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CELEBRARE NON E’ MIGLIORARE

Mi pare che sia il caso di dedicare qualche parola alla coscienza. Di lei ci siamo dimenticati, ma ricordarcene è indispensabile. Bisogna riabilitare la coscienza, ridarle i diritti civili, offrirle una decorosa superficie abitativa nell’anima umana. Quando avrò terminato la 13esima sinfonia m’inchinerò ai suoi piedi, perché lei mi ha aiutato a rappresentare in musica il problema della coscienza.                                                   Sono parole di Dmitri Shostakovich (San Pietroburgo 1906 – Mosca 1975), uno dei più importanti esponenti della musica del Novecento, compositore anche della nota sinfonia Leningrado, per la quale chiedeva al poeta Evgenij Evtushenko (Russia 1932 – Stati Uniti 2017) di potersi riferire alla sua poesia Babi yar su quel burrone poco distante da Kiev dove nel 1941, al tempo dell’occupazione nazista, le migliaia di ebrei rimasti in città (donne anziani e bambini) erano stati costretti ad andare nudi sull’orlo del burrone per essere orribilmente assassinati. Era ridotto a discarica, senza alcun segno di memoria di quell’orrore, volutamente dimenticato, tornava all’attenzione per il coraggio del poeta Evgenij Evtushenko. E’ sempre la poesia ad avere coraggio. Già nell’incipit la sofferta denuncia: Non c’è un monumento/a Babij Jar/ il burrone ripido/ è come una lapide./ Ho paura/ oggi mi sento vecchio come/ il popolo ebreo/ ora mi sento ebreo/qui vago nell’antico Egitto/ eccomi, sono in croce e muoio/ e porto anche il segno dei chiodi.                                                                                                         Sappiamo già che la memoria di quanto vien detto “il male della storia”, la sua celebrazione a condanna non è mai riuscita a migliorare l’umanità, pur volendo essa da qualsivoglia obbrobrio ogni volta porre le distanze proprio celebrandone la condanna. Purtroppo non ha, l’umanità, la determinazione necessaria per mutare, o non vuole, dato che è ancorata ad altro, pertanto continua nel presente a portarsi addosso il peso di quell’ ‘altro’, è il mostruoso gigante che le blocca il cammino di giustizia. Celebrare diventa dunque solo dare il dovuto onore senza attendere che ciò possa comportare una concreta trasformazione nell’iter futuro dei rapporti umani.                                                                                                                                     La memoria è comunque storia, ed essa non va celebrata mutila, richiede che siano presenti tutti gli attori di quel passato che si vuole commemorare, pure quelli che le vicende del fluttuante presente pongono oggi sotto la lente della condanna. Un tempo furono essi i liberatori, inoltre non va dimenticato che su chi poi oggi li condanna tanti sarebbero gli interrogativi. Nessuno, per richiamare l’ammonimento evangelico, può scagliare la pietra, se vogliamo essere obiettivi. Non possono scagliarla Stati Uniti e Nato che da decenni portano avanti guerre illegali, la stessa Ucraina invasa dalla Russia che accoglie, però, forze neonaziste, lo Stato d’Israele che dal suo costituirsi angaria i palestinesi i quali reagiscono poi con brutalità. E l’idea dei campi di concentramento fu anche degli inglesi nella guerra anglo-boera in Sudafrica, dei francesi nella I guerra mondiale, di Stalin negli anni Trenta e dei Turchi col genocidio degli Armeni, al quale si ispirarono i nazisti, superiori per la eccellente pianificazione dell’orrore. Ci fermiamo qui.                                                                                                                      Lo scorso 27 gennaio si è celebrato il 78esimo anniversario della liberazione dei campi di sterminio nazista di Auschwitz – Birkenau. Quel giorno del 1945 i soldati della 60esima Armata del Primo Fronte Ucraino, al comando del maggiore Anatoly Shapiro (era un ebreo ucraino), dopo cruenti combattimenti contro i nazi-tedeschi sulla riva sinistra della Vistola, arrivano, verso le ore 15,00, ad aprire il cancello dell’orrore. Il pluridecorato milite David Dushman, che col carrarmato abbatté la recinsione elettrica, ha raccontato a lungo, è morto a 98 anni nel 2021. L’orrida visione traumatizza tutti: montagne di cadaveri semicarbonizzati, magazzini pieni di vestiti, capelli e oggetti personali…                 A quel che viene riportato, Shapiro vomita, parecchi soldati svengono, ma poi la troupe dell’Armata Rossa provvede a testimoniare, gira delle riprese mostrando l’orrore nazista. Inconfutabile anche se, nel corso dei decenni del Novecento sino a quelli del nuovo secolo, oltre che in Usa e in Europa, nel mondo islamico si è tentato e si tenta ancora di negare con forza attraverso pubblicazioni che imbastiscono una realtà ‘altra’ da sovrapporre a quella di inaudita crudeltà che si vuole affermare inesistente.                                                                                                                                     Nei campi di sterminio l’Armata Rossa provvede ai superstiti, ne trova ancora in vita circa 7000: appaiono fantasmi terrorizzati, stentano a comprendere di essere alfine liberi. C’è tra loro anche la Senatrice a vita Liliana Segre, deportata il 30 gennaio 1944 insieme al padre, assassinato dai nazisti dopo pochi mesi, il 27 aprile 1944.                                                                                            La Russia, dallo scorso 24 febbraio 2022, è passata ad essere Stato aggressore dopo l’invasione dell’Ucraina. Ma questa è l’attualità. La Russia, ovvero l’Urss della seconda guerra mondiale non è solo, dopo defatiganti marce e furiosi scontri con i tedeschi, quel cancello aperto verso le 15,00 del 27 gennaio 1945. La Grande Guerra Patriottica costò all’Urss circa 26 milioni di morti (secondo altre stime ancor di più) perché il mondo potesse essere salvato dal nazifascismo. Ed ebbe tanti eroi, ci basti menzionarne solo uno, il Capitano di Artiglieria Vasilij Petrov ( 1922- 2003): con entrambe le braccia amputate, volle tornare a comandare il 248esimo Reggimento di Artiglieria.                                                                                                                   Quest’anno, per la prima volta, il Museo di Auschwitz ha escluso la Russia dall’annuale cerimonia per la liberazione dai nazisti. E Piotr Sawikcki, portavoce del sito museale, motiva il non invito col ritenere per la Russia necessario un esame molto profondo dopo questo conflitto (è ovviamente il conflitto russo-ucraino) per tornare ai raduni del mondo civilizzato. C’è, però, anche chi ipotizza che ci possano essere stati dietro altri a decidere.                                                                                                       Sul mondo civilizzato poi e sulla civilizzazione ci sarebbe molto da puntualizzare. Ovvio che la civilizzazione va intesa fondamentalmente come ripudio di ogni forma di violenza, e invadere uno Stato è violenza; asserito, però, ciò, neppure col lumicino, come si diceva un tempo, si riuscirebbe a rintracciare chi potrebbe a buon diritto essere considerato civilizzato. L’io singolo e collettivo, apertamente o celatamente, non sta facendo altro che continuare a potenziare la violenza.                                                                                                                      Ma c’è poi, a nostro avviso, un’altra motivazione che avrebbe dovuto far propendere per l’invito alla delegazione russa: il ritrovarsi le varie delegazioni insieme nel luogo della tragedia, con quegli attimi di riflessione che non sarebbero forse potuti mancare, con qualche accenno alla bellezza della pace forse affiorante alla mente, al labbro dei presenti, forse… Utopia? Ma non esiste solo lo schema amico/nemico, qualcosa passa da una parte all’altra, potrebbe iniziare a sfaldare creando possibilità non solo di distruzione e morte. Se si vuole la pace, se la si vuole davvero senza lasciarsi prendere da altri interessi, anche il ritrovarsi insieme nel luogo della memoria sarebbe potuta divenire una possibilità di apertura. Senza che l’uno chieda e l’altro conceda ma ponendosi entrambi come richiedenti e concedenti.                                                                                                  Preferibile la pace sempre. Riflette Cartesio: chi vede come noi uomini siamo fatti (male davvero!) e pensa che la guerra è bella o che valga più della pace è storpio di mente.

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Antonietta Benagiano

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