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OSORES AC LAUDATORES

Non possiamo, a ripercorrere la storia sin dalle prime età, non riflettere che neppure la scomparsa di chi in qualche parte del globo, è stato, per un tempo più o meno lungo, in rilievo sulla scena per quanto ha realizzato, mette a tacere la memoria, sia quella positiva, ossia dei laudatores che dello scomparso celebrano pensieri e fatti, sia la negativa degli osores, ovvero degli odiatori che difficilmente sono portati alla tregua. Fa meditare come l’ odio, questo sentimento così forte e persistente, non riesca a tacere neppure dinanzi al cadavere ancora caldo. Si può persino verificare che dello stesso si faccia barbaramente scempio, com’è successo a taluni personaggi della storia passata, pure dello scorso secolo. Di odiatori e lodatori esempi tanti, a partire dalle antiche ere, ma non è il caso di ripercorrerli, di scomodare vicende e protagonisti del remoto tempo, sui quali neanche i tanti secoli trascorsi hanno potuto fare appieno chiarezza. Ciò è dimostrazione che alla obiettività la storia non perviene, sempre restano le ombre. Ciascun individuo, anche quello apparentemente più descrivibile, è fatto di ombre e le tante analisi sui protagonisti della storia non le diradano del tutto.                                                                Riportandoci al presente, passiamo a quel che accade al Presidente Silvio Berlusconi, preso giorni fa da Atropo: osanna da quanti attribuiscono eccezionalità alle sue realizzazioni in diversi campi, dall’imprenditoria allo sport, dai media alla politica; accuse pure post mortem dagli odiatori. I procedimenti giudiziari non hanno, però, più ragion d’essere, inutili quindi per gli odiatori le trombe dei processi, ci si sofferma ora ad accusarlo soprattutto di aver portato gl’Italiani alla catastrofe culturale per aver inculcato l’idea che tutto si compra e si vende, vale a dire della cultura di mercato. Dimenticano costoro che siffatta cultura c’è sempre stata, sin dai tempi del baratto e poi nelle antiche ere coi traffici intensi nel Mediterraneo, per restare nel Mare Nostrum senza menzionare l’altrove. Certo, è di gran forza in questa età perché frutto del nuovo capitalismo, ormai da lungo tempo presente in ogni dove del pianeta, in Occidente e in Oriente, ancorato agli interessi della produzione e del consumismo, all’immagine di sé da far prevalere come valore della esistenza di sé. E’ l’unico da perseguire nella perdita di ogni altro valore prima ancora esistente e non legato alla materia, ma a quell’anima sottrattaci da avidità e aridità, che è poi la sola a poterci liberare dall’ ”affollata solitudine”, come diceva il sociologo Zigmunt Bauman. E già Erich Fromm rifletteva: “Il capitalismo moderno necessita di uomini che senza difficoltà cooperino in vasto numero; che vogliano consumare sempre più; i cui gusti siano standardizzati e possano essere facilmente previsti e influenzati”. E’ l’ “usa e getta come canone fondamentale della nostra società”, di cui parlava anche Alexander Langer, saggista e giornalista, oltre che politico. E’ l’orgia del consumismo, dell’arrivismo, dell’individualismo da cui è presa la nostra società narcisista e gaudente.                                                     Gli odiatori dimenticano che la cultura opposta a quella di mercato era già ampiamente scomparsa anche per altre ponderate motivazioni. Ci riferiamo, a esempio, alla istituzione di una Scuola che, sotto l’asserzione della democratizzazione (neppure Concetto Marchesi la intendeva come venne intesa), si è volta alla degradazione del pensiero, delle capacità logico-critiche, di tutto ciò che sarebbe potuto essere ‘muro’ al consumismo, tra l’altro imperante ovunque. Anzi, a dire il vero, con la globalizzazione omologante neppure siamo certi che le nuove generazioni si sarebbero salvate dalla omologazione. Che ha preso e prenderà sempre più, coadiuvante quella tecnologia dalla quale ciascuno di noi è divenuto ormai inseparabile, finendo per essere l’hegeliano padrone dipendente dal servo.                                                                                                                                          In un mondo dove è imperante la cultura di mercato, insieme a tutto ciò che ne consegue, assurdo è sostenere la responsabilità di chi ha avuto solo la capacità di realizzare ciò che altri avrebbero forse voluto realizzare ma non ebbero la forza. Sarebbe troppo dargli il potere della trasformazione, del passaggio a una società di mercato e consumista, se ovunque la società era mutata, si era americanizzata.                                                                            Impegno massimo per grandi realizzazioni, ma per tutti arriva la fine, della quale incerto è il giorno, e si è costretti al punto. Per Silvio Berlusconi pensiamo che, sotto certi aspetti, valga il pensiero di Soren  Kierkegaard: “Non v’è rimedio per la nascita e la morte, salvo godersi l’intervallo”. E l’Arcivescovo metropolita di Milano Mario Enrico Delpini, durante la cerimonia funebre, ha di Berlusconi proprio posto in rilievo “il desiderio di vivere una vita bella…non solo per sé, di mettere a frutto i talenti”  senza “sottrarsi  alle sfide, ai contrasti, agli insulti, alle critiche… “ e poi “soffrire il declino e continuare a sorridere… Essere contento e sentire l’insinuarsi di una minaccia oscura… Berlusconi è stato certo un uomo politico, è stato certo un uomo d’affari, è stato certo un personaggio alla ribalta della notorietà…con tutto ciò che comporta anche di difficile da sopportare… è stato un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia… All’abbraccio di Atropo diventa semplicemente “un uomo” che incontra Dio come qualsiasi altro uomo. In Dio Silvio Berlusconi si è dichiarato sempre credente e, a quel che tanti comuni esseri stanno riportando come testimonianza, è stato affabile e generoso, interessato a risolvere i problemi del prossimo. Di certo non era il Marchese di Totò, pensiamo sapesse bene, nel mentre poneva in atto il suo desiderio di vita, che “ ‘A morte… è una livella”.

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Antonietta Benagiano

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