Advertisement
 Domani esce “30”, di Massimo Urbani

IL NUOVO CD DI INEDITI A 30 ANNI

DALLA SCOMPARSA

Advertisement

clicca qui per ascoltare l’album

 Gentile collega, sono lieta di invitarti all’anteprima d’’ascolto di “30” (Red Records/Ird), l’album di registrazioni INEDITE di MASSIMO URBANI che uscirà domani 23 giugno, in occasione dei trent’anni della morte del grande sassofonista romano. Di seguito troverai il link per l’ascolto e il materiale stampa fornito dall’etichetta.

Resto a tua disposizione per approfondimenti e domande 

Grazie per l’attenzione 

Daniela Esposito

 

MASSIMO URBANI ALTO SAX
PIETRO TONOLO TENOR SAX
RICCARDO ZEGNA PIANO
LUCIANO MILANESE BASS
GIANNI CAZZOLA DRUMS

30. Note d’ascolto

La registrazione inedita avvenuta alla Tavernetta di via Sampieri 3, a Bologna, e che a trent’anni dalla scomparsa di Urbani, riaffiora dall’oblio per mostrarci la grandezza dell’artista. Quel 15 dicembre del 1982 il sassofonista regalò ai presenti una serata indimenticabile assieme a Tonolo, Riccardo Zegna, Luciano Milanese e Gianni Cazzola, rispettivamente al sassofono tenore, pianoforte, contrabbasso e batteria. Già la sola esposizione del tema di I Remember April, così rallentata e struggente, mostra l’innata capacità di Urbani di trovare, anche all’interno degli standard più frequentati, una chiave di lettura originale e sorprendente. Dopo l’esposizione e l’assolo di pianoforte di Zegna, Urbani si produce in un assolo torrenziale in un costante crescendo emotivo, chorus dopo chorus, prima di concludere il brano in completa libertà espressiva. Blue Train di John Coltrane è il palcoscenico per Tonolo che sviluppa un interessantissimo assolo che occupa tutta la prima metà del brano, mentre a Urbani è riservato il secondo intervento. Questo inizialmente stempera il clima infuocato creato da Tonolo ma che progressivamente si articola verso un’intensità emotiva sempre maggiore che culmina quasi in un momento free. La Blue’n’Boogie, di Dizzy Gillespie e del pianista Frank Paparelli, viene sviluppata per oltre diciassette minuti e permette a Urbani di eseguire un lunghissimo assolo a cui fanno seguito quelli degli altri componenti della band. Recorda Me è uno dei molti temi dal sapore latino americano composti da Joe Henderson, un brano che sembra fatto su misura per mettere in mostra le qualità di grande tenorista di Tonolo. A seguire Urbani, dapprima raffredda il clima e poi sviluppa in crescendo il suo intervento. Snappin’ Out fu originariamente registrato da Hank Mobley nel 1969 a Parigi e pubblicato nel suo album The Flip. Il tema nella versione proposta da Tonolo e Urbani è rispettoso dell’originale e vede in primo piano il tenorista di Mirano. Così come nella versione originale un non so che di francese emerge dal tema del brano e si riflette sugli assoli di Tonolo e Urbani. Quest’ultimo in particolare entra in scena in punta di piedi, quasi di soppiatto, riportando alla mente lo Stan Getz ospite/leader del trio di Eddy Louiss, René Thomas e Bernard Lubat. Una volta però impadronitosi della scena Urbani diviene torrenziale, artefice di un’improvvisazione spettacolare. L’assolo di Zegna chiude la serie delle improvvisazioni ed è preludio per la ripresa del tema che viene condotto in coppia da Tonolo e Urbani, spesso all’unisono. La serata alla Tavernetta ci restituisce un Urbani lucido, incisivo, ispirato, ma non sempre le cose andarono in questo modo. La carriera del musicista romano, purtroppo, non descrisse una traiettoria lineare e ascendente come quella dei suoi assoli più riusciti.

Su Massimo Urbani  (note di copertina)

Era il 1971 quando a Roma cominciò a circolare la voce di un giovanissimo sassofonista contralto che suonava “come gli americani”. Era un ragazzino di soli quattordici anni, un po’ impacciato, tendente alla pinguedine, con dei begli occhi azzurri. Era nato nel 1957 nelle case popolari di Via Agostino Dati, nel quartiere di Primavalle, nella zona nord occidentale di Roma, alle pendici di Monte Mario. Il ragazzo in questione si chiamava Massimo Urbani e, come molti nelle periferie romane, si esprimeva principalmente in dialetto romanesco, appena sporcato da un leggero sigmatismo sulla “esse”. Il giovane talento fu notato dal sassofonista Mario Schiano e dal contrabbassista Marcelo Melis, che lo ascoltarono esibirsi in un piccolo locale fuori mano. Urbani fu invitato a esibirsi al Folkstudio, club che dava spazio alla musica alternativa e dove Schiano annualmente organizzava una rassegna jazz. Anche il celebre pianista Giorgio Gaslini notò Urbani, durante un corso al Conservatorio di Santa Cecilia, e cominciò a utilizzarlo sia dal vivo sia in studio, facendolo suonare nei suoi album Favola Pop e Message. In occasione della registrazione di quest’ultimo lavoro, Urbani conobbe il trombettista Enrico Rava. Di lì a poco entrò a far parte del suo quartetto, causando le risentite lamentele di Gaslini che mal digerì lo “scippo” del giovane talento. In pochi anni tutta l’Italia jazzistica fu affascinata da questo talento puro che tutti descrivono come simpatico, estremamente intelligente e di gran cuore. La cantante Carla Marcotulli ricorda che: «la sua intelligenza era superiore. Aveva una memoria micidiale. Poteva capitare che a casa qualcuno leggesse libri che gli interessavano, e dopo ricordava tutto, date, nomi…». Il modo di suonare di Urbani era istintivo, irruente e senza compromessi. Il timbro del suo strumento era molto particolare, a metà strada tra quello di un sax contralto e un tenore, intermedio tra quelli di Charlie Parker e John Coltrane. Ricorda Rava: «in lui Parker era l’influenza maggiore, stilisticamente, come espressione. Stranamente per uno della sua età, che non è cresciuto in un ambiente particolarmente colto, aveva molta cultura jazzistica; conosceva benissimo un sacco di musicisti. Aveva dei periodi in cui gli veniva da suonare alla Lee Konitz ed era incredibile: uguale! Un periodo era molto coltraniano, ma comunque alla base direi che era veramente un parkeriano, anche se da giovane era più Ornette (Coleman). D’altra parte anche Ornette a modo suo è parkeriano». Urbani era un improvvisatore nato, un inesauribile generatore di idee le cui basi tecniche, a dispetto dell’istintività che mostrava nelle sue esibizioni, erano comunque molto solide. Contrariamente all’uso dei jazzisti che trascrivono gli assoli dei grandi del jazz e li studiano, il sassofonista romano aveva un approccio “classico” e amava esercitarsi sui metodi classici francesi come il Marcel Mule. Il pianista Paolo Tombolesi ricorda che: «più della forma si preoccupava della possibilità di esprimere dei sentimenti. Non era interessato ad approfondire i problemi della composizione o dell’arrangiamento, nemmeno dell’organizzazione del gruppo. Quando suonavo con lui non diceva nemmeno i titoli. Cominciava con un tema e noi dovevamo andargli dietro. Se non lo conoscevamo non si arrabbiava, cambiava tema, finché non riuscivamo a suonare con lui. È un modo di fare degli improvvisatori americani che lui amava». Se alle doti artistiche, unanimemente riconosciute in Italia e avvalorate dall’apprezzamento di grandi jazzisti internazionali, sommiamo quelle umane di un ragazzo semplice venuto dalla strada, amante della famiglia e aggiungiamo poi quella sua tipica goffaggine in tutto ciò che non era suonare, possiamo intuire come fosse impossibile non volergli bene. Ricordandolo, Enrico Rava disse che: «era incapace di fare qualunque cosa con le mani, tranne suonare. Col sassofono in bocca diventava una persona di un’abilità mostruosa, ma per tutto ciò che non aveva a che fare con il suonare era un disastro. Se apriva un pacchetto di sigarette, lo distruggeva: manualità zero». La vita di Urbani subì una svolta verso il 1974, quando la sua latente irrequietezza caratteriale lo portò a eccessi nel bere e a subire il fascino perverso del mondo della droga. Il contrabbassista Fabrizio Cecca ricorda che Urbani «aveva un carattere che oscillava tra debolezza e grande fierezza, depressione ed esuberanza. Era effettivamente un ipersensibile, come le sue doti musicali facevano chiaramente intendere… Io non ho mai avuto screzi con lui e ho il ricordo di una persona sensibile, generosa e molto intelligente. Non ricordo di averlo mai sentito giudicare le persone che gli stavano attorno. Certo, giudicava i musicisti e quando qualcuno si dava troppe arie, senza averne i meriti, Massimo ci andava giù duro, ma senza mai essere volgare. Ecco, Massimo era una persona priva di volgarità. Alcuni considerano la romanità e la parlata romana sinonimo di volgarità, ma non è così o, quantomeno, non era il caso di Massimo». Le piccole stravaganze che divertivano chi gli stava attorno, come quella di non portare mai i calzini neanche d’inverno, divennero qualcosa di più di pittoresche originalità e testimoniarono la nascita di un nuovo Urbani. La professionalità che è sempre richiesta, anche in un ambiente alternativo come quello del jazz, fu relegata in secondo piano. La necessità di soddisfare le proprie esigenze contingenti si tramutarono in prove disertate, ritardi ai concerti o addirittura improvvise sparizioni. I repentini scatti d’ira, di cui poi si pentiva regolarmente quando tornava in sé, completavano il quadro. Il sassofonista Alfredo Ponissi ricorda: «Massimo aveva spesso il sax in condizioni pietose; mi raccontava che quando gli prendevano i cinque minuti lo lanciava da una parta all’altra della stanza. Così quando era da queste parti, a Torino, mi chiedeva spesso il sax in prestito». La nomea di persona poco affidabile dal punto di vista professionale si diffuse in un attimo. Tutto l’ambiente del jazz continuava a volergli bene, tutti cercavano di aiutarlo come potevano, ma fare affidamento su di lui per un concerto o una tournée era fuori discussione. La situazione peggiorò, se possibile, a partire dalla fine del 1977, quando la madre di Urbani morì improvvisamente, pochi giorni prima di Natale. «Massimo non era un drogato standard», dichiarò il sassofonista Maurizio Giammarco, «e mi dispiace molto usare questo termine. Non bisogna avere l’immagine di un musicista tipo Art Pepper o Chet Baker che si iniettavano la siringa ogni giorno con metodo. Chet ci è andato avanti fino a sessant’anni. Massimo no. Lui poteva stare un mese senza toccare nulla e poi si faceva per una settimana di seguito. In quei periodi lo vedevo di meno; era scontato, visto che lui faceva quel tipo di vita. Nei nostri incontri musicali non mancava occasione di ripetergli di piantarla, ma lui viveva come voleva morire… Sicuramente le sue serate migliori sono state quelle in cui era lucido. Quando era in forma, era sensazionale». Nonostante gli “incidenti di percorso” che costellavano la carriera professionale di Urbani, era impossibile non volergli bene a dispetto di qualsivoglia fosse l’entità del problema di volta in volta causato dal sassofonista romano. «Tra noi c’era molto affetto e stima, credo, reciproca» dichiarò il sassofonista Piero Tonolo con cui Urbani nel 1982 suonò con continuità nei jazz club italiani. «…. ma il mio rapporto con Massimo musicista è sfaccettato e complesso. Tra quelli che ho avuto occasione di conoscere e di frequentare Massimo è probabilmente il musicista dotato di maggior talento. Talento inteso non solo come facilità tecnica (che peraltro Massimo possedeva in quantità enorme), ma come capacità di connettersi naturalmente con le misteriose “sorgenti” dell’arte, insomma un artista dalle potenzialità assolutamente fuori dal comune. Però volendo usare un termine altisonante, “l’opera” di Massimo non è certo all’altezza delle possibilità che aveva. Insomma, credo che ascoltando i suoi dischi (e non avendolo conosciuto e sentito live) si possa avere un’idea piuttosto sbiadita e parziale di quello che potenzialmente realmente fosse Massimo. Uno come lui avrebbe dovuto lasciare almeno una mezza dozzina di dischi strepitosi… forse non gli interessava realizzare un progetto “artistico” compiuto, ma si accontentava di vivere di “sprazzi” straordinari». Con quella schiettezza tipica del carattere romano Urbani, nel documentario-intervista di Paolo Colangeli intitolato “Massimo Urbani nella Fabbrica Abbandonata” dichiarò con disarmante onestà: «nel negativo devo dire che ci sono anche delle cose positive, parliamo di droga, ma… non lo so… io c’ho molta confusione perché c’ho anche passato momenti bellissimi…». La vita di Urbani si interruppe tragicamente il 24 giugno 1993, nella sua amata Roma, per overdose di eroina su un’ambulanza che, a sirene spiegate, lo stava trasportando all’ospedale San Filippo Neri.

Note Biografiche

Nato a Roma nel 1957, Massimo Urbani è stato un lampo che ha illuminato a giorno le notti del jazz italiano. Dotato di un talento puro e di una fervida vena creativa, è stato uno dei più grandi musicisti jazz mai apparsi in Italia. La sua cultura musicale era molto vasta, e Urbani era stato in prima battuta influenzato da Charlie Parker e, successivamente, da John Coltrane e Albert Ayler, straordinari innovatori nella storia del jazz e portatori, al di là della vicenda umana, di una forte vena spirituale. Urbani è stato un musicista tormentato, baciato dal talento ma totalmente inadeguato a vivere una vita normale. Comincia a suonare il clarinetto a undici anni, ma ben presto preferisce il sax contralto. Di lui si inizia a parlare, nell’ambiente dei musicisti, già nel 1971. Il polistrumentista Puccio Sboto sta provando prima di un concerto, eseguendo un tema di Dizzy Gillespie. Improvvisamente gli arriva il suono di un sax contralto che sembra quello di Parker. A suonare invece è il quattordicenne Urbani. Viene notato anche dal sassofonista Mario Schiano e dal contrabbassista Marcello Melis, che lo ascoltano mentre si esibisce in un piccolo locale di periferia. Urbani viene invitato a suonare al Folkstudio, noto locale romano che dà spazio alla musica alternativa e in cui Schiano organizza annualmente una rassegna jazz. Nel 1973 Urbani esordisce discograficamente con il sassofonista nell’album Sud. Anche il pianista Giorgio Gaslini lo nota durante un corso al Conservatorio di Santa Cecilia, e comincia a utilizzarlo sia dal vivo sia in studio. In occasione della registrazione di una di queste registrazioni, Urbani conosce il trombettista Enrico Rava ed entra a far parte del suo quartetto con il contrabbassista Calvin Hill e il batterista Nestor Astarita. Con questa ritmica, Urbani incide il suo primo album il 12 novembre 1974, il volume 13 della serie Jazz A Confronto dell’etichetta Horo. Tutto sembra andare per il meglio, ma il disagio esistenziale di Urbani comincia a manifestarsi. Sviluppa una dipendenza dalla droga e diventa inaffidabile e irascibile. Frequenta le scene dell’avanguardia e collabora anche con il gruppo di rock alternativo degli Area e con la formazione sarda dei Cadmo. Nel 1979 registra per la Red Records l’album 360° Aeutopia assieme al pianista Ron Burton, al contrabbassista Cameron Brown e al batterista Beaver Harris; in questo album, Urbani mostra di non aderire all’estetica dell’avanguardia allora dominante. Con l’etichetta milanese il sassofonista registra anche, nel 1980, Dedication To A.A. & J.C. / Max’s Mood, tributo a Coltrane e Ayler. Nel 1986 partecipa a Via GT del contrabbassista Giovanni Tommaso e nel 1987 registra Easy To Love con lo sfortunato pianista fiorentino Luca Flores. La vita di Massimo Urbani si interrompe tragicamente il 24 giugno 1993, sull’ambulanza che lo sta trasportando all’ospedale San Filippo Neri di Roma, per un’overdose di eroina.
Note di Mujic a 30 di Massimo Urbani

Quando, nel 2019, abbiamo fondato l’Associazione MUJIC, acronimo di “Monterosi per Urbani Jazz Informazione e Cultura”, non credevo che si potesse trovare un così grande entusiasmo, non solo
nella cerchia dei musicisti jazz, nel voler partecipare, ognuno a suo modo, contribuendo a creare delle occasioni per celebrare Massimo Urbani, il grande sassofonista romano per il quale, proprio quest’anno, il 2023, ricorrono i trent’anni dalla sua prematura scomparsa a soli 36 anni di età. Come un sassolino che cade dalla cima di una montagna e nella discesa raccoglie altri sassi, fino a diventare una valanga, così mi sembra che accada quando proponiamo un’iniziativa dedicata a Max: da una semplice idea iniziano a palesarsene di nuove con proposte di collaborazione da persone spinte soltanto dall’amore e la stima nei confronti del «man».
 È questo il caso della produzione discografica che avete tra le mani. Un altro «gigante» del jazz italiano, il batterista Gianni Cazzola, mi contatta per farmi avere delle registrazioni inedite fatte durante un concerto in un periodo di particolare «stato di grazia», il 1981: la formazione è la stessa, in quartetto, che qualche mese prima registrava il capolavoro «Go Max Go» con in più la partecipazione del giovane ma già talentuoso Pietro Tonolo.
La scelta dei brani selezionati per il disco è stata curata dallo stesso Pietro Tonolo che con pazienza mi ha supportato in questo lavoro e che ringrazio infinitamente. Il mio grazie va anche a Maurizio Urbani il quale sentendo i brani commentò «belle registrazioni, mio fratello era veramente in forma qui. Vai ‘man’ pubblica tutto». Grazie. E poi ancora Gianni Grassilli e Giuseppe Lo Bue, maestri del sound engineering, che si sono offerti per il lavoro di “ricostruzione” delle tracce per renderle fruibili ad alta qualità! Grazie ad entrambi.
Grazie a Marco Pennisi e alla Red Records che non ha esitato un solo minuto ad affiancarmi e decidere di produrre e distribuire l’opera!
 Infine, per ultimo ma non ultimo, il mio più grande grazie va a Gianni Cazzola, senza il quale questo disco non sarebbe stato pubblicato. Alla mia richiesta di scrivere qualche riga su quei ricordi si commuove, ci commuoviamo assieme, e mi riesce a dire solo: «guarda scrivi tu per me…è stato un periodo bellissimo, ci siamo voluti veramente tanto bene e lui era, era…un “grande, grande, grande” come nella canzone di Mina! 
Non riesco a dire altro.» E io aggiungo: questo è puro amore ed è molto jazz! «MAX LIVES!» Luca Marino, presidente MUJIC

 
©2022I Appaloosa  . All rights reserved.

Informazione equidistante ed imparziale, che offre voce a tutte le fonti di informazione

Advertisement
Articolo precedenteMutamento e Transizione
Articolo successivoLe Balene hanno trovato casa a Rosignano Solvay si festeggia con Jennà Romano

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui