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EVITARE IL PEGGIO

L’avanzata sull’autostrada M4 verso Mosca dello chef Prigozhin, divenuto leader del gruppo Wagner, si ferma a circa 200 km. da Mosca dopo le trattative con Lukashenko, proprio mentre le truppe cecene di Kadirov stanno dirigendosi verso Rostov per opporsi alla Wagner. Prigozhin accetta di negoziare, ferma quella che ha chiamato “Marcia della giustizia“  dichiarando: “Non sia versato sangue russo, torniamo alle basi”. E scompare (intanto trovano 43 milioni nel suo rifugio: “Per pagare i miei uomini”, egli dice) in esilio forse in Bielorussia, non avendo, però, ritirato le accuse, resta indagato. Il Cremlino aveva comunque archiviato il procedimento penale contro di lui e i miliziani della Vagner partecipanti alla ribellione, ordinato solo la rimozione in tutta la Russia dei cartelloni pubblicitari “Wagner”. E’ parsa ben poca cosa, e la marcia interrotta ha dato adito a congetture contrastanti, mentre la clemenza ha suscitato perplessità nel popolo russo, il quale non riduce, però, secondo quanto affermano, il consenso a Putin. Trapela che questa rivolta era già nota alla Cia e allo stesso Putin, e si fanno supposizioni di conseguenti risvolti della guerra russo-ucraina (potrebbero, secondo alcuni, esserci alfine trattative di pace, secondo altri inasprimenti dovuti proprio alla posizione meno forte di Putin); vengono inoltre annunciati anche paragoni con la storia della Russia dei primi drammatici decenni del Novecento. E’, come di solito accade, un gran parlare, e non sempre a ragion veduta                                                                                                              Ma soprattutto si tira un respiro di sollievo per la guerra civile evitata, anche se c’è pure chi pensa che avrebbe dato una accelerazione al chiudersi della guerra russo-ucraina.       A ben considerare, tutte le guerre sono sì guerre civili perché di esseri umani contro altri esseri umani, ma è la guerra cosiddetta civile ad essere la peggiore in quanto fra esseri che sono parte della stessa terra, guerra quindi tra fratelli, e non può inoltre essa avere una preparazione.                                                                                                                 Noi, considerando che l’armonia fra noi esseri umani è una chimera (a partire da familiari, parenti e conoscenti sino a Stati e organizzazioni statali) come insegna non solo la nostra attualità, riflettiamo che una guerra, procedente su binari già sperimentati o di poco discosti, resta (è doloroso a dirsi) pur sempre disastro di gran lunga preferibile perché inferiore rispetto a quella che, come spada di Damocle, pende sull’umanità tutta dal dì della fissione nucleare. Attuata ad opera di Enrico Fermi e dei Ragazzi di Via Panisperna (alcuni ipotizzano che il giovane fisico geniale Ettore Maiorana volle scomparire prevedendo i tragici effetti di quella scoperta), diede luogo nel 1945 presso il Los Alamos National Laboratory alla bomba all’uranio, tristemente famosa per gli effetti su Hiroshima, e a quella al plutonio su Nagasaki. L’orrore risuonò e continua a risuonare nel globo. Inutilmente: gli studi non vennero fermati, continuarono con la bomba H, ossia all’idrogeno, fissione-fusione con cui si produce l’ordigno più devastante creato dall’uomo, capace di trasformare l’idrogeno in elio, come avviene naturalmente nel sole. Una bomba di mille volte superiore a quelle sganciate in Giappone, che già fecero nel 1946 dire al fisico Julius Robert Oppenheimer: “Signor Presidente, le mie mani sono sporche di sangue”. Il presidente era Henry Truman, colui che aveva ordinato di sganciare quelle bombe sulle due città giapponesi. E noi possiamo immaginare i travagli dell’anima di Oppenheimer e degli altri fisici tra cui l’italiano Enrico Fermi, come degli inconsapevoli giovani avieri cui venne ordinato di sganciare le bombe quella mattina di agosto sulla vita normale di pacifici cittadini.                                                                                    Intanto un’arma di smisurata potenza distruttiva era in possesso degli Usa: gli altri Stati non potevano non volerla realizzare. Soprattutto l’Urss, altro Stato allora leader contrapposto, ritenne di doversi fornire di un arsenale di armi di distruzione di massa per dissuadere gli avversari dal muovere guerre contro l’Urss. Un iter che va dalla prima bomba Rad – 1 del 1949 a quella all’idrogeno del 1953, e poi ai vettori missilistici intercontinentali del 1957, alla bomba Tsar del 1961. In un ipotetico conflitto con l’Occidente per la difesa di socialismo e comunismo veniva dall’Urss considerato l’impiego della componente nucleare di cui conveniva, pertanto, essere forniti.                      Oggi è la Nato ad avere il ruolo di avversaria in un eventuale intervento ufficiale in guerra, ed il primo colpo nucleare annunciato costringerebbe, secondo le previsioni, a sedere al tavolo delle trattative. Il nucleare resta dunque ago della bilancia nello scacchiere geopolitico che vedrebbe in scena non più solo Usa e Russia, anche altri Stati possessori di armi nucleari, tra cui, in primis, la Cina. Le armi nucleari si sono moltiplicate perché, per prevenire l’attacco nucleare, bisogna basarsi anche su un numero tale di testate nucleari da dissuadere il nemico dall’impiegare le proprie. E’ la “dottrina difensiva”, quella già annunciata da Krusciov, il quale ripeteva che bisognava “scoraggiare la guerra piuttosto che combatterla”. Ma nella nostra attualità l’ ”escalate to de- escalate”,  ovvero l’intensificare per ridurre, anche rispetto alla dottrina militare del 1993 che prevedeva l’utilizzo del nucleare solo se la Federazione Russa era minacciata, considerata la scarsa efficienza delle armi convenzionali russe, rimette in gioco il concetto di “de-escalate” costringendo all’allerta.                                                                                                                           L’energia nucleare potrebbe non essere problema se l’uomo, se la sua anima non fosse quella che è, spesso a lavoro per il diavolo. Gli umani, diversamente da ogni altro animale, costruiscono trappole per i loro simili (ci finiscono poi anche i costruttori), e la trappola “atomica” è quella da tenere il più possibile a distanza. Gli umani – lo sappiamo bene- non sanno rinunciare a farsi guerra, meglio quindi, se proprio non riescono a comprendere il valore della pace, che continuino a farsela con armi non nucleari, le quali, rispetto alla distruzione totale di quelle nucleari, qualcosa lasciano in vita. Il nucleare non lascia nulla, alcuna strada neppure agl’infelici superstiti. Così lo scultore e poeta giapponese Kotaro Takamura: “Non c’è strada a me dinanzi/ dietro di me è tracciata una strada…/O grande padre, non stornare/ gli occhi da me, proteggimi, / colmami del tuo vigore/ per questo lungo viaggio/ per questo lungo viaggio.”

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Antonietta Benagiano

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