pone finalmente il problema dell’Uomo. Non è la conversione che penetra il labirinto della metafisica dell’anima, ma è quel diamante, per dirla con Teresa D’Avila, che vive le mansioni della Bellezza.
Gli studi di Giovanni Reale hanno una loro progettualità e pongono come asse il modello, appunto, del Tempo – Anima. Un modello di una cultura che trova nella grecità il fondamento. La Grecia è il luogo della filosofia, ma la filosofia non è il pensare, piuttosto il pensiero dell’Uomo che attraversa le epoche e diventa, quindi, metafisica dell’essere.
Nei sui testi, da Platone, dunque, a Socrate e soprattutto alla impostazione di una “diversa” storia della filosofia da proporre alle nuove generazioni, la Grecia ha il suo humus nel verso dell’Immortalità e la presenza di Dio, non divina, attenzione, è la chiave di lettura dell’universo metafisico.
C’è una differenzazione sul concetto di Anima che resta importante, e dove la presenza della Zambrano è una costante, proprio quando traccia il profilo della storia della filosofia. L’Anima, come concetto in una lettura filosofica pura, non ha una sua connotazione di origine cristiania.
Come già dicevo va riletta la dimensione ontologica perché la Grecia è alla base, in modo zambraniano, della metafisica dell’Anima e dell’Anima e Agostino è la cultura della religiosità dell’Europa.
Giovanni Reale nel 1975 scriveva: “Molti, sbagliando, ritengono che il concetto di anima sia una creazione cristiana: è sbagliatissimo. Per certi aspetti il concetto di anima e di immortalità dell’anima è contrario alla dottrina cristiana, che parla invece di risurrezione dei corpi. Che poi i primi pensatori della Patristica abbiano utilizzato categorie filosofiche greche, e che quindi l’apparato concettuale del cristianesimo sia in parte ellenizzante, non deve far dimenticare che il concetto di psyche è una grandiosa creazione dei greci. L’Occidente viene da qui”.
L’Occidente che oggi viviamo non ha ancora risolto il problema, perché è troppo radicato in una cultura laica – laicista e recuperare quelle “periferie” non geografiche, per dirla con Papa Francesco, significa trasformare una civiltà dello “scarto” in una civiltà dell’anima. Subentra una lettura camusuana. Reale sottolinea: “Camus diceva che Cristo è venuto a questo mondo per affrontare due problemi che la filosofia non risolverà mai. Primo: perché soffro? E secondo: perché nasco con appeso al collo il cartello “condannato a morte”?… Gesù li ha presi su di sé, quindi li ha sacralizzati”.
Tracciati che Reale aveva individuato quando scrisse le straordinarie pagine su Giovanni Paolo II definendolo, e definendo così anche i suoi scritti, “un pellegrino dell’assoluto”. Quando ho scritto il mio libro su Giovanni Paolo II, “Canto di Requiem”, (2005, 2006) Giovanni Reale mi è stato molto vicino. A lui devo tante di quelle riflessioni sulla teologia e la filosofia dell’essere. Fu uno dei primi che lesse quel mio libro e fu lui ad indicarmi alcuni cammini che restano nel mio cuore e nella mia anima.
Da qui a un viaggio essenziale che vede il senso del tempo come dato primordiale del tutto. Perché in fondo “L’uomo è, in effetti, per sua natura, homo viator, continuamente in cammino. E le idee che cerca e trova non possono mai essere ultimative, perché è sempre in viaggio, e non è mai alla meta”. Sempre in viaggio. Quel viaggio che Reale ha vissuto nella “rivolta” di Camus.