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La rivoluzione museale a Taranto compiuta da Eva Degl’Innocenti. Si guarda al futuro con attenzione

 

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Pierfranco Bruni

 

Il Museo archeologico nazionale di Taranto avrà bisogno di un nuovo direttore. Da gennaio 2023 la sua responsabile ha accettato l’incarico di dirigere i musei di Bologna. Una bella esperienza. Una dirigente che ha rivoluzionato il museo di Taranto portandolo come riferimento centrale della Magna Grecia. Una intellettuale dentro la vera cultura dei processi comparati e il rapporto tra archeologia e culture altre l’ha maggiormente professionalizzata rafforzando l’idea che l’archeologia non può vivere soltanto come archeologia di un modello valoriale a sé. Per l’occasione vorrei poter rivolgere un saluto e un vero ringraziamento ad Eva Degl’Innocenti per il lavoro compiuto nel corso di questi anni e per come ha trasformato non solo il Museo archeologico nazionale di Taranto in qualità di direttrice. Purtroppo, come mi capita spesso, mi trovo impegnato distante da Taranto sempre per questioni inerenti i processi culturali innitalia e all’estero.

Eva Degl’Innocenti non ha trasformato soltanto il Museo nella sua operazione di valorizzazione, come dicevo, perché è partita da una idea progettuale della visione di bene culturale come patrimonio nazionale, ovvero dal Museo come progetto culturale tout court e non solo come idea archeologica. D’altronde ciò è nello spirito della applicazione della autonomia dei musei europei e nel decretato modello politico italiano della stessa autonomia dei musei che non nasce, lo ribadisco, con le circolari e le applicazioni ministeriali di Franceschini ma con la volontà di guardare oltre dal Codice dei Beni culturali del 2005 e con le successive discussioni in Commissione Cultura del Parlamento in fase successiva. È un iter culturale politico che parte da lontano,  anni metà 1990, e si attua con il ministro Franceschini.

La direttrice del Museo di Taranto ha applicato con acume, intelligenza e lungimiranza la volontà di una normativa che guarda oltre le specificazioni del cosiddetto “reperto parlante”. Lo ha fatto aprendo il museo ad un percorso ad intreccio di discipline riportando sempre, però,  nell’ambito archeologico, e direi anche antropologico, del sistema Museo non solo custode e laboratorio ma anche produttore egli stesso di programmazione e attività culturale. Lo ha fatto con alta scientificità e professionalità innescando nella città in primis anche un modo nuovo di concepire l’idea di cultura oltre la provincia.

Mi sembra che sia stata una chiave di svolta nel vedere la cultura non solo come un luogo, ma anche come un tempo e un tempio della progettualità tra valorizzare e fruibilità delle culture. Perché si è discusso di culture in questi anni e non di un monolito sdoganando finalmente la tutela dalla valorizzazione/fruizione. Ma ciò è potuto accadere soltanto attuando l’autonomia dei Musei, questione sulla quale ho lavorato molto e continuo in questa nuova fase ministeriale.

Taranto, con l’autonomia del museo e per come è stato diretto, in questi anni è stata al centro delle dialettiche europee e non solo all’interno di un colloquio tra territorio e identità internazionali e Mediterraneo in una temperie di trasformazione del concetto di bene culturale in cultura del bene, ovvero in bene della cultura come conoscenza per investire in immagine. Investendo in immagine si investe sul e in turismo.

Eva tutto questo lo ha compreso bene avendo le idee molto chiare sul fattore della cultura comparata come una vera attività produttiva non dimenticando alcuna disciplina propria dei comparti che il Mic porta in essere e sulla scena della sua identità nazionale. Un percorso straordinario che lascerà il segno, ma che dovrà continuare con una articolazione di strategie che possano e debbano interessare certamente l’archeologia, ma tutto il vasto e differenziato processo delle culture messe in campo dall’istituzione ministeriale che, nei prossimi mesi, avvierà in un itinerario più pregnante la forza identitaria tra storia, lingua, arti, quindi archeologia, spettacolo, antropologia. La nuova dirigenza museale di Taranto dovrà fare i conti con nuove prospettive ampie partendo sempre dal fattore testimonianza depositata sul territorio. Con Eva ho avuto diverse esperienze collaborative partendo da una lettura letteraria e antropologica e il risultato porta ad una chiave di lettura significativa il cui significante è quello, ribadisco, delle scelte comparative all’interno dei beni culturali. Senza queste si complicano le sinergie e le strategie per attuare una progettualità complessiva della salvaguardia e fruibilità non solo delle culture ma anche dei territori. Il Museo è un luogo spazio tempo tra identità, tradizione e lettura del presente dentro lo sguardo profetico in una società in costante transizione. Un punto di ripartenza nella organicità dei beni culturali come identità nazionale.

 

Pierfranco Bruni

 

Il Museo archeologico nazionale di Taranto avrà bisogno di un nuovo direttore. Da gennaio 2023 la sua responsabile ha accettato l’incarico di dirigere i musei di Bologna. Una bella esperienza. Una dirigente che ha rivoluzionato il museo di Taranto portandolo come riferimento centrale della Magna Grecia. Una intellettuale dentro la vera cultura dei processi comparati e il rapporto tra archeologia e culture altre l’ha maggiormente professionalizzata rafforzando l’idea che l’archeologia non può vivere soltanto come archeologia di un modello valoriale a sé. Per l’occasione vorrei poter rivolgere un saluto e un vero ringraziamento ad Eva Degl’Innocenti per il lavoro compiuto nel corso di questi anni e per come ha trasformato non solo il Museo archeologico nazionale di Taranto in qualità di direttrice. Purtroppo, come mi capita spesso, mi trovo impegnato distante da Taranto sempre per questioni inerenti i processi culturali innitalia e all’estero.

Eva Degl’Innocenti non ha trasformato soltanto il Museo nella sua operazione di valorizzazione, come dicevo, perché è partita da una idea progettuale della visione di bene culturale come patrimonio nazionale, ovvero dal Museo come progetto culturale tout court e non solo come idea archeologica. D’altronde ciò è nello spirito della applicazione della autonomia dei musei europei e nel decretato modello politico italiano della stessa autonomia dei musei che non nasce, lo ribadisco, con le circolari e le applicazioni ministeriali di Franceschini ma con la volontà di guardare oltre dal Codice dei Beni culturali del 2005 e con le successive discussioni in Commissione Cultura del Parlamento in fase successiva. È un iter culturale politico che parte da lontano,  anni metà 1990, e si attua con il ministro Franceschini.

La direttrice del Museo di Taranto ha applicato con acume, intelligenza e lungimiranza la volontà di una normativa che guarda oltre le specificazioni del cosiddetto “reperto parlante”. Lo ha fatto aprendo il museo ad un percorso ad intreccio di discipline riportando sempre, però,  nell’ambito archeologico, e direi anche antropologico, del sistema Museo non solo custode e laboratorio ma anche produttore egli stesso di programmazione e attività culturale. Lo ha fatto con alta scientificità e professionalità innescando nella città in primis anche un modo nuovo di concepire l’idea di cultura oltre la provincia.

Mi sembra che sia stata una chiave di svolta nel vedere la cultura non solo come un luogo, ma anche come un tempo e un tempio della progettualità tra valorizzare e fruibilità delle culture. Perché si è discusso di culture in questi anni e non di un monolito sdoganando finalmente la tutela dalla valorizzazione/fruizione. Ma ciò è potuto accadere soltanto attuando l’autonomia dei Musei, questione sulla quale ho lavorato molto e continuo in questa nuova fase ministeriale.

Taranto, con l’autonomia del museo e per come è stato diretto, in questi anni è stata al centro delle dialettiche europee e non solo all’interno di un colloquio tra territorio e identità internazionali e Mediterraneo in una temperie di trasformazione del concetto di bene culturale in cultura del bene, ovvero in bene della cultura come conoscenza per investire in immagine. Investendo in immagine si investe sul e in turismo.

Eva tutto questo lo ha compreso bene avendo le idee molto chiare sul fattore della cultura comparata come una vera attività produttiva non dimenticando alcuna disciplina propria dei comparti che il Mic porta in essere e sulla scena della sua identità nazionale. Un percorso straordinario che lascerà il segno, ma che dovrà continuare con una articolazione di strategie che possano e debbano interessare certamente l’archeologia, ma tutto il vasto e differenziato processo delle culture messe in campo dall’istituzione ministeriale che, nei prossimi mesi, avvierà in un itinerario più pregnante la forza identitaria tra storia, lingua, arti, quindi archeologia, spettacolo, antropologia. La nuova dirigenza museale di Taranto dovrà fare i conti con nuove prospettive ampie partendo sempre dal fattore testimonianza depositata sul territorio. Con Eva ho avuto diverse esperienze collaborative partendo da una lettura letteraria e antropologica e il risultato porta ad una chiave di lettura significativa il cui significante è quello, ribadisco, delle scelte comparative all’interno dei beni culturali. Senza queste si complicano le sinergie e le strategie per attuare una progettualità complessiva della salvaguardia e fruibilità non solo delle culture ma anche dei territori. Il Museo è un luogo spazio tempo tra identità, tradizione e lettura del presente dentro lo sguardo profetico in una società in costante transizione. Un punto di ripartenza nella organicità dei beni culturali come identità nazionale.

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