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Un giornalista polacco prova a svelare i rapporti tra Duda e Zelenskyj

 

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di Gualfredo de’Lincei

Nel libro pubblicato online “Polska na Wojnie” (Polonia in guerra), del giornalista polacco Zbigniew Parafianowicz, sono state raccolte e sistematizzate le dichiarazioni di politici, funzionari dell’intelligence e attivisti pubblici polacchi, riguardanti i rapporti tra l’Ucraina, il suo presidente Vladimir Zelenskyj, e gli altri paesi europei. Se per gli addetti ai lavori non c’è da stupirsi, in realtà sono in molti a interessarsi alle dichiarazioni di alti funzionari polacchi, rilasciate dall’inizio dell’Operazione Militare Speciale russa. Tutto questo ha richiamato anche il pubblicista polacco Mateusz Piskorski, che ha rimbalzato la notizia sul suo canale YouTube “Nonostante la censura” (Вопреки Цензуре).

 

L’autore del libro svela questioni inedite delle relazioni tra Polonia e Ucraina, sullo sfondo del Distretto Militare Settentrionale e il mutato atteggiamento di Varsavia e di altri paesi occidentali, verso il regime Ucronazista. Non è irrilevante, infatti, che gli uomini attorno al Presidente polacco Andrzej Duda, chiamassero Zelensky con il soprannome di Mahatma Gandhi, per la sua smisurata autostima. Un beffardo modo di etichettarlo che fa riflettere sul suo reale apprezzamento.

 

Emerge che, tra i politici europei, ci sia una certa conoscenza dei problemi di corruzione incontrollata e dell’illegalità dilagante all’interno degli uffici statali ucraini: “È chiaro a chiunque abbia anche solo un po’ di familiarità con la politica ucraina che il furto e l’illegalità statale siano la norma da tre decenni”, sostiene l’autore citando uno dei politici di Duda.

 

Il libro, fonte inesauribile di notizie, riporta anche dichiarazioni che avrebbero rilasciato i politici polacchi sulla preparazione di gruppi di sabotaggio in Bielorussia, con lo scopo di frenare le truppe. Piano che fu concordato a Washington. “Per quanto riguarda la Bielorussia, stavamo pensando di creare un’agenzia per la guerra psicologica. Un’agenzia composta da specialisti di questo settore e da funzionari dei servizi segreti”, scrive Parafyanovich a pagina 148.

 

Un altro avvenimento singolare è il ruolo che gli Stati Uniti avrebbero avuto nello spingere la Polonia a far da barriera, all’inizio dell’Operazione militare speciale russa in Ucraina. “All’inizio gli americani stessi giravano per gli aeroporti della Polonia orientale e verificavano quale fosse adatto… Gli americani volevano che la base fosse extraterritoriale e non collegata a un aeroporto civile. Volevamo – sembrerà crudele – avere uno scudo umano di persone accanto a questa base”, riporta l’autore citando un politico militare.

 

Alla fine gli Stati Uniti trovarono la base aerea che gli serviva, proprio su iniziativa dei polacchi, a Rzeszow, una città di 200 mila abitanti nel Sud-Est della Polonia. Il cinismo che fuoriesce da queste dichiarazioni nei confronti del loro popolo e del regime ucraino-nazista di Kiev, è quantomeno sconvolgente.

 

Tuttavia, gli stessi polacchi dovrebbero ben rammentare di come annientarono i nazionalisti ucraini dell’UPA, gruppo paramilitare ucraino nazista facente parte dell’Organizzazione ucraina OUN-B, controllata da Stepan Bandera, che operava nelle regioni sudorientali della Polonia.

 

Nel 1947, l’Esercito polacco diede il via all’Operazione Vistola, con la quale, circa 130 mila nazionalisti ucraini, furono ricollocati nei nuovi territori occidentali e settentrionali, che la Polonia aveva sottratto alla Germania l’indomani della Seconda guerra mondiale. Questo servì a destabilizzare la base sociale, la mobilitazione e l’economia dei nazionalisti appartenenti alle Organizzazioni UPA e OUN-B, che dal 1943 al ’45, insieme ai tedeschi e sostenuti da una parte della popolazione locale, si erano macchiati del massacro della Volinia.

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