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Epatocarcinoma, nel Lazio non c’è uniforme disponibilità di opzioni diagnostiche e terapeutiche

Più frequente tumore primitivo del fegato, tra prime cinque cause di mortalità per neoplasie

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Roma – ‘L’epatocarcinoma nel Lazio. Focus sulle diverse realtà territoriali’. È il titolo dell’evento formativo svoltosi lo scorso 16 dicembre presso il Centro Congressi Park Hotel Villa Potenziani a Rieti.

 

Realizzato con il patrocinio della Asl Rieti e dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Rieti, l’incontro ha avuto l’obiettivo di uniformare e standardizzare il management delle principali patologie con cui, quotidianamente, si confronta sia l’ospedale che il territorio, purtroppo caratterizzato da una non uniforme distribuzione delle risorse e dalla non uniforme disponibilità da parte dei Centri laziali di tutte le opzioni diagnostiche e terapeutiche.

 

Risulta dunque fondamentale individuare le criticità delle varie realtà per poter elaborare una strategia che favorisca anche la formazione di una Rete Territoriale per la gestione dell’epatocarcinoma, il più frequente tumore primitivo del fegato, tra le prime cinque cause di mortalità per neoplasie.

 

Dall’incontro è emerso che raramente l’epatocarcinoma insorge nel contesto di un fegato sano, rappresentando invece spesso una complicanza delle malattie epatiche croniche quali la cirrosi epatica, di diversa eziologia: infezioni croniche da HBV, HCV, abuso etilico, malattie metaboliche e autoimmunità.

 

Il riconoscimento precoce dei pazienti a rischio è cruciale per la implementazione di programmi di sorveglianza. La diagnosi può essere posta sia in modo non invasivo mediante imaging con contrasto (CT/RM), sia tramite biopsia epatica.

 

Responsabile scientifico del corso il professor Adriano De Santis, professore associato di Gastroenterologia presso l’Università La Sapienza di Roma e dirigente medico presso l’Unità Complessa di Gastroenterologia del Policlinico Umberto I. “Questo convegno- ha spiegato- rappresenta la seconda edizione di una esperienza che avevamo realizzato lo scorso anno a Ferentino, in provincia di Frosinone, con l’idea di facilitare il percorso di diagnosi e cura dei pazienti affetti da epatocarcinoma, una patologia complessa in quanto si tratta di un tumore che nasce su una patologia ancora più complessa, che è la cirrosi epatica”.

 

“La gestione di questo tumore- ha proseguito De Santis- necessita della collaborazione tra diversi specialisti e spesso, soprattutto negli ospedali periferici, c’è mancanza non solo di figure professionali ma anche di tecnologia che consenta a tutti i pazienti di avere le stesse chance ci cura e, dunque, di guarigione”.

 

“L’obiettivo di questa seconda edizione- ha affermato- soprattutto alla luce dell’arrivo dell’Università La Sapienza di Roma nella sanità reatina con un corso di laurea in medicina e chirurgia, che ha portato alla collaborazione con l’unità di gastroenterologia di Rieti ed all’arrivo del radiologo universitario che ha modificato drasticamente l’impatto della radiologia nel percorso di diagnosi e cura non solo dell’epatocarcinoma ma di numerose altre patologie nella città di Rieti, è impedire la migrazione dei pazienti verso altre realtà per lo svolgimento di un esame radiologico”.

 

“Lo scopo finale dell’iniziativa- ha poi sottolineato- è quello di facilitare il percorso di diagnosi e cura del paziente cirrotico che ha fatto, o farà, l’epatocarcinoma. E questo necessita della collaborazione della medicina di base, che per tanti motivi ha ancora difficoltà a entrare in contatto diretto con gli specialisti di riferimento anche in realtà piccole come quella di Rieti. Vi è inoltre la necessità di mettere a disposizione della popolazione reatina quelle tecniche di cura che non possono essere presenti in tutti gli ospedali ma che devono invece esserlo negli ospedali cosiddetti ‘Hub’. Mi riferisco alle tecniche di radiologia interventistica e, soprattutto, alla chirurgia resettiva, una delle tecniche di terapia dell’epatocarcinoma che può essere eseguita in maniera sicura solo nei grandi nosocomi. L’approccio terapeutico deve poi essere associato anche alla possibilità di offrire al paziente un trapianto di fegato, come avviene nell’Unità Trapiantologica dell’Università degli Studi La Sapienza di Roma”.

 

Vito Cantisani, professore associato di Radiologia, Teleradiodiagnostica, all’ospedale San Camillo De Lellis, Rieti. Sapienza Università di Roma, ha tenuto a ribadire che “un evento come questo rientra nell’ambito delle necessarie iniziative che porteranno l’Università La Sapienza a integrarsi sempre di più con il territorio e con l’ospedale. Per ottimizzare la cura al paziente è infatti sempre più necessaria l’integrazione tra territorio, ospedale e Università e la creazione di un lavoro sinergico che parte dalla diagnosi e arriva alla terapia”.

 

Al corso ha preso parte anche il responsabile Uosd Gastroenterologia, ospedale San Camillo De Lellis, Rieti, Maurizio Giovannone. “Nell’ambito della gastroenterologia- ha sottolineato- negli ultimi due anni siamo riusciti a realizzare un ambulatorio di epatologia, in considerazione del fatto che, storicamente, un ambulatorio di gastroenterologia si interessava esclusivamente del tubo digerente. Riusciamo a seguire i pazienti, a fare esami strumentali come l’ecografia e, nei casi dell’epatocarcinoma, li gestiamo attraverso la radiologia e li inviamo poi a un Centro di riferimento di secondo livello dell’Università La Sapienza partecipando in videocollegamento ad un board multidisciplinare che si riunisce settimanalmente presso il Policlinico Umberto 1 di Roma”.

 

Spazio poi al ruolo del chirurgo nel trattamento dell’epatocarcinoma, tema su cui si è soffermato Fabio Melandro, professore associato di Chirurgia Generale, Uoc Chirurgia Epato-biliare e trapianti d’organo, PU Umberto 1°, Sapienza Università di Roma. “Il mio compito- ha informato- è quello di offrire una doppia opzione terapeutica: da una parte la resezione nei pazienti con fegato compensato e con una patologia monofocale o bifocale, dall’altra il trapianto nei pazienti che hanno indicazione a essere sottoposti a questa procedura, all’interno di criteri morfo volumetrici”.

 

A prendere la parola anche il dirigente medico, DAI Scienze radiologiche, oncologiche ed anatomopatologiche, PU Umberto 1° di Roma, Pierleone Lucatelli. “Tra gli obiettivi di questo meeting multidisciplinare sull’epatocarcinoma- ha commentato- c’era anche quello di presentare al territorio di Rieti il ruolo della chirurgia interventistica oncologica, grazie alla quale siamo parte integrante del trattamento di questi malati molto fragili. Lavorando insieme, nel prossimo futuro potremo facilitare l’accesso alle cure a questa tipologia di pazienti, grazie anche alla collaborazione tra ospedale e Università”.

 

Infine le parole della dottoressa Marcella Milano, medico di famiglia di Rieti. “Nel corso del mio intervento- ha evidenziato- ho sottolineato le difficoltà che attualmente abbiamo noi medici di famiglia nella gestione dei pazienti che accedono ai nostri ambulatori per un problema semplice: abbiamo una situazione di burnout legata alla burocrazia che sottrae tempo alla nostra professione di clinici”.

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