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LA VIA DELLA SALVEZZA

Sin dalla prima comparsa sulla Terra tutti gli esseri viventi, a qualsivoglia specie appartengano, sono in moto senza sosta alla ricerca di sussistenza, vale a dire di ciò che può dare loro la possibilità di continuare a vivere; pertanto, quando lo spazio circostante non offre nulla o ben poco, si volgono insieme a quell’altrove dove percepiscono esservi la sopravvivenza. Nutrirsi è fra le necessità di tutti i viventi la primaria, poi ne possono per gli esseri umani anche subentrare altre, come sottrarsi a sistemi antidemocratici che sono fonte di persecuzione e disdegno dei diritti umani, oppure l’anelito che porta ad avventurarsi alla ricerca di più gradevoli modus vivendi. Ma il problema n° 1 resta nutrirsi. Lo afferma chiaramente anche Bill Gates, patito dell’informatica: ”Quando mi trovo alle conferenze sull’informazione tecnologica e la gente dice che la cosa più importante al mondo è fare in modo che le persone possano connettersi alla Rete, io rispondo: Mi state prendendo in giro? Siete mai stati nei Paesi poveri?”                                                                               Ora, la povertà è sì denominatore comune di tutti i Paesi, anche di quelli più ricchi, ma lo è a maggior ragione di quelli per secoli depauperati delle loro risorse, afflitti da guerre e conflitti con sempre maggiore penuria di beni. Varie zone della Terra sono prese da sconvolgimenti e i tentativi di freno migratorio, oltre ad essere considerati talora disumani, non portano a soluzione. A esempio, gli Stati Uniti, che nei secoli scorsi si sono avvalsi della immigrazione per una crescita, hanno poi dovuto porre un freno da Messico e Paesi latino-americani innalzando un muro (è stato ultimato nel 1994 e ha dato l’esempio ad altri muri)), ma non ha risolto il problema se i clandestini sono arrivati a 11 milioni.                                                                                                                     La Cina, oltre ad avere un numero consistente di migranti, come l’India e la Russia, è diventata essa stessa migrante verso altri continenti, e ciò proprio per il consistente sviluppo cinese che porta alla necessità di piazzare ovunque i prodotti della Cina.                                                      Intanto verso l’Europa grandi spostamenti, di anno in anno crescenti, dall’Africa afflitta da molti problemi, anche dagli sconvolgimenti verificatisi a seguito delle cosiddette Primavere Arabe. E’ una povertà che guarda moltissimo a quelle forme occidentali di vita proposte di facile realizzazione, da cui la gioventù, in possesso di smart, viene presa. Ma cos’è poi l’Europa rispetto alla grande, giovane Africa se non un vecchio continente striminzito? Cos’è l’Italia? E’ la meta ambita per tutto quel che di essa si favoleggia perché in numero sempre maggiore s’imbarchino e raggiungano la traboccante Lampedusa, le coste calabre e pugliesi. Una invasione di incolpevoli che diventano poi colpevoli per gli atti che si scatenano dalla delusione, dalla rabbia. E la terra che li accoglie è da ferire, deturpare, gli abitanti da vituperare, condannare, punire anche in maniera estrema. Una situazione difficile, pericolosa, che non si riesce a gestire, a sostenere. La breve lingua di terra che s’allunga centralità nel Mediterraneo non può accogliere ad infinitum, ma quasi a punire chi è al Governo si afferma che bisogna accogliere (c’è chi con i migranti fa affari, anche fra gli stessi africani), e ciò pure da parte degli italiani della -diciamo- altra sponda, non solo degli Stati dell’Ue, i quali intanto si tutelano rigettando i migranti. Sabotano tutti in Eu, anche coloro che si dichiarano amici, e la Presidente Meloni chiede l’intervento dell’Onu: “L’Italia non sarà campo profughi d’ Europa”, bisogna quindi fermare le partenze illegali, è l’unica via perché nessuno Stato accetta ricollocamenti.                                                                                                        Quale la via giusta da percorrere perché si risollevino le sorti dell’Africa, dei figli di quella terra? Pechino ha trovato la sua strada, non può essere, ovviamente, solo di cooperazione, deve guardare anche agli interessi, alla potenza della Cina. E’ la conferenza afro-asiatica di Bandung (la prima è del 1955) a proclamare la fine dell’era coloniale e la eguaglianza fra tutte le nazioni, a rafforzare le relazioni sino-africane favorendo la cooperazione economico-politica. I principi sono stati nel nuovo secolo ribaditi, così i Paesi non occidentali si presentano sempre più rafforzati, protagonisti delle attuali trasformazioni politico-economiche globali. E la Cina, che propone il rispetto dell’ autodeterminazione dei popoli, l’eguaglianza fra gli Stati e la non ingerenza nei reciproci affari interni, è in primo piano in Africa con i suoi generosi sostegni, tra cui la cancellazione del debito di 31 Stati africani, con le grandi opere infrastrutturali. In cambio ha quel che le interessa per la propria crescita, vale a dire le risorse naturali di cui è ricca l’Africa, la creazione di un mercato per le proprie aziende. E dal 2009 è attivo il Forum on China- Africa Cooperation (Focac) comprendente 54 Stati africani in dialogo con la Cina. Sono arrivati ad essere importanti attori nello scenario mondiale, e nell’Agenda 2063 e nella One Belt One Road, due iniziative, africana l’una, cinese l’altra, vengono previste reti infrastrutturali e commerciali volte a promuovere il commercio e l’integrazione a livello internazionale. Si dirà che è pur sempre una forma di colonialismo, ma potrebbe dare la possibilità all’africano di abbandonare utopie deleterie, di poter restare in Africa, un continente ricchissimo di risorse che tocca agli africani mettere a frutto con la visione di una ricchezza per sé che lavoro e impegno possono conseguire.                                                                                                                              E il politico congolese Joseph Kabila: “L’Occidente ha sfruttato l’Africa, e ora la vuole salvare. Abbiamo vissuto fin troppo con questa ipocrisia. Solo gli africani possono salvare l’Africa”.

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Antonietta Benagiano

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