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Pierfranco Bruni

Se dovessi pensare che la filosofia nasce come filosofia a-priori sarebbe come creare, non io, l’illusione senza la forza delle delusione. Il Pensiero nasce come Idea e l’Idea come un guardare o meglio come Immagine che prima di lasciarsi guardare si lascia vedere. Sarà proprio l’immagine guardata e veduta che fa sorgere l’Idea. Si viene al mondo non con un pensiero ma con una immagine. Si muore con l’Immagine.
In fondo l’immagine ci rende un’idea.  Mi sono chiesto spesso. Cosa? Perché il concetto di Ragione in Leonardo Sciascia non ha suscitato una discussione (anche) filosofica? Sciascia enuclea in modo fondamentale il ruolo della letteratura non solo nella cronaca, nel momento, nella circostanza o nel caso. Ma nel pensare.
In quel pensare che è arabo con Pirandello e “relativo” con Voltaire e Montesquieu. Non si affida alla storia anche se tutto il suo percorso potrebbe essere incastonato nella storicità. Dico storicità e non storicismo. Non esiste la visione del materialismo nei suoi scritti. Bensì quella di profezia. Non provvidenza. Sciascia crea la dimensione immaginaria della realtà che sarà superando immediatamente il presente.
I suoi ultimi scritti sino al riemergere della memoria nella metafora come tempo futuro sono una ortodossia del relativismo. Eretico? Non credo ad una eresia senza un assoluto. Sciascia è come se sostituisse l’assoluto con il dubbio.
Il dubbio è la vera controversia che lo pone tra la maschera e l’assurdo di Ionesco. Ma è Manzoni il vero modello della contraddizione tra la menzogna e la recita. Sa bene che la finzione è il sopravvivere oltre il vero e la ragione è l’intelligenza del pensiero che non cerca di superare gli interrogativi ma vengono posti come l’unica uscita di sicurezza per confrontarsi con la morte.
Il cavaliere non convive soltanto con la consapevolezza della fine, e quindi della morte, ma con l’infinito patire del e nel dubbio. Il patire e il dubbio sono ombre e sono un camminare lento verso il finito.
La Ragione è l’esistere. Ma ha bisogno della Fede. Resta dentro la ragione perché sa benissimo che è impossibile coniugare fede e ragione. La fede è un assoluto. La ragione è un paradosso molto legato alla morte. Ragione e Morte sono una “ragionevolezza” che la vita si regge sul dubbio. Non posto in termini universali. Ma individuali.
L’uomo nella crudeltà della conoscenza. Se vive la Ragione la storia è perduta. Tutto si crea per restare a futura memoria. Se la memoria muore muore anche il dolore. Ma se muore il dolore le civiltà spariscono.
Bisogna ascoltare Cervantes per non perire di assoluto e disegnare l’immaginario che potremmo solo immaginare. Il resto potrebbe sembrare una “storia semplice” che tale non è, che tale non sarà. M sono chiesto perché Leonardo Sciascia non è nele vie dell percorso di una filosofia del dubbio. La Ragione ha il razionale del dubbio. Il dubbio non solo ci rende veri senza la Salvezza ma ci rendi vivi con la consapevolezza della morte. Il resto è un assillo ma Sciascia è nel destino del patire. Ed essendo in un tale destino l’assurdo diventa luce e l’ombra vorrebbe riappacificarsi con la morte.
Rimane la tenda. La tenda? Quell’angoscia che al mattino si aggrappa alla voce e la silenzia e impedisce di dire parole per un tratto di tempo. Poi la tenda si apre, non si allontana  e ciò che sta oltre ha una schiarita.
Siamo vissuti da morti? Siamo vissuti pensando alla morte? Siamo morti prima di vederci morti? O siamo semplicemente vivi senza vederci? Oppure ci vediamo senza sapere che quel vederci ha in sé un guardare? È chiaro che siamo oltre il reale ma dentro la Ragione sì. Forse in questa Ragione si cerca una salvezza purchessia. Non una verità. La verità è soltanto il doppio del dubbio. Uno scenario in cui Sciascia ha abitato.

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Avremmo dovuto fare di più per il centenario della nascita di Leonardo Sciascia. Lo scrittore che più di tanti ha rappresentato le contraddizioni del Novecento. Si è distinta la Nemapress editrice con ben due pubblicazioni.

 

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