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Ibico. Sulle sponde del mediterraneo della poesia della Magna Grecia

di Marilena Cavallo

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La poesia vive la sua liricità in tempi in cui il ritmo è una cadenza che si ascolta nella parola, nel verso, nell’aulico sentire la geografia dei luoghi e del mare in particolare.
Proporre un poeta antico come Ibico ci porterebbe a rileggere la storia della letteratura nella sua classicità tra il viaggio e l’esilio. Ibico. Il poeta della polis. Una riproposta per penetrare tessuti di civiltà. A rileggerlo ci racconta profezie. Si ritorna a parlare della grecità ed eleganza lirica di Ibico. Il rappresentante di una grande poesia mediterranea della Magna Grecia. L’antico che è in noi. Il sentimento di antico è una profezia che va oltre la storia. C’è il mito.
Sulle rive del mito la Magna Grecia è un lungo racconto. La memoria attraversa i territori del Mediterraneo che sono dentro la nostra Storia. Un racconto che recita frammenti di tempo attraverso una riappropriazione di quei segni che si lasciano ascoltare tra i venti della nostalgia.
Per metafore e per simboli si è sviluppato il percorso di una letteratura che ha radici.
Nel Mediterraneo. Con i temi e le analogie. Si presentano nella loro interezza. Restano a vivere una memoria che, nonostante tutto, ci manca. Perché ci manca quella poesia. Cosa recuperare? Cosa lasciare? Cosa segnare come tracciato di un destino?
Gli echi che ci riportano a quel tempo, a quel tempo che è stato ma che continua a vivere nella nostra coscienza, sono le voci dei poeti. È  la voce della poesia. Il Mediterraneo è un intreccio tra Occidente ed Oriente. Culture e civiltà sono vita  nel tempo e nella storia.
Sulle rive della nostalgia il mito si intreccia nelle parole. C’è stata una Magna Grecia. La Magna Grecia di Ibico, di Nosside e poi la recita degli altri territori da Leonida a Stesicoro. C’è stata una Magna Grecia nella poesia latina. Orazio e “Le camene latine”.
C’è una Magna Grecia che ha percorso tutta la cultura moderna e contemporanea e continua a vivere nel nostro presente. Questo nostro presente che si raccoglie come suono nella conchiglia del tempo e lo si vive come se vivessimo i giorni della memoria che sono fruscio nel nostro ascoltare . Un ascoltare che è sogno. Che è vita. Che resta, appunto, nostalgia.
E la poesia è un andare tra i rivoli di una nostalgia che ha un suo senso anche in questo nostro tempo che è fatto di maree nei viaggi delle metafore e dei popoli che hanno richiami antichi. Ma qui tra queste rive della Magna Grecia che si leggono come mito è nata la cultura occidentale. Quella cultura che ha eredità che provengono dall’Oriente e che disegnano il quadro di una nuova visione che si vive tra storia e poesia.
La Magna Grecia , in fondo, è in un tracciato che non è soltanto culturale, ma è un tracciato di consapevolezza, di radicamenti, di appartenenza che ha disegnato un quadro spirituale e testamentario in una linea che è geografica ma è profondamente etica e filosofica.
Ci sono due strade che si completano in questo viaggio. La leggenda e la tradizione. Non si può “vivere” la Magna Grecia senza porre come elemento di base la complementarità di questi due modelli che racchiudono il senso del mito nel passaggio tra l’antico e il moderno.
L’antico e il moderno sono i due principi portanti per una consapevolezza della ragione dell’essere mediterranei e quindi profondamente dentro il vissuto della Magna Grecia. La Magna Grecia è il Mediterraneo. Non si possono disconoscere le indicazioni della poesia e più in generale e della letteratura. Ieri e oggi.
I confini prestabiliti hanno due riferimenti. La storia e il mito. La letteratura, o meglio la poesia, non è il tramite tra questi “pilastri”. La poesia è la dimensione simbolica che già di per se vive nel mito. E il mito è indefinibile ma c’è. Si lascia ascoltare . E i poeti, quelli che restano, sono i “legislatori” del mito. Sulla sponda del mito, allora, le eredità letterarie sono principalmente eredità esistenziali. Le quali lasciano segni particolari nella nostra contemporaneità. Oggi quella poesia si traduce in metafora. La metafora è nel tempo.

Ibico: “Ora non ho  desiderio di cantare/Paride ingannatore di ospiti/né Cassandra dalle agili caviglie/e gli altri figli di Priamo e il giorno nefasto/della presa di Troia;/né la splendida virtù degli eroi /che le cave navi ben connesse portarono,/sventura per Troia, eroi gloriosi; (…) / e qual numero di navi da Aulideda/Argo attravrerso il mare Egeo/andarono …”.
Sulla sponda del mito che i simboli richiamano quei tasselli di un mosaico che è un andare e un incontrare il tempo dell’essenza. Forse è questo il tempo che ci manca. O forse vorremmo ritrovarci ancora sulla sponda dei mari a capire il senso della Magna Grecia recitando il gioco infinito di un sentimento che è quello del ritorno.
La grecità non è soltanto una forma simbolica. È  l’essere che attraversa le nostre coscienze. Anzi è la nostra coscienza che diventa consapevolezza di un processo che è sì culturale ma che diviene profondamente etico ed esistenziale in un quadro di valori la cui eredità è nel rispetto delle appartenenze. La nostra grecità è una dimensione non solo storica, ma resta principalmente visione onirica ed esistenziale che trova nella poesia una chiave di lettura fondamentale.
Ibico, il poeta amato da Pavese, raccoglie storie e racconta storie ma queste storie si perdono nel tempo come fughe di una cronaca e restano con noi come immagini e segmenti di una antica metafora. In Ibico il mito greco è visione orico – ancestrale della misura di una Magna Grecia che dal reale si sposta alla metafora. Gli echi mediterranei sono simboli nello spazio della singolarità aulica del verso che richiama una appartenenza degli archetipi in noi. La visione della polis greca e magno greca è in Ibico di Reggio.

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