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Sei mesi dopo

di lorenzo merlo

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Il 25 settembre 2022, esattamente sei mesi fa, si svolgevano le elezioni parlamentari. Il popolo, allibito dalla gestione della pandemia, dalla posizione dell’Italia nei confronti della guerra in Ucraina, dalla politica di Draghi, propaggine italica di quella voluta per la realizzazione del Nuovo ordine mondiale, ansimava davanti all’opportunità di portare in Parlamento ciò che singole unità come Sara Cunial, Pino Cabras, Emanuele Dessì, Vittorio Sgarbi e altri avevano giustamente già fatto.

La chiamata alle urne, seppure nel suo piccolo, era una grande occasione per convogliare lo spirito molteplice di una moltitudine incredula, critica, inferocita, delusa. E anche certamente radunata intorno all’impossibilità di adattarsi a quanto stava avvenendo e a quanto ancora sarebbe avvenuto.

I partiti e i movimenti (1) che si sono ritrovati davanti a detta opportunità, invece di raccoglierla, l’hanno fatta cadere.

 

Ogni volta che mi ritorna in mente, mi ritrovo un po’ stranito. All’origine dello sbigottimento personale c’è una domanda tanto banale, quanto appunto sorprendente. Come mai dopo le elezioni, che gli antisistemici hanno pensato bene di condurre separatamente – invece di unirsi attorno al pensiero che avere seggi è meglio che non averli –, nulla è accaduto? Cioè – per abbreviarla –, come mai dopo l’esclusione assoluta dal parlamento non è partito un tentativo di radunare le forze di quella moltitudine insofferente, sull’orlo – almeno nei sentimenti di qualcuno – della guerra civile?

 

Le compagini politiche, organizzate per poter essere presenti nelle schede elettorali, avrebbero potuto ottenere qualche scrannico successo alle votazioni. A cose fatte, la somma delle loro individuali percentuali ottenute lo ha dimostrato.

Se l’accorpamento non è stato possibile, certamente ognuno avrà avuto le sue rispettabili ragioni. Tuttavia, c’erano argomenti e temi condivisi. Dunque, se l’unione di forze non è avvenuta, la questione è di tipo vanesio-egoico. Esattamente quella in scena sul teatro della politica (in nome del politicamente corretto la si potrebbe chiamare individualismo mascherato) ormai da lunga, pluridecennale, data.

Nessuno, preso da se stesso, magari “per il nostro bene” – come è facile sentici dire in campagna elettorale –, tirannicamente rapito dalla propria visione delle cose, non è in grado mai di utilizzare l’ascolto. Ovvero di non raccogliere quel tipo di informazioni basilari che viaggiano su onde lunghe e condivise, sempre nascoste da altre, fibrillanti, frenetiche, ossessive e disorientanti.

È sì una giustificazione. Ma meglio vederla in forma di critica e, volendo, anche di discredito. Come possono andare oltre le attuali sataniche modalità dell’individualismo mascherato, usando i medesimi criteri che vorrebbero sostituire?

Ma esprimevano altre idee, antisistemiche! Risposta accettabile, ma anche in questo caso meglio vederla come una o più di quelle frenetiche fibrillazioni ossessive citate. Chi vuole raccogliere accoglie, unisce, rinuncia. Chi vuole guidare ha vista lunga, traguarda oltre a ciò che la impedisce.

 

Quindi, perché a batosta conclamata nessuno della triplice separazione ha neppure tentato – e se lo ha fatto, pardon, ma io non l’ho visto – di mettersi a un tavolo? Di agire in funzione di radunare la moltitudine spiritualmente – e non solo – disperata? Spero che una possibile risposta non sia: “Troppo presto rispetto alla prossima tornata elettorale”. Ma che c’entra? Non è per noi, quelli che hanno le idee come voi, che esistete? Non ha senso per nessuno di voi radunarsi, studiare, produrre documenti, inchieste, critiche strutturali che vadano al di là degli slogan? Che creino relazione con la moltitudine? Non è per voi opportuno andare oltre i piccoli interventi, più simili ad azioni private, che di partito o movimento (individualismo mascherato)?

 

Perché a sei mesi nulla del genere è avvenuto? Perché ognuno – e ci metto anche le testate e i blog che hanno e stanno facendo un gran lavoro di controcultura – segue pacifico la propria linea? Sarei e – penso di possa dire – saremmo ansiosi di ascoltare le risposte dai più diretti destinatari di questo lamento, nonché di questa critica.

Ansioso, in quanto la sola risposta che da solo posso fornirmi richiama troppo la matrice individualista, che tutto sta demolendo. O che tutto ha già demolito? È una domanda, prima di essere una considerazione, un dubbio, un’ipotesi, una certezza.

 

Per buona parte di quella moltitudine, è da tempo il tempo di radunare i pensieri e le forze di chi non si capacita dei marosi della geopazzia, in cui il mondo non è che un barcone in balia dell’insipienza, a causa della quale sarà presto naufrago.

 

Non abbiamo più l’eros necessario per alzarci dal divano e scendere in piazza? Non serve a nulla scendere in piazza? Non serve nulla di nulla, con la comunicazione detenuta dai soli soddisfatti della situazione?

La situazione è ampia, molte forze sciamano, orientandoci di qua e di là come posidonie nella risacca. Ma dovrebbe essere un motivo in più per rimboccarsi le maniche, non per deporre le armi e darsi per vinti. Ma, se così fosse, arriveremo a tacere, a fuggire, a vaneggiare del tutto. Nessuna battaglia è vinta dall’eroe, l’eroe non esiste senza un plinto di popolo sul quale elevarlo.

 

Non ci sono i soldi? Dubito, ma può capitare. Ma, se invece così fosse, perché non avviare una campagna di autofinanziamento? Lo fanno diversi emeriti blog e testate web – anch’esse qui ringraziate, ma anche criticate – che vivono appunto di eros, di etica, di dolore, di volontà.

 

Il popolo somma dei tre schieramenti, unito a quello astensionista e a quello dei furono cani sciolti, dei manifestanti della pace, dei singoli visionari, merita di vedere un minimo frutto del suo scoordinato spingere in opposta direzione al sistema. E non si citi ora l’azione della procura di Bergamo che, spiritualmente parlando, in quanto opera del sistema stesso è un’offesa alla inerte moltitudine citata. Certo, possiamo condividerla e trarne soddisfazione, ma noi? Noi, che si fa? Che si è fatto, oltre a sperare, aspettare, criticare?

 

L’avvento del Great Reset è in essere. Stiamo morendo soffocati dall’incredulità di ciò che passa come progresso, di quanto ha già attecchito come tale nell’altra immensa moltitudine dei divanisti. Il culto della tecnologia, quello della digitalizzazione, l’affermazione dello scientismo, la cancellazione delle culture, l’imposizione dell’identità digitale, della corsa al vaccino, l’abbattimento delle identità comunitarie e individuali, la guerra per l’egemonia del capitalismo occidentale, la censura in nome della democrazia, le bombe in nome della pace, il controllo in nome della sicurezza, il razzismo antirusso come politica e il nazismo ucraino come insistenza, il tribunale infame che vuole perseguire Putin, la corsa ai diritti colorati, alla donna come industria di merce vivente, la repressione civile ucraina come espressione di uno stato democratico sono solo alcuni esempi di sinapsi premiate dal sistema.

 

Può bastare per non far passare altri sei mesi in stile Partito Democratico, inetti alla politica autentica?

 

 

Note

Italexit, Italia sovrana e popolare, Alternativa per l’Italia, facenti rispettivamente capo a Gianluigi Paragone, Francesco Toscano e Marco Rizzo, Mario Adinolfi e Simone Di Stefano

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