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Louise Bourgeois In Florence

 

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Do Not Abandon Me

a cura di Philip Larratt-Smith e Sergio Risaliti

Museo Novecento, Firenze

22.06.2024 – 20.10.2024

 

FOTO Cell XVIII (Portrait) a cura di Philip Larratt-Smith con Arabella Natalini e Stefania Rispoli Museo degli Innocenti 22.06 – 20.10.2024

 

Firenze, 3 maggio 2023 – C’è grandissima attesa in città per il progetto organizzato e coordinato dal Museo Novecento Louise Bourgeois in Florence, che aprirà al pubblico dal 22 giugno al 20 ottobre 2024. Due eccezionali mostre – Do Not Abandon me e Cell XVIII (Portrait) – che impegneranno il Museo Novecento e il Museo degli Innocenti, consolidando la collaborazione avviata negli ultimi anni tra le due istituzioni. Un progetto che porta per la prima volta le opere di Louise Bourgeois (Parigi, 1911 – New York, 2010) a Firenze costruendo un significativo rapporto di osmosi tra le sue creazioni e il contesto espositivo. Cifra sempre ricorrente nelle mostre del Museo Novecento che dal 2018 ha svolto un ruolo fondamentale nella diffusione dei linguaggi artistici moderni e contemporanei in città, in stretta collaborazione con le maggiori istituzioni museali fiorentine.

 

In concomitanza con il decimo anniversario dalla sua apertura, il Museo Novecento celebra dunque Louise Bourgeois, una delle protagoniste assolute dell’arte del XX e XXI secolo, con la mostra Do Not Abandon Me curata da Philip Larratt-Smith e Sergio Risaliti in collaborazione con The Easton Foundation. Pensata in stretto dialogo con l’architettura delle Ex Leopoldine – complesso dalla forte vocazione sociale gestito per secoli da comunità interamente femminili – l’esposizione darà modo di apprezzare dal vivo  quasi cento opere dell’artista, tra cui molte su carta, tra gouache e disegni, realizzate negli anni duemila oltre a sculture di varie dimensioni, in stoffa, bronzo, marmo e altri materiali. Grande attesa, inoltre, per Spider Couple (2003), una delle creazioni più celebri ed emblematiche della Bourgeois, che verrà installato nel cortile del museo.

 

Per l’occasione sarà riproposta la collaborazione con l’Istituto degli Innocenti: nato nel 1419 come ospedale con il preciso scopo di accogliere l’infanzia priva di cure familiari in un ambiente contraddistinto dall’alto pregio artistico e architettonico. Da allora, l’Istituto non ha mai interrotto la sua mission originaria, spesso precorrendo le innovazioni per la cura dei più piccoli. Nel complesso progettato da Filippo Brunelleschi, il Museo ospiterà Cell XVIII (Portrait), un’opera di forte impatto visivo in potente risonanza con la storia e la collezione degli Innocenti, scelta da Philip Larratt-Smith in dialogo con Arabella Natalini, direttrice del Museo degli Innocenti, e Stefania Rispoli, curatrice del Museo Novecento.

 

La mostra Do Not Abandon Me, fortemente voluta dal direttore del Museo Novecento e la cui gestazione risale a sei anni fa, occuperà quasi per intero l’edificio delle Ex Leopoldine, tra le sale al piano terra e al primo piano. Si tratta della più estesa e importante rassegna di gouaches rosse di Louise Bourgeois con un focus tematico sul motivo della madre e del bambino. Il titolo della mostra fa riferimento alla paura dell’abbandono che Bourgeois ha sempre nutrito e che in questo caso si riferisce alla diade madre-bambino, che costituisce il modello di tutte le relazioni future. La maternità e le inquietudini ad essa correlate erano al centro della concezione che Bourgeois aveva di sé stessa. Allo stesso tempo, man mano che la vecchiaia la rendeva più fragile e più dipendente dagli altri, uno spostamento inconscio verso la madre ha caratterizzato nuovamente il suo lavoro. Realizzate negli ultimi cinque anni della sua carriera, le gouaches esplorano i cicli della vita attraverso un’iconografia di sessualità, procreazione, nascita, maternità, alimentazione, dipendenza, coppia, unità familiare e fiori. Per realizzarle Bourgeois lavorava “bagnato su bagnato”, il che significava rinunciare a un certo controllo sul risultato finale per accogliere il gioco del caso e del destino. Il rosso, tra i colori preferiti e più ricorrenti nel suo lavoro, evoca all’interno delle gouache i fluidi corporei, come il sangue e il liquido amniotico. Particolarmente interessante è la collaborazione di Louise Bourgeois con l’artista britannica Tracey Emin (Margate, 1963).  In mostra verrà presentata una serie di sedici stampe digitali su tessuto intitolata Do Not Abandon Me (2009-10), nata dall’incontro tra le due artiste. Si tratta di un progetto di grande generosità ed empatia tra  Bourgeois e  Emin, che riesce a comunicare i loro linguaggi artistici unici e a creare forti composizioni visive di comprensione e tensione, elevandole a un livello universale.

 

In via del tutto eccezionale, il chiostro del Museo ospiterà Spider Couple (2003), uno dei celebri grandi ragni dell’artista, realizzato in bronzo. La mostra sarà inoltre completata dall’esposizione di due importanti installazioni: Peaux de Lapins, Chiffons Ferrailles à Vendre (2006), una delle Celle dell’artista, verrà presentata in una sala al piano terra del museo. L’opera Cross (2002) sarà presentata altresì nella ex chiesa dell’edificio rinascimentale, dove a suo tempo era proibito l’ingresso alle donne durante le celebrazioni dei riti religiosi, come testimoniato dal matroneo separato anche dalle griglie in ferro.  Nell’ambito del progetto fiorentino, il Museo degli Innocenti ospiterà Cell XVIII (Portrait) (2000), in suggestivo dialogo con alcune delle opere più iconiche della collezione. Il raro patrimonio culturale, storico e artistico del Museo esemplifica la storia secolare dell’istituzione pubblica, a lungo caratterizzata dalla presenza di una cospicua comunità femminile.

 

Louise Bourgeois è cresciuta alle porte di Parigi, dove i genitori gestivano un laboratorio di restauro di arazzi. La sua infanzia è stata segnata da un rapporto complicato con la famiglia, che ha portato a esperienze traumatiche che sono state una delle principali fonti di ispirazione per la sua arte. Dai disegni intimi alle installazioni su larga scala, realizzate in una varietà di materiali, tra cui legno, marmo, bronzo e stoffa, Bourgeois ha espresso stati psicologici attraverso un vocabolario visivo di equivalenti formali e simbolici. La scala e i materiali delle sue opere variano tanto quanto le forme, che oscillano tra astrazione e figurazione. Emozioni come la solitudine, la gelosia, la rabbia e la paura sono i fili conduttori del suo lavoro. La sua scrittura quasi ossessiva, così come il disegno, rimasero forme di espressione centrali per tutta la sua vita.

 

Attraverso la sua arte, Louise Bourgeois ha indagato le complesse dinamiche della psiche umana e ha spesso affermato che il processo creativo era una forma di esorcismo: un modo per ricostruire ricordi ed emozioni al fine di liberarsi dalla loro presa. Sebbene si sia dedicata ampiamente alla pittura e al disegno, nel corso degli anni sarà soprattutto la scultura a costituire una parte fondamentale del suo lavoro, tutto incentrato su elementi autobiografici, tensioni e traumi familiari, spesso rielaborati in chiave metaforica. Si ammanta di carattere fondativo soprattutto il complesso rapporto con i genitori: legami interrotti o mai recisi, trasposti da Louise Bourgeois in numerose opere che narrano l’esperienza sconvolgente dell’abbandono e il desiderio di connettersi. Il suo mondo, fatto di intensità emotiva e ossessioni, trae ispirazione dall’inconscio, cercando di esprimere l’indicibile. Bourgeois si apre così a una poetica del perturbante, in grado di esorcizzare traumi e inibizioni. Straordinaria è la varietà dei mezzi e delle tecniche impiegate, una fertilità e curiosità nello sperimentare che pone Louise Bourgeois a fianco dei grandissimi artisti del secolo scorso. Fino agli ultimi giorni della sua lunghissima carriera, non è mai stata inattiva, né ha esaurito la sua curiosità intellettuale e la sua energia creativa in percorsi e obiettivi continui e ben definiti.

 

Fin dalle sue prime opere, la Bourgeois ha posto al centro il rapporto con la madre come tema essenziale, associandolo a partire dagli anni Novanta all’immagine del ragno. E un ragno – in questo caso Spider Couple, una coppia di madre e figlio – sarà esposto nel chiostro del Museo Novecento, quale fulcro tematico dell’intero percorso espositivo.   Come è stato spesso sottolineato, il ragno rappresenta per Bourgeois un simbolo della figura materna e come tale è portatore di significati duplici e contrastanti. Può essere interpretato come l’incarnazione di un’intelligenza estrema, una figura protettiva che provvede ai suoi piccoli costruendo una casa e assicurando il cibo. In effetti, la stessa Bourgeois si identificava con il ragno perché avvertiva  che la  scultura  come un’ emanazione diretta dal suo corpo, proprio come il ragno tesse la sua tela. Ma è anche la manifestazione di una presenza minacciosa e inquietante, espressione di un’ostilità e di un’aggressività di fondo che raccoglie e racchiude esperienze traumatiche provenienti dal profondo dell’inconscio.

 

Diventa quindi emblematico l’allestimento dell’opera Spider Couple nel chiostro rinascimentale, realizzato su progetto di Michelozzo e tradizionalmente destinato alla meditazione e alla contemplazione. Il Museo Novecento è inoltre orgoglioso di presentare in anteprima Spider, una scultura da terra composta da un ragno in bronzo e da un uovo in marmo, mai esposta al pubblico prima d’ora.

 

Allo stesso modo, appare rivelatrice la scelta di esporre Peaux de lapins, chiffons ferrailles à vendre. Tra le ultime opere appartenenti alla serie Cells, che erano state presentate per la prima volta al pubblico nel 1991 al Carnegie Museum of Art di Pittsburgh, il titolo di questo lavoro rimanda a un ricordo di infanzia, quello delle grida dei raccoglitori di stracci impegnati a vendere merce per strada. All’interno della cella Bourgeois inserisce alcuni elementi scultorei che richiamano la sua storia personale e familiare, come sacchi di stoffa e pelli di coniglio: componenti riferibili, rispettivamente, al ventre vuoto (e, per estensione, al corpo femminile) e, più letteralmente, agli animali cacciati e allevati dai suoi familiari. Il nome della serie gioca sui molteplici significati della parola ‘cell’, traducibile in italiano sia come ‘cellula’, sia come ‘cella’. Essa rinvia quindi tanto all’unità elementare di tutti gli organismi viventi, quanto alla condizione di isolamento, separazione e reclusione che caratterizza la dimensione carceraria o monastica. Significati che assumo una speciale risonanza in un edificio che nel tempo è stato ospedale, luogo di ricovero, di educazione e reinserimento femminile, ma anche scuola e perfino prigione. La stessa Bourgeois, nell’introdurre le sue celle, affermava: “Le Cells rappresentano vari tipi di dolore: il dolore fisico, quello emotivo e psicologico, quello mentale e intellettuale. Quand’è che il dolore emotivo diventa fisico? E quello fisico, quando diventa emotivo? È un circolo senza fine. Il dolore può avere origine in qualsiasi punto e muoversi in un senso o nell’altro. Ogni Cell ha a che fare con la paura. La paura è dolore. Spesso non viene percepita come tale, perché si maschera sempre. Ogni Cell ha a che fare con il piacere del voyeur, il brivido di guardare e di essere guardati. Le celle ci attraggono o ci respingono. C’è questa urgenza di integrare, fondere o disintegrare”.

 

Grazie all’installazione all’interno di una sala al piano terra del Museo Novecento, l’opera Peaux de lapins si accenderà, come già sottolineato, di inediti riferimenti alla vita della comunità monastica che ha animato la storia delle Ex Leopoldine, complesso nato nel XIII secolo come ricovero per pellegrini e divenuto poi luogo di convalescenza. Fin dal XVI secolo, infatti, la sua gestione fu affidata alle Suore Terziarie Francescane. In seguito, per volere di Pietro Leopoldo di Lorena, la gestione fu affidata alle suore del Conservatorio delle Terziarie (detto anche delle Giovacchine) e del Conservatorio di Gesù Buon Pastore (detto anche delle Stabilite), quest’ultimo incaricato, tra l’altro, di avviare le ragazze povere al lavoro femminile (da cui il nome “Scuole Leopoldine”). A parziale testimonianza di questa lunga vicenda sopravvive ancora oggi una serie di affreschi, visibile nelle sale del piano terra del museo dove verrà presentata Peaux de lapins. In particolare, si fa notare un dipinto che raffigura una sorella che invita al silenzio: iconografia, spesso utilizzata negli ingressi di refettori e dormitori, che sembra agire come un monito nei confronti di chiunque attraversi questi spazi, rimandando alla necessità di raccoglimento e contemplazione anche negli ambienti destinati alla vita comunitaria. Ed è alla contemplazione, al silenzio, che sarà invitato il visitatore nel percorso della visita, ad una lettura approfondita dei temi e delle opere, perfino ad una personale de-costruzione ed elaborazione dei propri modelli e riferimenti sociali, dei propri traumi, dei propri fantasmi e desideri.

 

Al raccoglimento e alla contemplazione di spazi in passato quotidianamente vissuti, invita anche Cell XVIII (Portrait) (2000), la “cella” presentata al Museo degli Innocenti, inserendosi all’interno del percorso Arte che unisce la galleria soprastante il loggiato brunelleschiano di facciata e gli ambienti del Coretto che si sporgono sull’antica Chiesa di Santa Maria degli Innocenti. Pur appartenendo allo stesso ciclo di Peaux de Lapins, il soggetto racchiuso in Cell XVIII (Portrait) sembra reinterpretare peculiarmente l’iconografia della Madonna della Misericordia, ricorrente in alcune opere tra le più emblematiche della collezione e fortemente rappresentative della vocazione di accoglienza dell’Istituzione. Nel celebrare il ruolo assolto dall’Ente nel corso dei secoli, tale immagine richiama alla memoria la numerosa comunità femminile composta sia dalle bambine qui accolte e cresciute, sia dalle figure che, svolgendo diverse mansioni, hanno contribuito a far sì che la condizione della donna, e delle madri in particolare, divenisse parte della mission istituzionale a fianco dell’attività di promozione sui diritti dei bambini e degli adolescenti oggi identificativa dell’Istituto degli Innocenti. Cell XVIII (Portrait) dialogherà dunque con tale missione, negli spazi dove riecheggiano storie diverse tra loro, intrise di desideri e paure espresse dalla stessa Bourgeois, che non escludono però, qui, il possibile realizzarsi di un’attesa.

 

In contemporanea al progetto Louise Bourgeois in Florence, diffuso tra  Museo Novecento e Museo degli Innocenti, si svolgeranno  nello stesso periodo ben tre mostre in altre città italiane sempre dedicate alla grandissima artista. Dal 21 giugno al 15 settembre alla Galleria Borghese di Roma aprirà al pubblico L’inconscio della Memoria e a Villa Medici la mostra No Exit. Anche Napoli renderà omaggio a Louise Bourgeois, con la mostra Rare Language presso la Galleria Trisorio che sarà visitabile dal 25 giugno al 28 settembre.

 

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