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NEL REGNO DELLE LAMENTELE

 

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Accorgersi dei meccanismi nella comunicazione politica è sempre stata una carta importantissima per la salvaguardia dei diritti di cittadinanza. Senza questi presupposti, un popolo disinformato sull’amministrazione è un popolo più debole. In buona misura il formidabile stress test della pandemia ha enfatizzato tutto ciò. Le maggioranze parlamentari hanno poi dimostrato tutta la loro incoerente contraddizione del poggiarsi gli uni sugli altri senza dare troppo spazio alla programmazione e alla coerenza. Abbiamo cambiato tre governi e tre governi di profili e maggioranze diverse: il primo governo Conte era “sovranista”, si reggeva sull’asse Lega-Cinque Stelle, la parola d’ordine era “spazzare via tutto”; il secondo governo Conte era il contrario, con personale politico equivalente e dentro il PD e i partiti alla sua sinistra. Un governo elefantiaco nei tempi deliberativi ma che guardava qua e là a temi rimasti ahinoi ai titoli: ambiente, sanità pubblica, Unione Europea. E oggi il governo Draghi: dentro tutti i tre scacchisti degli ultimi anni (Lega, PD, Cinque Stelle). Apparentemente fuori Giorgia Meloni, ma non tanto: quanto ha aiutato il suo partito a crescere. Critica ma pronta a votare i provvedimenti del primo Conte, fieramente opposta al secondo, oggi non entrata nell’esecutivo Draghi ma ancora facendo un’opposizione vecchia di almeno quindici mesi (ostile ai diritti civili, persi nell’eterna diatriba che ha sfiancato tutti tra dottrine dell’apertura e della chiusura), sin qui incapace di radunare i partiti di destra – Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia- anche sul piano nazionale. E questo è il dibattito d’aula, la cronaca parlamentare, la roba che studiamo quando parliamo dei regolamenti delle Camere, di quelli che cambiano casacca passando da un gruppo all’altro, di chi invece s’abbarbica all’indifendibile. Ora vediamo però che è successo nella società diffusa.

Da tempo il dibattito pubblico ha depotenziato alcune delle sue sedi più proprie e salutari per adagiarsi ai meme, alle gif, agli status di Whatsapp mal scritti in italiano. Se all’inizio in questa pretesa aggregativa c’era una presunta giustificazione sociale (tagliare unghie e capelli ai parrucconi, riavvicinare alla vera realtà ossimoricamente spostatasi in Rete), la pandemia ha digitalizzato per saturazione ogni comunicazione. Gli alfieri del web ruggiscono per riaperture caotiche in campi nei quali non hanno mai brillato per condivisione di idee e proposte: gli spettacoli, la cucina tipica, i congressi, le “libere elezioni”. La strategia della destra politica e la tattica della massima visibilità nel minor tempo possibile si sono unite trionfalisticamente, e purtroppo. Il tema è stato sempre unico: dirsi sempre contrari a ogni decisione, argomentando con una tecnica individualistica illusoria, perché non è mai riuscita a difendere con risultati concreti le libertà fondamentali. Ed è un discorso che prescinde completamente o quasi dai partiti, è diventata la mascherina del nostro agire sociale. Percezione di troppe chiusure? Aprire! Buoni ma non risolutivi risultati dalle aperture? O richiudere tutto o aprire tutto! Vaccini? Una farsa per controllarci o un modo per salvare solo i soliti noti, al grido di “tanto non ce lo dicono”. Nello stesso momento in cui l’unica battaglia vera doveva essere: facciamo stare il meglio possibile le persone, limitiamo i casi più gravi e pericolosi per la salute, apriamo e chiudiamo con una bussola e non armati alternativamente o di latrati o di cavilli. Molti si sono incuriositi a cercar di capire perché il patto di ferro tra Lega e Fratelli d’Italia, con un programma alle spalle che almeno nei simboli ricorda tantissimo rivendicazioni da tempo dell’ultradestra, non abbia portato un pari aumento, nemmeno di riflesso, dei partiti più estremi. Molte le risposte, alcune di sistema e altre spietatamente empiriche. Innanzitutto, lo spazio di manovra è una cosa, lo spazio politico è altro. Se tutta Italia domani si svegliasse antiproibizionista, non ci sarebbe lo stesso modo di fare arrivare al 20% cinque partiti di orientamento tematico antiproibizionista. Fotografare un momento può modificare il voto, non aumentare a dismisura i voti di tutti. Secondo passaggio cruciale: Fratelli d’Italia e Lega Nord non si aspettavano l’enorme salto in avanti dell’ultimo quinquennio. Quando i partiti crescono sul dato nazionale senza avere spina dorsale locale rischiano di imbarcarsi tutti: è successo nel centrosinistra a Di Pietro prima e, in parte, alla Margherita poi. È successo alle parlamentarie del Movimento Cinque Stelle: quando con pochi voti online, nell’ordine di alcune decine, si trovavano allo scranno di deputati e senatori da esponenti delle istituzioni civili fino a catapultati con nessuna esperienza di condivisione per il bene comune. Ora contro Salvini e Meloni premono tutti i pezzi del centrodestra che si è sfasciato nei territori. Lo sappiamo, capita sempre, ma come può diventare un fatto positivo? Se ci sono idee e pratiche di selezione virtuosa della classe dirigente, non i signori del voto o i fedelissimi dei capi. Anche quelli ci son sempre stati ovunque, è quando son diventati governo materiale del Paese che è sempre stato un disastro. Terzo e ultimo punto: nel voto aggregato, Fratelli d’Italia e Lega non solo sono le uscite più campate in aria dei loro leader, ma anche gruppi di potere, pezzi di ceto politico. Negli uni c’è molta tradizione del voto della destra sociale, nell’altra molto Nord-Est imprenditore, ad esempio. Fasce che non si riconoscono nell’unanimismo o negli stravolgimenti a tutti i costi, ecco perché i partiti populisti diventano così rapidamente interclassisti, pigliatutto, frammentari: lo sono sin dalla crescita e dalla nascita. L’unico collante della società tutta rischia però così di diventare nemmeno il diritto di lamentarsi, ma la pretesa che le proprie lamentele, di qualunque tipo purché riconoscibilissime, divengano norma universale. Può essere il futuro della politica intrupparsi ovunque ci siano pretese contro collettività, dai fedeli che vogliono messe nel lockdown, a quelli che vogliono tutto aperto anche in situazioni di rischio o quando si è tra i primi a non rispettare cautele, passando per gli eterni insoddisfatti dell’Altro, che sia il migrante o il vaccinato o il precario o il manifestante o la lavoratrice donna e degarantita? Può essere il nostro nemico d’elezione tutto quel che non si omologa ai miei propri capricci? Perché se questo è il futuro della politica, ne muoiono la politica del diritto, ma soprattutto la società dalle sue fondamenta.

 

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