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“Guardo il cielo lassù, penso che questa crudeltà avrà fine e che ritorneranno la pace e la tranquillità.” Il pensiero di Anna Frank è speranza in un mondo umano. E all’umanità esorta Charlie Chaplin nel film “Il grande dittatore” del 1940: “Non voglio governare, né conquistare nessuno. Vorrei aiutare tutti… ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi, esseri umani, dovremmo aiutarci sempre, godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci.” Sono trascorsi decenni, siamo rimasti gli stessi.                               In prossimità del Giorno della Memoria (27 gennaio) si attende il pronunciamento del Cig (Corte Internazionale di Giustizia) sul ricorso, da parte del Sudafrica, relativo al genocidio dei palestinesi nella Striscia di Gaza. Per ora ci si aspetta almeno lo stop all’operazione militare israeliana, in attesa di una sentenza di condanna del Cis, che potrebbe, però, considerato lo Statuto, anche non essere rispettata. Riflessione amara è che l’essere umano non riesce a mutare comportamento neppure dopo la crudeltà subita, anzi la rimanda fortemente su altri, così la catena delle crudeltà prosegue, non ha fine.       Il mondo è in guerra per deflagrazioni presenti in varie parti, e non possono essere non coinvolgenti, anche per effetto della globalizzazione che tutti e ogni cosa coinvolge.                                                                                                                 Papa Francesco, a inizio del nuovo anno, pronunciando nell’Aula della Benedizione il tradizionale discorso al Corpo diplomatico, si sofferma sulla preoccupante situazione mondiale, volta sempre più a incentivare fuochi di guerra, pericolosi per l’enorme disponibilità di armi, soprattutto di quelle atomiche: “Il mondo – rileva- è attraversato da un crescente numero di conflitti che lentamente trasformano quella che ho più volte definito terza guerra mondiale a pezzi in un vero e proprio conflitto.”                                      Il quale è da considerarsi, se mettiamo in conto non ciò che è di tutte le guerre ma le particolarità, solo sotto determinati aspetti diverso dal primo, come dal secondo, le cui mire espansionistiche erano, in definitiva, dell’Asse. Nel presente tempo, per la rete di ideologie contrapposte e di interessi economico-finanziari (a dominare è sempre il business) ancor più fitti per effetto anche della globalizzazione, sono svariate le entità politiche in gioco, non solo quelle che apertamente agiscono. L’incipit, pur con le già tante aree del globo in contrasto, è nella guerra russo-ucraina dove la Russia può contare sulla Cina (almeno così sembra) e su quanti nel mondo afro-asiatico paiono essere in disaccordo con l’Occidente; l’Ucraina sugli Stati Uniti e su coloro che seguono la politica degli Usa, quindi anche sull’Ue, pur se da entrambe le parti, per il subentrare di altri problemi, va ridimensionandosi il supporto di armi e finanze. E segue, insieme a molte altre realtà del pianeta che non possono dirsi in pace, la guerra a Gaza. Apparentemente è fra Israele e Hamas, in realtà fra Israele e Iran insieme al Libano attraverso gli Hezbollah appoggiati dall’Iran, anzi, per meglio dire, è un conflitto fra Iran e Stati Uniti con i suoi alleati in Europa e nel Golfo. Ma in guerra il caos, che neppure in tempi di pace manca, si allarga, copre la verità che diventa, non solo per Eschilo, “la prima vittima della guerra”. E gli interessi sono sempre per gli Stati, non si pensa di certo a quanti muoiono senza colpa, pertanto proprio per questo qualsiasi guerra è da ritenersi un crimine che, nell’apatia della crudeltà, non si vuole smettere di ripetere. Altrimenti, a esempio, perché, nel caso della suddetta guerra, non accettare la soluzione dei due Stati, quello di Israele e l’altro della Palestina? Avrebbe quest’ultimo, insieme alla Striscia di Gaza, parti della Cisgiordania con capitale Gerusalemme est. Varie anche le opzioni, riprese pure da proposte del passato, tra cui quella di una Giordania come Stato di tutti i palestinesi, ma su ogni progetto dubbi da una parte o dall’altra oppure da entrambe, non si riesce a pervenire ad un accordo. E le crudeltà proseguono con rifiuto anche della tregua: Netanyahu boccia la linea Usa, ugualmente fa Hamas rifiutando la proposta di una tregua per due mesi. Si continua a penare, a morire da entrambe le parti e i sopravvissuti al 7 ottobre e alle vendette stanno a marcire.                                                                                                                           La guerra a pezzi vede l’inserimento degli Houthi di Ansar Allah che amano definirsi “partigiani di Dio”, sono un gruppo sciita, armato e politico, dell’estremo nord dello Yemen, il cui nome deriva da quello della famiglia degli Houthi. Affiliato e finanziato dall’Iran, sin dal 2016 agisce schierando droni contro le forze della coalizione araba guidata dall’Arabia Saudita. Gli Houthi effettuano ora attacchi alle navi nel Mar Rosso, finalizzati a disturbare il traffico commerciale mondiale: per il Mar Rosso passa il 40% dei commerci tra Asia ed Europa. Ci tengono a specificare che l’obiettivo è solo su merci e prodotti che riguardano Israele, ma dopo la distruzione di navi europee l’allarme è generale. Raid quindi di Gran Bretagna e Usa, cui gli Houthi rispondono con il grido: Via dallo Yemen! Presente alla difesa delle navi mercantili anche l’Italia che nel trasporto di merci, non più per via breve, risulta molto danneggiata E intanto il Medio Oriente s’infuoca ancor di più. I ribelli ci tengono, però, a rassicurare Cina e Russia: le loro navi non hanno da temere! Ugualmente, però, a quanto riportano, Xi Jinping fa pressioni su Iran perché freni gli Houthi nel Mar Rosso. Per la Cina, infatti, la sicurezza nel Mar Rosso è ricchezza, e dannosa risulta, come per tutti gli Stati dell’Occidente, la circumnavigazione con costi di gran lunga più alti. Per quanto riguarda la Russia, l’alleanza con l’Iran è di vecchia data, ma anche Pechino ha strette relazioni con l’Iran, anzi il prof. Xiao Yunhuan ritiene che gli Houthi, legati all’Iran, abbiano con i loro attacchi fatto, senza volerlo, un gran favore alla Cina compromettendo la supremazia marittima degli Usa e venendo incontro alla strategia internazionale cinese della multipolarità globale. Problema per la Cina è, invece, Taiwan, prima democrazia liberale in lingua cinese, cosa che Xi mal sopporta, ma è costretto a sopportare, e anche gli Usa devono stare buoni, evitare tensioni accese ora che gli arsenali, per gli aiuti soprattutto all’Ucraina, attendono di essere ricostruiti. C’è poi chi (lo storico ed economista britannico Niall Ferguson) addirittura ritiene che la Cina sarà fra un decennio nel caos. Al presente comunque anche altri conflitti, oltre ai già menzionati, agitano il globo: quello del Sudan con l’armata del Rsf e le milizie arabe alleate, artefici di massacri; del Congo con quasi 7 milioni di sfollati interni e con milizie governative e gruppi armati che attaccano i civili; del Myanmar con le bombe a grappolo sui civili e il collasso economico in vista. Potremmo proseguire, ci fermiamo qui, non abbandoniamo comunque la speranza che, annullando uno dopo l’altro i vari pezzi, si possa ovunque avere la possibilità di vivere liberi dal terrore della guerra. “Una sola pace è da preferire

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