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Prologo alla relatività

L’opera originale del maestro Emilio Isgrò, la presentazione in Camera di Commercio.

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Ideata dall’artista per la storica sede di via Meravigli, nasce da un documento conservato negli archivi dell’Ente: la lettera inviata all’allora Camera di Commercio da Hermann Einstein, padre del celebre Albert, per trasferire la propria attività commerciale a Milano per “maggiore opportunità

 

L’opera originale del Maestro Emilio Isgrò “Prologo alla relatività” presentazione giovedì 30 marzo presso la Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi, in via Meravigli, in occasione del Consiglio dell’Ente. L’opera è stata ideata dall’artista per la storica sede milanese di via Meravigli, partendo da un documento conservato proprio negli archivi dall’Ente, la lettera inviata all’allora Camera di Commercio da Hermann Einstein, padre del celebre Albert. La famiglia Einstein risiedette, infatti, a Milano negli ultimi anni dell’Ottocento, trasferendo la propria attività commerciale da Pavia al capoluogo lombardo per “maggiore opportunità”, come riportato anche nel documento d’archivio.

Il Maestro Isgrò ha immaginato un’opera di imponenti dimensioni (212×300 cm), in cui il testo della lettera di Hermann Einstein, reinterpretato attraverso la cancellatura, cifra stilistica dell’artista, dialoga con l’iconica silhouette del fisico. Prende così forma un duplice omaggio, da un lato al geniale autore della teoria della relatività e, dall’altro, alla Camera di commercio in quanto istituzione cardine dell’operosità di Milano e della Lombardia.

Scoprire quella lettera non mi fu facile quando andai a rovistare tra le carte del palazzo di via Meravigli per trovare qualcosa da offrire all’attenzione di chi ha fretta o ha perduto la memoria di un passato rispettabile a tutti i livelli: culturale non meno che imprenditoriale e civico. […] il mio occhio cadde sulla lettera di Hermann, e capii che quello era il documento da cancellare per riattizzare lo spirito d’impresa che rende insostituibile Milano tra le città del mondo e d’Europa. Niente Madonnina, niente Duomo per una volta. Giacché il misterioso mittente era semplicemente il padre d’un ragazzino di nome Albert (Albert Einstein per esteso) campione di tutte le cancellazioni ancora possibili” ha affermato il Maestro Emilio Isgrò in merito alla genesi dell’opera.

L’elaborazione artistica di una delle più importanti testimonianze conservata negli Archivi camerali diventa nuovo racconto che permette all’Ente di rinsaldare il proprio legame con la città e con il suo tessuto produttivo.

 

“L’attrattività di Milano ha radici profonde – ha dichiarato Carlo Sangalli Presidente della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi – e lo dimostra bene la lettera di Hermann Einstein, imprenditore tedesco padre di Albert, che alla fine dell’Ottocento voleva trasferire la sua attività nella nostra metropoli attraverso la Camera di commercio. Una lettera che ha ispirato l’opera di Emilio Isgrò il “Prologo alla Relatività” con la quale il Maestro ha saputo rappresentare oggi, nel suo stile unico, il valore di Milano città aperta, capace di accogliere e rinnovare ogni volta lo spirito di impresa”. 

 

L’opera, realizzata con il supporto tecnico di TheFabLab impiegando le più moderne tecnologie di lavorazione digitale su pannelli di fibrocemento fresati e completata con interventi manuali in corrispondenza delle cancellature, andrà ad incrementare il patrimonio artistico di grande pregio che la Camera di commercio ha raccolto negli anni, contribuendo ad investire nel settore culturale quale perno e motore dello sviluppo economico del nostro Paese, nonché elemento costitutivo dell’identità italiana, motore di innovazione per l’intero sistema economico, in quanto agisce come attivatore della crescita in altri settori del tessuto produttivo, dal turismo alla manifattura creative-driven, contribuendo in maniera significativa al miglioramento della qualità della vita e all’attrattività del territorio, in termini di investimenti, di talenti, di turisti.

 

Emilio Isgrò – artista, ma anche poeta, romanziere e drammaturgo – ha dato vita con le sue “cancellature” a un’operazione tra le più rivoluzionarie e originali del panorama artistico internazionale della seconda metà del Novecento. Isgrò è stato invitato a quattro biennali di Venezia e ha vinto il primo premio alla Biennale di San Paolo (1977). Ha esposto in prestigiosi musei internazionali come lo Stedelijk Museum di Amsterdam, il MoMA di New York e la Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia.  Isgrò è stato protagonista di numerose esposizioni antologiche: al Centro Pecci di Prato, alla Taksim Sanat Galerisi di Istanbul, alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, a Palazzo Reale e alle Gallerie d’Italia di Milano, alla Fondazione Cini di Venezia. Nel 2022 l’artista ha realizzato a Brescia la monumentale esposizione personale Isgrò cancella Brixia. Ad oggi, diverse opere di Isgrò sono esposte presso prestigiose istituzioni; tra queste l’opera Colui che Sono (2020) figura nelle collezioni del Quirinale e Cancellazione del debito pubblico (2011) è esposta negli spazi dell’Università Bocconi. Tra i suoi romanzi ricordiamo L’avventurosa vita di Emilio Isgrò nelle testimonianze di uomini di stato, scrittori, artisti, parlamentari, attori, parenti, familiari, amici, anonimi cittadini, candidato al Premio Strega. Per il teatro ha scritto la trilogia L’Orestea di Gibellina, rappresentata per tre anni sui ruderi della città distrutta dal terremoto, dando avvio al festival Internazionale delle Orestiadi. La sua ultima raccolta di versi edita da Guanda, è Sì alla notte.

 

Di seguito il testo integrale a firma del Maestro Isgrò che racconta la genesi dell’opera.

 

L’accento di Einstein

 

Il 23 febbraio 1899 un tedesco di nome Hermann Einstein scrisse una lettera alla Camera di Commercio per comunicare di essersi trasferito a Milano con la sua Ditta di dinamo e motori elettrici. Hermann era uno dei tanti tedeschi, in genere ebrei, che dal Nord scendevano in Lombardia alla ricerca di nuovi spazi dove far pesare le loro competenze tecnologiche d’avanguardia. E la terra lombarda (Hermann si era stabilito in un primo tempo a Pavia) li accoglieva con la generosità e la grazia che ancora oggi riserva a chi viene da fuori.

Tuttavia scoprire quella lettera non mi fu facile quando andai a rovistare tra le carte del palazzo di via Meravigli. Sapevo bene che dovevo cancellare qualcosa, ma sapevo altrettanto bene che era mio dovere ricordare ai miei committenti che la cancellatura (da me esposta tanti anni fa, proprio a Milano, da Arturo Schwarz e da Guido Le Noci) non ha niente a che vedere con quella Cancel Culture di stampo anglosassone che, pur con tutte le sue nobili intenzioni, pretende di costruire il futuro ignorando il presente e bruciando il passato. Perché il mondo non va avanti se non se ne accettano le vitali contraddizioni che esso stesso alimenta e propone.

In una parola, la cancellatura è l’altra faccia del linguaggio umano. Senza cancellare il superfluo, Manzoni e Leopardi non avrebbero scritto i loro capolavori, e il prodigioso Giorgione, per citare un solo pittore, non avrebbe dipinto La Tempesta, se è vero che quella mirabile opera, osservata ai raggi, rivela parti che non appaiono nella versione finale.

Io, che venivo da una cultura carica di dubbi, quella siciliana, mi sono limitato a trasformare l’eccezione in una regola: la cancellatura come il mezzo più potente per la piena realizzazione dell’immagine pittorica e letteraria.

Certo mi emozionò non poco la lettera di Giuseppe Garibaldi che chiedeva finanziamenti non so per quale sua guerra d’indipendenza. E mi toccarono l’anima le richieste d’aiuto e di sostegno da parte di tanti personaggi della nostra storia i cui nomi sono ormai spariti nel nulla. Fino a quando il mio occhio cadde sulla lettera di Hermann, e capii che quello era il documento da cancellare per riattizzare lo spirito d’impresa che rende insostituibile Milano tra le città del mondo e d’Europa. Niente Madonnina, niente Duomo per una volta. Giacché il misterioso mittente era semplicemente il padre d’un ragazzino di nome Albert (Albert Einstein per esteso) campione di tutte le cancellazioni ancora possibili.

Era il tasto che bisognava toccare: il tasto della scienza e della conoscenza al quale l’economia milanese è tradizionalmente legata. Per me sarebbe facile, a questo punto, tirare fuori la parola Innovazione con la maiuscola. Ma io non lo farò per il solo motivo che, quando una parola è inflazionata, è la prima da cancellare. E oggi, purtroppo, questa parola è usata e abusata anche da chi l’innovazione non la vuole e la vanifica al solo parlarne.

A me basta porre una domanda: se riteniamo che questo mondo sia immobile o in movimento. Io lo vedo fermissimo, bloccato, nonostante sia attraversato da guerre e da conflitti. Anzi è fermo proprio per questo. Perché le armi hanno preso il posto delle arti, intendendo con la parola arte anche l’arte di vivere e di riflettere.

Naturalmente un artista non ha risposte da dare. Ma almeno qualche domanda può farla. Io l’ho fatta già con il titolo della mia opera: Prologo alla Relatività.

Certo Hermann Einstein non sapeva che tipo di figlio aveva messo al mondo. Né il giovane Albert poteva immaginare che universo avrebbe lasciato leggendolo con lenti diverse da quelle indicate da Galileo e da Newton. Così come non è di poco rilievo che il grande scienziato, il quale parlò sempre l’inglese con un forte accento tedesco, parlasse invece l’italiano con un inequivocabile accento meneghino.

Tutto questo ha trovato (e può ritrovare) le sue antiche, rinnovabili radici a Milano, in una inconsapevole lettera di oltre un secolo fa, oggi custodita nella cassaforte di un archivio lombardo. Forse, come artista, ho un po’ forzato le cose. Ma è come artista che sono stato chiamato, e quando gli artisti vengono chiamati in causa da istituzioni serie come la Camera di Commercio, vuol dire che i filosofi non servono più. D’altra parte è anche vero che là dove un artista osa cancellare il sapere codificato per tramutarlo in pura energia, prima o poi ci sarà un piccolo imprenditore ardimentoso che impianta una fabbrica per dare lavoro a cento operai.”

 

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