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Sudan: Save the Children, si intensifica la crisi al confine con il Sud Sudan dove arrivano quotidianamente circa 1.000 persone dopo quasi un anno di guerra. Dallo scorso aprile più di 600.000 tra rifugiati e rimpatriati hanno attraversato il confine, ma sono 1,75 milioni gli sfollati che hanno lasciato il Sudan verso vari Paesi

 

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Il Sud Sudan sta affrontando una delle crisi umanitarie più gravi del mondo, tra violenze, disastri climatici, fame, sfollamenti di massa e prezzi in aumento. Già prima della guerra in Sudan quasi 9 milioni di persone – circa il 75% della popolazione – tra cui quasi 5 milioni di bambini, avevano bisogno di assistenza umanitaria. L’Organizzazione esorta la comunità internazionale a stanziare finanziamenti urgenti per questa crisi dimenticata

 

Circa 1.000 persone al giorno fuggono dal Sudan nel Sud Sudan dopo quasi un anno di guerra, in un caldo torrido e con bambini che hanno un disperato bisogno di sostegno. Lo afferma Save the Children, l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio e garantire loro un futuro.

Più di 600.000 persone – sia rifugiati che rimpatriati – hanno attraversato il confine dallo scorso aprile, arrivando in una regione già alle prese con una grave crisi alimentare, e i numeri continuano a crescere poiché le ostilità non mostrano segnali di attenuazione. La maggior parte delle persone arriva senza nulla, avendo perso la casa e i mezzi di sussistenza. Alcuni bambini hanno riferito di aver visto i propri cari, compresi i propri genitori, uccisi lungo il percorso.

La maggior parte è arrivata, a piedi o su carri trainati da asini, al valico di frontiera di Joda, nello Stato dell’Alto Nilo, dove fino a 200 persone alla volta vengono stipate in camion con solo posti in piedi. Le destinazioni sono due centri di transito sovraffollati nella vicina Renk, un viaggio di due ore su strade sterrate con temperature che raggiungono i 45 gradi Celsius (113 Fahrenheit) mentre il Sud Sudan combatte la peggiore ondata di caldo degli ultimi quattro anni.

Di solito trascorrono circa due settimane nei centri – che ospitano oltre 15.000 persone, anche se sono stati costruiti per non più di 3.000 – dove cibo e acqua scarseggiano, l’assistenza sanitaria è limitata e molti dormono fuori in rifugi di fortuna. Da lì 500 persone alla volta vengono caricate su chiatte per un viaggio di due giorni lungo il Nilo per dirigersi verso altre destinazioni nel Sud Sudan o caricate su camion per un viaggio di 12 ore fino al campo profughi di Maban.

La maggior parte di queste famiglie sono già state sfollate. Molti sono fuggiti in Sudan dal Sud Sudan nel 2013, quando è scoppiata una diffusa violenza tra le comunità appena due anni dopo che il Paese aveva celebrato la sua indipendenza come nazione più giovane del mondo. Nonostante l’accordo di pace del 2018, il Sud Sudan sta ancora affrontando una delle crisi umanitarie più gravi del mondo, afflitto da continue violenze, ripetuti disastri climatici, fame diffusa, sfollamenti di massa e prezzi in aumento. Già prima della guerra in Sudan circa 9 milioni di persone – circa il 75% della popolazione – tra cui quasi 5 milioni di bambini, avevano bisogno di assistenza umanitaria.

Per le persone che fuggono dal conflitto in Sudan, tuttavia, la vita in Sud Sudan è un’opzione migliore. Secondo gli ultimi dati dell’UNHCR, circa 1,75 milioni di persone hanno lasciato il Sudan, dirette in Sud Sudan, Etiopia, Ciad, Repubblica Centrafricana ed Egitto.

Amira*, 37 anni, cittadina sudsudanese, ha attraversato il confine con il Sud Sudan con il marito e due bambini piccoli all’inizio di marzo prima di essere portata in uno dei centri di transito di Renk. Lavorava in un ospedale di Khartoum come infermiera chirurgica quando sono iniziati gli scontri ed è rimasta intrappolata nel seminterrato per tre giorni prima di poter tornare a casa. “Abbiamo perso ogni cosa. Abbiamo lasciato tutto alle spalle”, ha detto. “Io e mio marito avevamo entrambi un buon lavoro e mio figlio era felice a scuola, ma le cose sono cambiate da un giorno all’altro. Quando sono iniziati i combattimenti non abbiamo avuto altra scelta che andarcene. Le nostre vite a Khartoum sono state distrutte. Sono cambiate tante cose in un anno, ma ora entrambi vogliamo solo trovare un lavoro e sistemarci di nuovo, così che i nostri figli possano andare a scuola”.

Per i piccoli dei centri di transito di Renk, Save the Children ha aperto Spazi a misura di bambino, dove possono giocare, dipingere, ballare, imparare e ricevere supporto psicosociale.

Margret, 25 anni, viene dal Sud Sudan e fa parte del team di Save the Children che lavora con i bambini nei centri. È fuggita in Sudan durante il conflitto in Sud Sudan ed è stata costretta a fuggire nuovamente quando sono scoppiati scontri armati a Khartoum lo scorso aprile. Margret ha impiegato cinque giorni per raggiungere Renk. È stata derubata dei pochi averi che era riuscita a portare con sé.  “Hanno preso il mio portatile e il mio telefono. La vita è molto difficile lì. Hanno ucciso il mio amico”, ha riferito. “Mi sento meglio qui. Posso giocare con i bambini: mi fanno sorridere di nuovo”.

Dall’escalation della violenza in Sudan, Save the Children ha ampliato le sue operazioni a Renk per assistere le famiglie. I team dell’Organizzazione operano al confine per garantire protezione a bambini e famiglie, per aiutarli a salire e scendere dai camion, provvedere ai loro bisogni immediati e al benessere emotivo, nonché per cercare di riunire i minori non accompagnati alle loro famiglie.

“Vogliamo garantire che i bambini che arrivano qui siano protetti, ricevano il sostegno psicosociale di cui hanno bisogno e che le ragazze e i ragazzi non accompagnati si riuniscano alle loro famiglie il più rapidamente possibile. Ma c’è ancora molto da fare”, ha dichiarato Pornpun Rabiltossaporn, Direttore di Save the Children in Sud Sudan, sottolineando che i bisogni sono molto maggiori del sostegno attualmente disponibile.

La Direttrice Generale di Save the Children International, Inger Ashing, ha visitato Renk questo mese per attirare l’attenzione sulla crescente crisi e chiedere finanziamenti urgenti visti i bisogni impellenti. L’appello delle Nazioni Unite di 1,8 miliardi di dollari di finanziamento a favore del Sud Sudan è stato finora finanziato solo al 18%.  “Questa è una delle crisi più trascurate al mondo – ha detto – e sta peggiorando di giorno in giorno. Ho sentito tante storie strazianti da parte dei bambini. Alcuni hanno visto i loro genitori uccisi. Altri sono stati separati dalle loro famiglie. Molti mi hanno detto che volevano solo un po’ di normalità e tornare a scuola. È devastante pensare che questo viaggio non sia la fine del loro calvario ma solo l’inizio, molti di loro non sanno dove stanno andando e sono senza risorse. La maggior parte degli sfollati trascorre in media sette anni in movimento. Questa è la metà del tempo dedicato all’istruzione di un minore”.

“Nessun bambino dovrebbe svegliarsi temendo per la propria incolumità, preoccupato per quando mangerà la prossima volta e senza sapere dove dormirà la notte. Nessun minore dovrebbe rimanere senza istruzione. La comunità internazionale deve farsi avanti per impegnare i finanziamenti e le risorse necessarie prima che sia troppo tardi” ha concluso Inger Ashing.

Save the Children opera in Sud Sudan dal 1991, fornendo ai bambini accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria e al supporto nutrizionale, e alle famiglie sicurezza alimentare e assistenza per i mezzi di sussistenza. Nel 2023, i programmi dell’Organizzazione hanno raggiunto oltre 1,9 milioni di persone, tra cui 1,1 milioni di bambini, e quest’anno Save the Children spera di raggiungere 1,4 milioni di persone in Sud Sudan.

 

* I nomi sono stati modificati per motivi di protezione


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