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Si è consapevole del destino? Il mito sì. E che attraversa la realtà senza la consapevolezza del reale?

 

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Pierfranco Bruni

 

Ci fu in invito al viaggio. Come si può accogliere un invito quando il viaggio è destino? Nella Grecia di Gorgia il viaggio è il limitare il tempo lungo la dissolvenza dell’età. L’età si perde e ci si consegna al tempo.

L’invito al viaggio riporta certamente a Baudelaire. A quel Baudelaire molto caro a Manlio Sgalambro e a Maria Zambrano.  Ma sono un itinerario metafisico che non si sistematizza nel pensare filosofico dell’abitare il tempo. Il filosofo vive di imperfezione come ha sostenuto Greimas.

Eppure si incammina verso una ermeneutica della conoscenza potrebbe dirci Merleau Ponty perché siamo tutti attratti di un omerico sentire che attraversa quel Jankelevieh che sostiene il paradosso della nostalgia come labirinto.

Ma ogni volontà di apparenza nasce da una voluottuosa volontà di realtà. La verità oggettiva potrebbe scontrarsi con estetica del soggetto.

Il cortocircuito avviene nel momento in cui la solitudine come destino dell’io diventa menzogna della finzioni. La misantropia è destino. Il filosofo è solo per scelta di verità e in questo tempo – destino vive il “cetimoniale” del tragico. Perché questo non è altro che “tempo sospeso”.

Sgalambro supera completamente l’epistemologia severiniana perché con l’autore di “Anatol” siamo già in una cultura post metafisica.

Sgalambro intensifica ciò che sosteneva Heidigger, ovvero il fatto che “…non è sempre necessario che la verità prenda corpo; basta aleggi attorno come spirito e provochi una sorte d’accordo, come quando il suono della campana fluttua amico delle atmosfere”.

In Sgalambro c’è un umano e un disumano.  Si pensi a “Del delitto”. Il delitto potrebbe abitare il territorio delle finzioni? Per entrare in ciò bisogna conoscere però il dolore. La verità è da attraversare come fosse l’impugnatura del coltello dell’essere. Il destino è qui. Soltanto chi è dentro il mito può accogliere il destino come benevolenza.

La fenomenologia dell’apparire è angosciosamente imperfetta. In Sgalambro manca la speranza perché l’attesa è una lettera che disconosce le tenebre. La grotta di Sgalambro può essere la caverna di Platone ma può anche essere il non essere.

Ma oltre la grotta insiste l’isola. Ed è quell’istante della misantropia che dettaglia il reale oggettivo ma si configura come il viaggio del destino. Michel Tournier ebbe a dire nel suo “Robinson”: “Un’altra isola dietro quella dove soffia in solitudine …” il destino, aggiungo io, è l’isola dove il porto si perde e l’uomo muore.

In tutto questo non potrebbe proprio la morte a diventare destino?

Baudelaire: “Avrei da aggiungere due diritti alla lista dei diritti dell’uomo: il diritto al disordine e il diritto ad andarsene”.

Per dirla con definizione di causa è Cioran che scrive: “Il dovere di un uomo solo è di essere ancora più solo”. Se non è destino questo cosa mai potrà definirsi tale? Sgalambro di tutto questo nel far morire il sole era ben consapevole. Si è consapevole del destino? Il mito sì. E ch attraversa la realtà senza la consapevolezza del reale?

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