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GUERRE: ANCORA DUE, UNA OPPURE ALI DI PACE?

Pensiamo che la guerra non sia da giustificare mai, neppure come eroismo e patriottismo, dato che essa in nessun caso è risolutiva dei problemi che vengono ritenuti causa. Bisognerebbe lavorare per comprendere le legittime esigenze dei contendenti, e ciò può avvenire non con la forza, ma con la diplomazia, con il dialogo. Su questa strada, nel mentre faticosamente sembra che si facciano passi avanti, subito ci si arresta. Colpa anche della disattenzione mondiale sulla sorte di taluni popoli, dei Palestinesi, a esempio. Pertanto solo un sogno le ali di pace nel mondo, non ci si impegna a costruirle, richiedono un costante coinvolgimento generale. Lo stato naturale del mondo resta quindi la guerra: tanti cercano di danneggiare altri, di sottrarre qualcosa, ovunque regnano odio e discordia, esplode la guerra, è crudele morte e distruzione; oppure sale la tensione, la guerra resta, al momento, in agguato.                                                                                                           L’8 giugno del 2014 (si tentava anche allora la pace tra Israele e Palestina) nei Giardini Vaticani Papa Francesco così si rivolgeva a Shimon Perez e Mahmoud Abbas, rispettivamente presidenti allora di Israele e della Palestina: “Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo”. E aggiungiamo che ci vuole molto coraggio nell’accogliere una pace ingiusta, preferibile, a parere anche di Cicerone, a una guerra giusta, dato che la guerra è sempre causa di rovine e morte. Sappiamo bene che le condizioni di pace spettano a chi la pace dà non a chi la chiede, che poi ci sono guerre, a esempio quella israelo-palestinese, ma anche la russo-ucraina, per riferirci al nostro tempo, dove nessuno dei contendenti chiede la pace. Il dramma è che, anche se qualcuno si convincesse alla pace, questa poco varrebbe perché la pace senza giustizia non è pace, come insegnano le esperienze storiche. E c’è inoltre da considerare che, una volta attuato l’innesco della guerra, diventa difficile fermarlo, bisognerebbe quindi, prima di arrivare alle armi, provare tutte le vie per non innescare la guerra. Non ci si impegna concretamente, se non per breve tempo, anche se poi a parole sono tutti convinti che la pace è ciò che maggiormente concorre allo scorrere felice della vita sul pianeta.  Il dovere maggiore di ciascuno di noi e, di rimando, di ciascuno Stato dovrebbe essere di tenere a freno quella parte mostruosa volta all’odio, assetata di dominio, di affari. Sì, perché nella guerra possono rientrare anche gli affari. Affari che richiedono la messa in opera di molto denaro: “L’argent est le nerf de la guerre”, dicono i Francesi rifacendosi al pensiero di Cicerone. Se non lo si ha, per proseguire la guerra bisogna chiedere “l’argent” a chi ce l’ha che qualcosa deve pur ricavare.                                              L’Ucraina, dalla invasione russa, ha chiesto e continua a chiedere denaro e armi. Gli Usa, ma non solo, sono stati molto propensi, ultimamente, però, John Kirby, portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale Usa, annuncia il dietro-front: “Sui nuovi aiuti – dice- non siamo nella posizione per far promesse all’Ucraina” anche perché “una frangia repubblicana tiene gli aiuti in ostaggio in cambio di politiche estreme sui confini”. E il Congresso rincara: “Basta soldi a Kiev”. Ma Biden invita Zelensky alla Casa Bianca. Frattanto il Parlamento ucraino vota celermente leggi per l’adesione dell’Ucraina all’Ue, e Zelensky aggiunge: “Crediamo che l’Unione europea manterrà le sue promesse all’Ucraina”. L’adesione è in agenda, ma il Primo Ministro dell’Ungheria Orban, amico di Putin, sostiene che a Bruxelles non conoscono i Balcani, che dall’agenda del Consiglio di metà dicembre va rimosso il tema. Vedremo a breve. Intanto Putin gongola e annuncia la sua candidatura alle presidenziali del 2024, mentre l’ex colonnello dell’FSB Igor’ Girkin, condannato in contumacia all’ergastolo quale responsabile dello schianto del Boeing 777 sul Donbass nel 2014, si trova ora in carcere per aver espresso certi giudizi                -diciamo- non positivi sulla conduzione della guerra e sul pagamento del personale militare. Brutta sorte la sua: in Occidente è riconosciuto terrorista dal Tribunale dell’Aia, nel suo Paese è un estremista perché dice ciò che pensa. Girkin teme di fare la medesima fine di Prigozhin, potrebbe cioè essere ‘condonato’ allo stesso modo. A chi gli chiede se davvero avesse pensato di correre pure lui alle presidenziali, risponde che ciò si sarebbe potuto verificare se le cose fossero state diversamente. Prevede anche che non ci sarà alcun Trattato perché il nemico si è posto come obiettivo la distruzione graduale ad opera della guerra. Se ne avrà quindi ancora per molto, a meno che – diciamo noi-“l’argent”, che è sempre più urgente, non venga da nessuna parte costringendo pertanto a sedere al tavolo della pace. E Olena Zelenska: “Se il mondo si stanca di aiutarci moriremo”. Il Ministro degli affari esteri ucraini Dmytro Kuleba rimarca l’errore “devastante” dell’Ue in caso di mancata adesione e auspica di discutere un’intesa di pace concentrandosi su “problemi specifici”. Quel che non ritiene si possa rinviare è l’entrata dell’Ucraina nell’Ue. Uno spiraglio da gestire puntando a negoziati seri, non alla resa di Kiev, come sembrerebbe volere Mosca, con il Ministro degli Affari Esteri Sergej Lavrov. Il quale pone poi in rilievo la sconfitta, anzi la resa, dell’intero Occidente dopo 500 anni, sembra quasi soddisfatto dimenticando la sua origine che con l’Occidente ha molto da spartire.                                                                                                                         Spostandoci all’annoso conflitto Israele- Palestina, dai cruenti eventi dello scorso ottobre balzato all’attenzione, l’impegno di Israele è, al momento, dare la caccia a Yahya Sinwar, leader di Hamas che si è intrappolato nei tunnel con l’intento di liberare tutti i detenuti palestinesi. Intanto Gallant, ministro della Difesa israeliano ha dichiarato che il loro obiettivo è “eliminare Hamas politicamente e militarmente”, ma non rimanere nella Striscia di Gaza dove l’esercito ha operato sempre secondo il diritto internazionale, lasciando alternative sul controllo, purché non ostili a Israele. Si sono, però, verificati – ha detto l’ex capo di Stato Maggiore Benny Gantz , che guida uno dei partiti all’opposizione – aggressioni e attacchi da parte degli Hezbollah sostenuti dall’Iran, i quali vanno rimossi. E c’è anche un piccolo gruppo di estrema destra ebraica che offre una taglia (100mila shekel, pari a 25mila euro) per la testa di Yahya Sinwar. Dallo scorso 7 ottobre sono da Hamas stati uccisi 20 ostaggi israeliani, sono in tutto 137 (117 maschi e 20 femmine; 126 cittadini israeliani, 11 stranieri; del totale10 sono ultrasettantacinquenni, ci sono poi anche 2 bambini). E balzano anche a fine ottobre notizie sull’utilizzo da parte degli israeliani di munizioni al fosforo bianco, provenienti da arsenali Usa e vietate per la grave tossicità (provocano necrosi ossea), su un villaggio al Sud del Libano. E’ crimine di guerra. Alcuni vigili del fuoco a Dhahira affermano che il fosforo bianco è stato sparato sul centro abitato e sui campi; sono stati impediti e la fuga dei civili e l’arrivo dei soccorritori. Situazione sempre più difficile nella Striscia di Gaza, vicina, come leggiamo (La Stampa, 10 dicembre 2023) al “punto di non ritorno” con “l’ordine civile che sta crollando”, con gli aiuti umanitari che stentano ad arrivare, tanto da far dire alla dott.ssa Ruba: “Chi è morto nei primi giorni di guerra è stato fortunato”.                                  L’uomo resta, purtroppo, quel misto di barbarie di cui egli stesso è causa, ed è la guerra  la sua tradizione più riuscita.

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Antonietta Benagiano

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