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TENSIONI

L’attesa della risposta di Israele all’attacco iraniano, alla quale potrebbe poi fare seguito un nuovo attacco iraniano, non è certo la montaliana attesa (“ma in attendere è gioia più compita”, dice Montale), ingenera grande angoscia fra le parti in contrasto nel                 Medioriente e non solo in esse, anche in tutto l’Oriente e l’Occidente. L’Iran, attaccando, è passato allo scoperto nella guerra tra Israele e Hamas. Dei 185 droni, 110 missili balistici e 36 missili da crociera, solo 9 hanno bucato il super scudo di Israele. C’è stato anche il pronto intervento di Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania, dei Sauditi e degli Emirati che hanno partecipato pur essi alla difesa di Tel Aviv ma che ora hanno intenzione di chiudere a Netanyahu lo spazio aereo temendo di essere coinvolti in una guerra. Da essa si tira fuori anche Erdogan che condanna come responsabile delle tensioni e dell’attacco iraniano proprio Netanyahu, e ce ne sono tanti altri nel mondo islamico a condannarlo. Il Presidente israeliano intanto, non avendo Tel Aviv subito granché (l’attacco è stato subito definito “scenografico” e l’alba del 14 aprile non ha visto grande rovina e morte), può quasi cantare vittoria (glielo ha detto anche Biden), soprattutto se si aggiunge il fatto che la condanna generalmente a lui rivolta dal mondo islamico e pure da quello occidentale per quanto di drammatico è accaduto e continua ad accadere ai civili di ogni età a Gaza (tante le manifestazioni di condanna in varie parti del globo), sembra passata in secondo ordine dopo l’attacco iraniano a Tel Aviv, per il quale l’Ue propone sanzioni all’Iran. Il Presidente israeliano annuncia di voler rispondere nei tempi e nei modi che riterrà opportuni, lasciando sulla corda tutti, non solo l’altra parte, data la situazione di allerta mondiale. Gli Usa, pur sollecitando equilibrio, come del resto lo sollecita anche la Cina che si è detta per la moderazione, insieme a tanti altri Stati, ritengono che spetti a Israele, in qualità di Stato sovrano, se dare o meno la risposta all’Iran. Netanyahu rivendica ovviamente il diritto all’autodifesa. La risposta punitiva potrebbe essere all’interno o anche all’esterno dell’Iran, come si legge in “Times of Israel”, prendendo di mira qualche partner della Repubblica Islamica, ma gli Usa ritengono di non doversi questa possibilità considerare, che la risposta sarà da Netanyahu data all’Iran. Speranza è che non ci sia risposta (sarebbe far vincere la razionalità), o almeno per ora, considerando anche che, avendo Israele messo in opera gran parte del suo materiale bellico, dovrà adoperarsi a rimpinguarlo, il che non è schiocco di dita, è divenuto quindi ancor più soggetto agli Stati che lo appoggiano, particolarmente agli Stati Uniti. I quali devono, a loro volta, dosare la quantità di aiuti da distribuire anche all’Ucraina, la cui resistenza è diventata ancor più difficile. Preoccupante la situazione russo-ucraina anche per quel che potrebbe verificarsi ai confini, tanto che la Nato ha dislocato un congruo numero di truppe al confine con la Russia. Tensioni ovunque, anche nel Pacifico per le rivendicazioni di Taiwan da parte della Cina. Una sospensione da quadro mondiale sempre più cupo. Ebrahim Raisi, Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran in una telefonata a Putin dice sì di non cercare l’escalation (la vorrebbero i pasdaran come gli ebrei ortodossi) ma aggiunge poi che l’Iran, qualora Israele desse la risposta annunciata, sarebbe “pronto a ricorrere ad arma mai usata”. E si vocifera che sarebbe pronto a colpire con i jet supersonici russi. Da parte israeliana si tentenna anche perché si vuole pervenire a un accordo per la restituzione degli ostaggi, mentre dall’altra parte non si dimenticano distruzioni e soprattutto le tante migliaia di uccisi a Gaza, fra cui oltre 10mila donne e 9mila bambini. L’escalation con l’Iran non è, secondo Blinken, interesse né di Usa né di Israele, forse anche per questo non c’è stata ancora risposta all’attacco dell’Iran.                                                                                                         La guerra, da sempre assurda per le drammatiche conseguenze da entrambe le parti, è ancor più nel nostro tempo massimamente da evitare per i cambiamenti che si sono nella pratica militare verificati. Il cambiamento come fattore da considerare e analizzare nella guerra era stato rilevato quasi due secoli fa da Carl von Clausewitz, autore del trattato “Della guerra”, ritenuto ancora attuale per profondità di pensiero. Allora era stato il prevalere sugli eserciti monarchici degli eserciti raccogliticci facilmente rimpinguabili a segnare il cambiamento, oggi a segnarlo è il possesso di armi tecnologiche super avanzate, ed è esso a dare la prevalenza. Del generale prussiano combattente durante le guerre napoleoniche vogliamo ricordare anche la sua definizione della guerra: “La guerra è la prosecuzione della politica”. Fa riflettere sulla politica, su quei rapporti ambigui fra gli Stati che hanno in sé i germi della guerra.

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                                                          Antonietta Benagiano

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