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Prendete nota: un’ingerenza indebita della politica in una istituzione culturale come l’Egizio di Torino è quando la destra, governando uno dei cinque enti fondatori dell’Istituto (Regione Piemonte), vuole farsi rappresentare nel consiglio d’amministrazione da un egittologo di fama internazionale. Quando invece la sinistra fa nominare e confermare per anni, ai vertici del Museo e della Fondazione, uomini e donne ad essa riconducibili, è ‘normalità’ e tutti devono ritenersi democraticamente rappresentati, managerialmente garantiti e scientificamente soddisfatti. Questo vorrebbe farci credere la stampa di regime dall’inizio di maggio in qua, contando sul silenzio imbarazzato dei pochi media che non rientrano nel patrimonio o non sono a libro paga dei soliti noti. La sola idea che un professionista del mondo della cultura non allineato con alcun gruppo di potere, qual è il prof. Francesco Tiradritti, possa mettere gli occhi nelle carte dell’Egizio è considerata provocatoria. E il rischio che questo corpo estraneo possa poi uscirsene dicendo che il re è nudo risulta così intollerabile ai padroni del vapore che non basta sapere di poterlo mettere facilmente in minoranza in cda. Bisogna impedirne l’ingresso con ogni mezzo, compresa la velata minaccia di abbandonare la nave, cioè l’Egizio, ad un destino che, in assenza dei ‘migliori’, non potrebbe non essere tragico. Poiché una lettura non partigiana dei dati oggettivi consente di intuire, però, che sull’Amerigo Vespucci del sistema museale italiano non è tutt’oro quello che luce, mi accingo a presentare una interrogazione al ministro Franceschini sul caso. Quanto sia temuta, del Tiradritti, proprio la competenza in materia finanziaria e gestionale prima ancora che scientifica è dimostrato, del resto, dal fatto che la nomina del predecessore, proposto dalla Lega, benché oggetto di scherno a causa della distanza personale e professionale del prescelto dal mondo della cultura, è stata ratificata dal cda senza esitazioni, ritenendolo evidentemente non pericoloso. Ad un egittologo, al contrario, potrebbero saltare all’occhio diversi elementi critici e un quadro d’insieme della decantata gestione Christillin-Greco non del tutto privo di ombre, tale da suggerire ad entrambi l’opportunità di partire per altri lidi finché il mito della gestione perfetta è ancora (quasi) intatto. Per restare al Museo, ad esempio, nonostante l’annuncio della messa in rete delle collezioni, gli oggetti caricati sul portale sono oggi appena 3000 su 40.000 e la qualità della proposta all’utente è modesta. All’atto dell’affidamento di quei beni in comodato all’Istituto, inoltre, non esisteva un inventario esaustivo ed è dubbio se almeno l’inventariazione sia stata completata. Cosa ne è stato, poi, della meritoria operazione tesa ad aprire una filiale dell’Egizio in Sicilia? A sei anni di distanza, appare come una mossa politica che ha giovato solo al museo torinese appena riallestito (2015). In tema di costi, in fine, il bilancio dell’anno pre-pandemia (2019) documenta spese per circa 13 milioni di euro a fronte di un guadagno appena superiore. Due milioni e mezzo dei 70 erogati dal MiC per aiutare i musei non statali sono andati alla Fondazione torinese ma a quanto ammontano le spese del 2020 e come sono state coperte? Intendo chiedere al Ministro, perciò, se sia in grado di riferire a che punto è arrivata l’inventariazione dei reperti affidati alla Fondazione Museo Egizio e se presidente e direttore non stiano fomentando e utilizzando strumentalmente, dopo averla costruita ad arte con l’aiuto della stampa, la polemica sulla nomina del prof. Tiradritti nel cda allo scopo di abbandonare il Museo al suo destino prima che diventi palese il reale stato di salute post-pandemia della Fondazione, per di più facendosi passare da vittime dell’incultura incarnata da chiunque sia fuori dal “sistema Torino.”

 

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Margherita Corrado (Senato, AC) – Commissione Cultura

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