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Valutare l’efficacia delle misure messe in campo dalle istituzioni nel mitigare o ridurre il conflitto uomo-fauna selvatica nel Parco nazionale del Pollino. È stato questo l’obiettivo della ricerca condotta dal giovane ricercatore cassanese Davide Papasso nell’ambito del Master in Conservazione delle foreste e della natura organizzato dall’Università di Wageningen, nei Paesi Bassi.

Il suo lavoro è stato quello di catalogare tutte le strategie messe in atto dalle istituzioni per mitigare/ridurre questo conflitto uomo- fauna selvatica. «Le opinioni degli stakeholder – ha spiegato – in relazione a queste strategie e l’ottenimento dei loro suggerimenti è stata di fondamentale importanza, in quanto questo processo mi ha portato a formulare raccomandazioni istituzionali da presentare alle istituzioni, con l’aspettativa che queste vengano prese in considerazione durante il processo di elaborazione di suddette politiche con l’obiettivo finale di creare una conservazione sostenibile, accettabile e duratura».

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Il Parco nazionale del Pollino si estende per 192.500 ettari e rientra nei confini politici di due regioni, la Basilicata e la Calabria. Un’area protetta con 56 comuni all’interno dei quali vivono circa 146mila abitanti con una densità umana media di 28 abitanti a chilometro quadrato. Una riserva naturale è costituita da un complesso agglomerato di rilievi montuosi che nasce dalle acque del Mar Ionio e attraversa l’entroterra per tutta la sua larghezza fino a raggiungere le acque del Mar Tirreno. Dagli ultimi dati disponibili risulta che quasi il 46% della superficie del PNP è coperto da foreste, mentre la parte restante è caratterizzata principalmente da prati e praterie alpine spesso sfruttate da bestiame vivo. All’interno del Parco sono presenti circa 2.600 aziende zootecniche.

Per scoprire e poi catalogare tutte le strategie utilizzate dalle istituzioni per rispondere ai cittadini e mitigare il rapporto uomo-fauna è stata condotta un’analisi sui documenti forniti dagli informatori qualificati. «In particolare – ha spiegato – i referenti interni del Parco con cui ho interagito durante la ricerca hanno prodotto dei documenti in cui sono elencate tutte le strategie adottate dalla direzione del Parco per mitigare/ridurre il conflitto uomo-fauna selvatica. Oltre a questi dati, questi documenti hanno fornito anche dettagli sul numero di cinghiali uccisi per comune attraverso la caccia selettiva, nonché ulteriori dettagli sulle tecniche utilizzate dai cacciatori autorizzati per svolgere questa attività, che non vengono qui riportati in quanto non rilevanti. Parallelamente a questi documenti, sempre gli uffici del Parco mi hanno fornito una tabella contenente il numero di richieste di risarcimento totali tra il 2010 e il 2020 (accettate e respinte), i danni stimati, l’importo totale risarcito, i risarcimenti medi e il rapporto percentuale tra risarcimento e danno, sia per i cinghiali che per i lupi, oltre che la somma».

L’analisi ha previsto l’intervista di quarantuno persona tra cui personale della direzione e dipendenti del Parco, Carabinieri Forestale, sindaci e responsabili comunali dei comuni più colpiti, dipendenti regionali coinvolti nel settore ambientale-forestale-faunistico, associazioni o sindacati di agricoltori e allevatori e proprietari di aziende agricole che hanno subito danni (in particolare per il dissodamento dei terreni da parte dei cinghiali e la predazione del lupo) e di aziende agricole che non hanno subito danni e il referente di zona del WWF.

In termini percentuali, è emerso che il grado di soddisfazione è nella maggior parte dei casi negativo: 47,5%, seguito da coloro che considerano la gestione dei conflitti positiva con il 27,5% del totale, e infine dai neutrali, che sono il 25%. I cinghiali, nel 2020 (ultima stima disponibile) hanno creato danni per oltre 80mila euro mentre i lupi 120mila euro. Le misure messe in campo dalle istituzioni per mitigare-ridurre il conflitto uomo-fauna sono: compensazione economica, caccia selettiva – selecontrollo, recinti, cani da guardia, segnalatori acustici e supporto veterinario.

Sebbene l’opinione dei soggetti coinvolti e incontrati sia piuttosto negativa quando si riferisce alla gestione del Parco in generale e in particolare al metodo utilizzato per effettuare il risarcimento dei danni e alla formulazione delle recinzioni, i risultati ottenuti sembrano suggerire che al momento la capacità delle strategie utilizzate per ridurre il numero di capi di bestiame uccisi dai lupi non stia avendo un impatto particolarmente forte, anche se non è possibile sapere quale sarebbe stato il numero di animali uccisi se le misure non fossero state implementate. Per quanto riguarda le perdite economiche causate dalla presenza della fauna selvatica nel Parco, i risultati indicano che mentre i danni da lupo continuano ad aumentare, i dati relativi ai cinghiali hanno mostrato un andamento stabile e/o decrescente negli ultimi anni, suggerendo che la caccia selettiva e/o le recinzioni si stanno dimostrando efficaci nel ridurre i danni causati da questo ungulato. Inoltre, le strategie sembrano aver contribuito a non far diminuire pesantemente il livello di tolleranza nei confronti della fauna selvatica e della conservazione della natura; infatti, nonostante alcuni si definiscano meno tolleranti nei confronti della fauna selvatica, lo fanno solo nei confronti degli animali selvatici che causano i danni maggiori, in particolare i cinghiali. Allo stesso tempo, però, una parte degli intervistati si considera ancora più tollerante.

Molte opinioni, infine, convergono sulla necessità di rafforzare il rapporto tra il Parco e i soggetti interessati dai danneggiamenti poiché la sensazione di esclusione e di lontananza che pervade coloro che si trovano più in basso nella scala gerarchica è un motivo di insoddisfazione per la gestione del conflitto tra uomo e fauna selvatica.

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