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Le Nazioni Unite adottano la 68esima risoluzione sui diritti umani in Iran, mentre gli abusi accelerano sotto Raisi

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato venerdì una nuova risoluzione che condanna il continuo abuso dei diritti umani in Iran. È la 68esima risoluzione di questo tipo, e arriva in un momento in cui molte delle questioni rilevanti stanno aumentando come risultato della crescente insicurezza del regime clericale e del suo sforzo di compensare consolidando il potere e serrando i ranghi.

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A giugno, Ebrahim Raisi è stato confermato come nuovo presidente del regime dalla Guida Suprema Ali Khamenei. Raisi aveva precedentemente servito per più di due anni come capo della magistratura, sempre su nomina di Khamenei. Durante quel periodo, ha supervisionato gli aspetti chiave di una repressione del dissenso scatenata dalle proteste nazionali nel novembre 2019. Il suo impegno in quel giro di vite non era una sorpresa visto il suo passato, e la sua ascesa alla presidenza aveva promesso un aumento delle violazioni dei diritti umani su tutta la linea.

Questo fatto è stato confermato dalle tendenze allarmanti che emergono nelle statistiche relative alle esecuzioni dei prigionieri e altre preoccupazioni di primo piano evidenziate dall’ultima risoluzione delle Nazioni Unite. Sebbene la risoluzione faccia poco riferimento al ruolo di Raisi nell’accelerazione dell’abuso della pena di morte, la Resistenza iraniana ha monitorato le statistiche che mostrano come la situazione dei diritti umani sia peggiorata da quando Raisi è entrato in carica.

Un giorno prima che la risoluzione dell’ONU è stata adottata, la Resistenza iraniana ha riferito che almeno 31 prigionieri sono stati giustiziati dall’inizio del mese del calendario iraniano, il 22 novembre. Inoltre, il 15 dicembre almeno sei prigionieri sono stati giustiziati poco prima della pubblicazione del rapporto. Rapporti precedenti dell’Iran Human Rights Monitor indicavano che il numero medio di esecuzioni mensili era salito notevolmente dopo la nomina di Raisi alla presidenza. Nei cinque mesi precedenti a questo sviluppo, la media era di circa 26,6, e nei cinque mesi successivi è stata stimata a 35,6.

Le cifre delle esecuzioni disponibili sono solo stime e che il vero numero di esecuzioni è probabilmente più alto. Questo per dire che la magistratura del regime ha una lunga storia di esecuzione di sentenze capitali senza riconoscerle formalmente. Le stime annuali dipendono quindi dal lavoro di molteplici reti di attivisti e residenti delle strutture carcerarie iraniane, la cui capacità di sviluppare un quadro completo della condotta del regime verso i prigionieri è naturalmente limitata.

Fortunatamente per loro, gli strumenti a disposizione delle reti di attivisti si sono ampliati negli ultimi anni, e questo ha contribuito a portare una maggiore attenzione internazionale su alcune questioni. Questa tendenza è stata evidente dalla risoluzione delle Nazioni Unite, che ha fatto riferimento a “atti spaventosi commessi dalle guardie carcerarie nella prigione di Evin” – atti che sono stati resi visibili dal rilascio di filmati di sorveglianza della prigione che erano stati ottenuti da hacker.

Purtroppo, non riuscendo ad esercitare una pressione adeguata sul regime i politici occidentali hanno rafforzato l’impunità di Teheran in materia di diritti umani e altre attività maligne.

La risoluzione dell’ONU ha sottolineato questa impunità e ha evidenziato “l’importanza di indagini credibili, indipendenti e imparziali in risposta a tutti i casi di gravi violazioni dei diritti umani… comprese le sparizioni forzate, le esecuzioni extragiudiziali e la distruzione di prove in relazione a tali violazioni”.

L’adozione della risoluzione arriva circa un anno dopo che sette esperti di diritti umani delle Nazioni Unite hanno pubblicato una lettera aperta alle autorità iraniane in cui esortavano alla trasparenza e alla responsabilità rispetto al peggior crimine contro l’umanità del regime: il massacro di 30.000 prigionieri politici durante l’estate del 1988. In quella lettera, i relatori speciali hanno notato che il massacro era stato menzionato in una prima risoluzione delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Iran, ma non era stato seguito da nessuna istituzione competente.

“Il fallimento di questi organismi di agire ha avuto un impatto devastante sui sopravvissuti e sulle famiglie, nonché sulla situazione generale dei diritti umani in Iran”, affermava la lettera, aggiungendo che “ha incoraggiato l’Iran… a mantenere una strategia di deviazione e negazione che continua fino ad oggi”.

Nuove implicazioni di questa critica sono state rivelate l’anno dopo la selezione di Raisi, che Amnesty International ha descritto come una “triste promemoria che l’impunità regna sovrana in Iran”. Questa valutazione si basava in parte sul ruolo di Raisi nella repressione del novembre 2019, ma soprattutto sul fatto che era uno dei quattro funzionari che sedevano nella “commissione della morte” di Teheran che supervisionò il massacro del 1988.

È stato quel ruolo precedente, più di ogni altra cosa, a sottolineare che l’amministrazione Raisi avrebbe intensificato il giro di vite sul dissenso e altre violazioni dei diritti umani. Il suo ruolo di primo piano nel massacro del 1988 ha anche alimentato gli appelli per il suo processo alla Corte penale internazionale, o a qualsiasi altro tribunale che invoca il principio della giurisdizione universale sulle gravi violazioni del diritto internazionale.

Attualmente questo principio consente le autorità svedesi di perseguire l’ex funzionario carcerario iraniano Hamid Noury. Noury è accusato di crimini di guerra e omicidio di massa per il suo ruolo nel massacro del 1988, e il suo processo dovrebbe concludersi in aprile dopo le testimonianze di decine di ex prigionieri politici. Attualmente è l’unico funzionario iraniano ad affrontare conseguenze legali per il massacro, ma la sua condanna sarà un precursore di una più ampia responsabilità.

“Sebbene questa risoluzione rifletta solo una piccola parte dei crimini del fascismo religioso al potere in Iran, essa, tuttavia, dimostra che questo regime è sempre stato il principale violatore dei diritti umani nel mondo”, ha detto la signora Maryam Rajavi, presidente eletto della Resistenza iraniana.

Ha continuato: “Il dossier su quattro decenni di crimini contro l’umanità e di genocidio commessi da questo regime, in particolare il massacro del 1988… e il massacro di 1.500 manifestanti nel 2019, deve essere deferito al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e i leader di questo regime, soprattutto Ali Khamenei, Ebrahim Raisi, e il capo della magistratura, Gholam Hossein Mohseni Eje’I, devono essere perseguiti in un tribunale internazionale. La comunità internazionale deve evitare questo regime e porre fine all’impunità dei suoi leader criminali”.

 

 

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