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L’opinione pubblica è convinta che l’inizio del femminismo risalga alla prima Women’s Rights Convention (a Seneca Falls, vicino a New York) del 1848. Il Congresso fu indetto dalle due instancabili attiviste Elisabeth Cady Stanton (1815-1902) e Susan B. Anthony (1820-1906). In Italia la marcia verso la parità iniziò più tardi e più lentamente. Le prime a sfidare la società sono state la repubblicana e mazziniana Anna Maria Mozzoni (1837-1920), la cattolica Teresa Labriola (1873-1941) e la socialista Anna Kuliscioff (1854-1925). Questa la vulgata popolare. In realtà le vere radici del femminismo furono ben evidenziate da Sigmund Freud. Lo psichiatra tedesco, dopo lunghi studi sui bizzarri comportamenti di un’infima minoranza di femmine, arrivò ad una tragica conclusione. Le donne che volevano scimmiottare l’uomo, non era mosse da ideali egualitari o paritetici, ma semplicemente dall’invidia del pene. Freud ipotizzò che l’invidia penis fosse imputabile allo sviluppo psicosessuale femminile e il senso di angoscia che sperimenterebbero le bambine quando notano di non possedere il pene. Secondo la teoria pulsionale di Freud, ciò accade durante la fase fallica intorno ai 3-5 anni di età.  A quell’età, la bambina si rende conto che non ha un pene e sviluppa la fantasia inconscia che ciò è dovuto al fatto di essere stata castrata. Come difesa contro questa fantasia, che va di pari passo con il sentimento di inferiorità, la bambina sviluppa quindi l’invidia del pene dell’uomo e di conseguenza, odio verso i maschi. Congettura ritenuta blasfema dalle femministe, che però viene indirettamente confermata da un fenomeno sociale che tocca l’universo maschile. Camminando tra la gente, o osservando le performance di  giovani maschi su Tik Tok o piattaforme affini, anche un cieco non può non aver notato una sorta di transizione sessuale verso il genere femminile. I giovani imbellettati, truccati e vestiti come le femmine, certificano la teoria opposta ma speculare, cioè l’invidia vaginis. Sigmund Freud, non poté mettere nero su bianco l’analisi sulla femminilizzazione dei maschi, semplicemente perché nel XIX secolo, la TV, i social media e i cosiddetti influencer, non esistevano. I maschi portavano i pantaloni e le femmine le gonne. Oggi siamo tutti gender: le donne fanno i minatori e i maschi i baby sitter. Manca solo l’ultimo passo, verso il transumanesimo: l’uomo, metà umano e metà macchina. Ma chi comanda il mondo, ci sta alacremente lavorando.

Gianni Toffali

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