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Strani giorni

 

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di Domenico Bilotti

 

Sembra doveroso precisarlo: credo l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani costituisca un’importante riserva di storia, memoria, iniziativa. Lo dico a chiare lettere perché non vorrei qualche sincero democratico avesse in caso contrario voglia di censurare un modestissimo apporto critico e costruttivo al dibattito. Parlare controvento agli isterismi è un esercizio pericoloso di coscienza civile. Nuoce gravemente… Al capitale reputazionale. ANPI era significativa quando erano ancora in vita molti combattenti della Resistenza, mano a mano potrebbe adesso diventarlo ancora di più: segnalarci in che vesti, superato il fascismo storico, si riproducano istinti di autoritarismi e fascismi vecchi e nuovi. E si badi: il revisionismo violento non è un problema (solo) culturale, è anche un problema (immediatamente) criminale, come l’uccisione del ragazzo ateniese ad opera dei neonazisti croati. I famigerati neonazisti croati che in una partita contro l’Italia diedero vita a una coreografia (in)umana a forma di svastica.

Mi convince meno quando l’antifascismo associativo assume il sacerdozio dei valori repubblicani e dei principi fondamentali. Detto in altre parole: mi repelle che pontifichi sulla strage di Bologna (2 agosto 1980) un estremista di destra di quegli anni, divenuto in itinere responsabile della comunicazione per il presidente della regione Lazio. La sua discutibile opinione è tuttavia incoercibile e solleva un tema su cui la sinistra tutta, in ogni “tinta”, aveva decenni addietro espresso idee simili: i condannati con sentenza irrevocabile, che per la giurisdizione rei sono e saranno, possono, sì, protestarsi innocenti, ma furono comunque punta dell’iceberg di un fenomeno molto più complesso, pericoloso e destabilizzante.

La lucidità è nemica degli umori febbrili e ora non a caso torna a parlarsi della malattia grave del boss (anch’egli giudicato) Matteo Messina Denaro. Nessuna empatia per il profilo criminale; anzi, la punta di fastidio crescente verso chi ha traghettato dalla sua negli anni uomini di Stato, affaristi, logge coperte, connivenze insospettabili. La persona in ogni caso sta morendo. Malattia grave e tormentante, avanzatissima. Lo consumerà fino alle porte dell’Inferno. Significa favorire la mafia interrogarsi a quali condizioni fisiche non sia più possibile affrontare la detenzione del 41 bis dell’ordinamento penitenziario italiano? Persino nella Grecia dei Colonnelli, nella Russia dei Gulag, nell’Iran sciita di oggi, erano o sono previste circostanze dove il peggior malfattore si lega alla schiena la sua croce in un letto d’ospedale, e non in una microcella priva di ogni sussidio sanitario. Lo Stato non è vero rieduchi, anche perché non tutti i delinquenti vogliono esserlo (e chi vuole in questo carcere spessissimo non può). Lo Stato certo punisce e neutralizza, o indica di farlo a fini di sicurezza collettiva. È così necessario che questa paralisi del reo pericoloso passi dalla tortura dell’assenza di cure? Forse ci sembra normale, perché anche ai liberi e agli onesti curarsi è sempre più negato. Io contro ogni mafia, in primis quelle stesse che sequestravano e uccidevano, negavano i diritti e facevano i profitti, qualche dubbio me lo tengo. Strani giorni cantava Battiato. Siciliano anche lui: poeta di pace, però, né assassino né carceriere.

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