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MORIRE DI FAMA A 28 ANNI – IN RICORDO DI AVICII

 

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Si piange sempre quando muore una persona, si piange di più però se questa persona è giovane, ma si piange ancora di più se è una giovane star di livello mondiale. Sono ormai passati 4 anni da quando tutte le principali testate giornalistiche italiane ed estere hanno annunciato la prematura scomparsa di Tim Bergling, in arte Avicii, uno tra i dj di maggior successo del pianeta, il cui ricordo ha prodotto una catena senza fine di dimostrazioni di profondo cordoglio da parte dei fan, i quali hanno prontamente manifestato il loro attaccamento tramite milioni di post, hashtag…e anche qualche flash mob. Ma Tim, di milioni di fan, non ne voleva proprio avere: egli aveva infatti iniziato la sua carriera di produttore giusto per gioco, pubblicando i suoi brani, composti nella sua cameretta, su un blog musicale; da lì però ottenne molta visibilità e a quel punto il passo per il successo fu breve: Avicii venne già a 18 anni catapultato dall’intimità della sua dimora al posto dietro la consolle, sopra ai palchi e dinanzi alla folla urlante e osannante, inevitabilmente dato in pasto allo show business. Tutte cose che Tim ha fatto sempre molta fatica ad accettare a causa del suo temperamento assai introverso, timido e riservato, tant’è che ebbe tante difficoltà a salire sul palco e ad esibirsi dinanzi a folle oceaniche, in esibizioni che toccavano ogni punto del globo terrestre. Per accettare questa realtà nuova, Tim dovette ricorrere all’automedicazione, a bere (e pesante) prima di esibirsi: non è un caso se egli stesso abbia ammesso la sua dipendenza per l’alcol e che sia stato operato per la rimozione della cistifellea e dell’appendice. Forse sarà stato proprio l’eccesso di alcol a mettere fine alla sua breve vita, cessata il 20/4/2018 a Mascate (Oman), ma forse non lo sapremo mai: a riguardo, la famiglia ha infatti preteso il massimo riserbo. E dunque la carriera di Tim Bergling, iniziata nell’intimità e nel calore della sua camera, circondato dall’affetto dei suoi cari, finisce nella camera di uno sterile e freddo hotel extralusso, le cui porte gli si erano aperte grazie al successo: quello stesso “successo per il successo” di cui aveva parlato e contro cui aveva puntato il dito. Ma come si fa a rifiutarlo? A maggior ragione se si è giovani e il successo piomba prepotentemente nella propria vita, carico com’è di numerosi argomenti a suo favore. In particolare, il successo è visto oggi − nella società odierna − come un valore fondante e imprescindibile, che strizza l’occhio particolarmente alle nuove generazioni. E così se sei famoso puoi (o almeno hai l’illusione di) avere tutto, al pari di un semidio, sei ciò di cui tutti parlano e quel che ognuno vorrebbe essere; se non lo sei, temi di essere uno sfigato, di non avere nulla per cui sia lecito vivere. Il successo è dunque il prodotto principale, il flagship, della società dell’apparenza, poichè l’apparenza PRETENDE il successo e allo stesso tempo ne è la conferma più lampante. Ma il successo − con tutte le aspirazioni che porta con sè − è anche un prodotto umano, presente in ogni società civile: già nell’antica Grecia vi erano gli atleti olimpionici, famosi alla stregua di Usain Bolt, di Tiger Woods e di Bubba Watson, e nell’antica Roma i gladiatori, famosi al pari dei moderni wrestler come Rey Mysterio, Hulk Hogan e Shawn Michaels. Dunque, cos’è che spinge nella nostra società a DOVER essere per forza famosi, anche al rischio di rimetterci la salute…e la vita, come nel caso di Avicii? Si può (e si deve) puntare il dito contro i mass media, che fungono da cassa di risonanza alla tanto agognata fama, ma si deve anche puntarlo verso un mezzo di comunicazione nuovo: i social. Che i social network − se male utilizzati (specialmente dai più giovani) − potessero condurre a gravi problemi psicosociali, è un dato di fatto, ancor più in quanto mettono i loro utenti nei panni non (solo) di semplici spettatori (come ad esempio la TV) ma di veri e propri attori. É proprio con social come Facebook, YouTube ed Instagram che nascono le nuove star, e questi strumenti sono proprio alla portata di tutti: ogni teenager, con una connessione a internet e un PC e/o uno smartphone hanno la possibilità di divenire famosi, anche se poi, in realtà, è sempre quell’uno su un milione che ce la fa. Come Avicii, che proprio grazie a un computer e a un blog (e i blog non sono nient’altro che i precursori dei social network) ha conosciuto il successo, l’ha vissuto, l’ha anche disprezzato, e per causa sua è morto. Una morte che però non sarebbe vana se ognuno di noi (specialmente se suoi coetanei o più giovani di lui) potesse realmente capire qual’è il vero, brutale, prezzo del successo.

Dott. Eugenio Flajani Galli

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