SOMMARIO: ELEZIONI USA – VOGLIA DI PACE – MIGRANTI – LETIZIA SUPERSTAR
RON DESANTIS, RICORDATEVENE
Per le TV e i media nostrani le elezioni di martedì in USA hanno fatto scoprire Ron DeSantis, riconfermato governatore della Florida.
I lettori de IL PUNTO questo nome invece dovrebbero già ricordarselo bene perché è da molto tempo che scrivo che potrà essere un prossimo presidente americano.
Lo diventerebbe sicuramente già nel 2024 se Trump non si mettesse in mezzo a voler rovinare tutto con il suo egocentrismo e rischiando così di far perdere ai repubblicani le prossime elezioni.
Se Trump annuncerà la sua candidatura già la prossima settimana, saranno per gli USA due anni di divisioni, polemiche, inchieste, mobilitazioni collettive, veleni incrociati e da noi vi saranno migliaia di articoli, programmi, inchieste su Donald, il “cattivo” che vuol portar via il potere ai santi democratici che – come nelle fiabe a lieto fine – alla fine trionferanno sul male e che comunque se mai perdessero sarebbero sconfitti solo da elezioni truccate, magari da Putin.
Se il candidato repubblicano sarà invece DeSantis o qualche altro moderato, il GOP vincerà le elezioni alla faccia di Biden, sempre più rintronato.
Tornando a DeSantis: è un repubblicano di lontane origini italiane, è giovane e di destra, sta governando bene la Florida, è stato rieletto alla grande con un mare di voti rilanciando il proprio Stato ed affrontando il COVID con determinazione ma anche senza ipocrisie. DeSantis non ha (ancora) in mano il partito, ma certo è più presentabile di Trump che – se si candiderà – sarà il più grande alleato dei democratici. Mancano due anni, ma visto l’inesorabile declino dello spento Biden che ha portato i democratici a perdere il Congresso la partita è già aperta, nonostante i contorcimenti e i mal di pancia dei progressisti commentatori nostrani che monopolizzano i dibattiti TV.
VOGLIA DI PACE
L’ imponenza delle manifestazioni di sabato scorso per la pace in Ucraina sottolineano la credibilità dei sondaggi che hanno sempre sottolineato l’esistenza in Italia di una ampia minoranza politicamente trasversale del paese (che sta diventando aperta maggioranza) che chiede uno stop ai combattimenti e non vuole l’invio in Ucraina di altre armi italiane.
Diciamoci le cose senza ipocrisia: fino all’altro ieri il governo “di larghe intese” imponeva di fatto un divieto politico a manifestare, con il PD da sempre il più spinto a scegliere la linea dura e armaiola contro Putin, mentre il M5S – pure al governo – si adeguava con pochi distinguo. Oggi, cambiato scenario, i Grillini scelgono la sponda del pacifismo e riprende subito forza quella sinistra anti-NATO che tenderà ad identificare sempre di più la guerra come una scelta del governo Meloni.
Il PD intanto gira come una trottola sbandando qua e là cercando soprattutto di far dimenticare le posizioni tenute fino ad oggi.
Stesso paradosso a destra, dove c’erano sempre state più o meno visibili riserve sull’intervento italiano e che oggi si trova spiazzata dalle manifestazioni di sabato della sinistra con il rischio di ritrovarsi a rappresentare da sola le posizioni NATO ed europee più estreme in una giravolta di posizioni per lo meno curiosa.
Presa dalla necessità di non dare spazio a critiche atlantiche prima delle elezioni, la Meloni ha voluto e dovuto scegliere la strada della continuità, pur sapendo benissimo che una buona fetta dei suoi elettori sarebbero i primi ad applaudire ad un progressivo sganciamento da posizioni di adesione acritica alla linea “dura e pura” fin qui seguita dall’Europa e dai suoi alleati. Vorrà marcare un prossimo distinguo? In molti lo sperano, anche perché di fatto le piazze sono state comunque un avviso italiano a Zelensky di cambiare i toni con invito a sedersi a un potenziale tavolo di pace perché l’appoggio alleato non è infinito e sempre di più le opinioni pubbliche chiederanno uno sganciamento controllato.
In questo senso forse proprio la Meloni potrebbe essere – progressivamente e senza stappi – la portatrice di una posizione nuova dell’Europa che si avvii ad aiutare l’Ucraina con impegni futuri sulla ricostruzione piuttosto che continuando con una acritica fornitura di altre armi.
E’ un momento in cui anche Putin è debole ed ha interesse ad una tregua perché dopo nove mesi questa guerra sta diventando una sconfitta anche per lui, soprattutto perché i due blocchi hanno capito che l’avversario è teoricamente insuperabile salvo usare armi non convenzionali, con il fronte di fatto bloccato, ma bisogna uscirne innanzitutto con una volontà di arrivare ad una conclusione.
Le parole vigorose e per me assolutamente condivisibili espresse anche in Bahrein da Papa Francesco – che ha assunto in maniera forte questa posizione già dall’inizio del conflitto, purtroppo non ascoltato – partono dal presupposto che occorre innanzitutto una volontà di tregua per cominciare a valutare la situazione e, soprattutto in vista dell’inverno, concedersi una pausa umanitaria.
Putin ha sì assunto il controllo di alcune province storicamente russe, Zelensky non può prescindere dall’ammettere questa realtà e su questo si può avviare una riflessione seria sui desideri delle popolazioni coinvolte non solo tramite referendum garantiti nella loro correttezza, ma anche aperti a chi è fuggito e vorrebbe tornare a casa.
Difficile pensare a eventuali formali rettifiche territoriali, ma si potrebbe spingere per creare una zona di larga autonomia garantita a livello internazionale, dove si possa costruire un’area smilitarizzata con la presenza di truppe neutrali a garanzia di tutti.
Ci si crede in queste possibilità? Le piazze dicono che è ora di insistere su questa strada e – aspetto importante – mettono anche in crisi la posizione oltranzista che la NATO ha assunto su questa vicenda a volte di aperta e inutile provocazione alla Russia.
La NATO è una alleanza difensiva, ma è apparsa in mano più ai “falchi” che alle colombe, quasi volendo trovare in Ucraina una sua stessa ragion d’essere, visto che da decenni il “nemico” sembrava sempre meno pericoloso (e quindi la NATO contava di meno).
Al di là dell’ovvia ma confusa speculazione politica interna, le piazze di sabato chiedono di aprire uno spiraglio e di riflettere sull’incongruità di continuare in un assoluto muro contro muro.
MIGRANTI: SI RICOMINCIA (MA SI CAMBIA)
Tutto secondo copione: le ONG raccolgono migranti su prenotazione, cercano porti sicuri, Malta e l’Europa dicono di no, le navi battenti bandiera tedesca, norvegese, olandese ecc. stazionano per più giorni nel Canale di Sicilia (di imboccare Gibilterra e sbarcare a casa propria o nella progressista Spagna chi è a bordo non se ne parla neanche) e intanto cresce il dibattitto e la polemica tra i “buoni” e i “cattivi”.
La sinistra è “buona”, la destra è rude, insensibile e quindi “cattiva”, mentre l’Europa dà alte lezioni di moralità ma – salvo la Francia – non c’è stato uno straccio di governo che si sia offerto di prendersi in casa una quota di questi derelitti.
Ieri (giovedì) la Francia ha comunque tuonato “L’Italia è inumana!”. Dai dati ufficiali del Ministero dell’Interno si apprende che dall’inizio dell’anno al 9 novembre l’Italia ha accolto 89.826 persone sbarcate, 4.713 solo dall’1 al 9 novembre, ovviamente contando solo gli arrivi “ufficiali”. Giudicate voi chi dovrebbe vergognarsi.
AAAA CANDIDATA OFFRESI
E volevate che Letizia Maria Brichetto Arnaboldi vedova Moratti salutata la giunta regionale lombarda e persa l’occasione di fare la ministro con la Meloni non stesse cercando un incarico, fosse anche dalle parti di Calenda & Renzi, almeno come futura candidata presidente del centro-sinistra-centro alle prossime elezioni in Lombardia?
Detto e fatto: lasciato un posto se ne prepara un altro e in quarantotto ore opplà la frittata è capovolta con Letizia Maria pronta a correre per il fronte progressista.
Senza offesa ed anzi con simpatica cordialità, la Signora Letizia – figlia e nipote di casate illustri, costellate di lombi nobili rigorosamente dai doppi nomi e dotata per stirpe di un patrimonio impressionante – non ce la fa a stare ferma un minuto e tantomeno a restare in seconda fila, né si pone il problema di un minimo di coerenza politica.
D’altronde – nella disperata ricerca di posti e visibilità – negli anni ha messo insieme un curriculum impressionante. Già presidente della Rai, di UbiBanca e di una infinità di altre società, ministra della Pubblica Istruzione, sindaco di Milano (poi pesantemente bocciata al secondo mandato, invano glielo avevano spiegato di non ricandidarsi), è una che “ci mette del suo” (in termini di milioni) quando gli servono per la campagna elettorale perché comunque ne ha quanti ne vuole.
Insomma, la Moratti era alla ricerca di una collocazione visibile: “AAAA candidata esperta, massimamente curriculata con patrimonio cospicuo, disponibilità immediata anche in anche casa altrui, offresi.” Assunta.
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